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Commento al Regolamento di Attuazione della legge Bossi Fini

Legalizzazione di certificati provenienti dall’estero
Comunicazioni allo straniero
Documentazione dell’alloggio per l’ingresso in Italia
Ingresso per turismo
Iscrizione anagrafica in fase di rinnovo pds
Nuove modalità di rinnovo del pds e del contratto di soggiorno
Variazioni del rapporto di lavoro, variazione del contratto di soggiorno

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 del 10 febbraio 2005, il nuovo Regolamento di attuazione della legge Bossi – Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189), ovvero il Decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n.334 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione) entrato in vigore il 25 febbraio.
Si vogliono di seguito elencare alcune delle principali novità contenute nello stesso. Bisogna pure ammettere che si tratta di una norma che va studiata approfonditamente, e che potrà essere interpretata meglio, anche alla luce di eventuali circolari ministeriali che, ci si augura, verranno emanate tempestivamente, al fine di disporre, nei confronti degli uffici interessati, l’applicazione delle nuove norme.

Legalizzazione di certificati provenienti dall’estero
Previste verifiche e accertamenti

In materia di legalizzazione e di certificazione di circostanze, atti, provenienti dall’estero, ovvero in materia di legalizzazione di certificati, l’art. 2 del Regolamento in oggetto introduce una precisazione che aggiunge una disposizione alla norma preesistente (art. 2 del dpr 394/99).
Si stabilisce infatti che Ove gli stati, fatti e qualita’ personali di cui al comma 1 non possono essere documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorita’ straniere, in ragione della mancanza di una autorita’ riconosciuta o della presunta inaffidabilita’ dei documenti, rilasciati dall’autorita’ locale, rilevata anche in sede di cooperazione consolare Schengen locale, ai sensi della decisione del Consiglio europeo del 22 dicembre 2003, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati.
In pratica, per quanto riguarda i certificati provenienti dall’estero, che gli stranieri devono utilizzare, per esempio, per la pratica di ricongiunzione famigliare (certificato di nascita o di matrimonio), è stato precisato (aggiungendo al testo originario un ulteriore disposto) che in mancanza di autorità straniera riconosciuta, oppure, in caso di presunta inaffidabilità di documenti attestanti qualità che non possono essere oggetto di autocertificazione, provvede l’autorità diplomatica consolare con indicazione sostitutiva.
Ne discende che, per esempio, di fronte ad una procedura di ricongiunzione famigliare – ovvero quando già il lavoratore straniero regolarmente soggiornante in Italia ha ottenuto il nullaosta alla ricongiunzione famigliare da parte della questura (o meglio, d’ora in poi dello Sportello Unico presso la Prefettura) -, nel momento in cui presso l’Ambasciata italiana del paese di provenienza bisogna documentare con certificati di quel paese lo stato di famiglia, l’autorità consolare italiana ha la possibilità – pressoché libera – di limitarsi a presumere la inaffidabilità dei documenti e dei certificati rilasciati dalle competenti autorità del paese d’origine dell’interessato.

In questo caso se l’autorità consolare dubita della affidabilità di questi certificati può procedere in proprio ad una verifica, che, per quanto riguarda la nascita e la maggiore età, potrà essere fatta addirittura con il famoso test del DNA oppure con quello della densimetria ossea, che spesso dà luogo a seri problemi, proprio per quanto riguarda la ricongiunzione famigliare.
Frequentemente presso gli uffici consolari si dice “Questo minore, autorizzato alla ricongiunzione famigliare con il padre o la madre che vivono regolarmente in Italia, secondo noi non è minorenne e quindi il certificato rilasciato dall’autorità competente del suo paese non è affidabile…” Ecco che allora si può procedere a un esame medico legale relativo all’età presumibile dell’interessato, appunto il famoso esame sopra menzionato della densimetria ossea, che, peraltro, non è un esame che dal punto di vista scientifico si possa ritenere certo, o, comunque, non si può ritenere più certo o affidabile di quanto non lo siano i certificati rilasciati dalle autorità del paese di provenienza.
Nel caso in cui, invece, vi sia un dubbio, per esempio, sul vincolo famigliare – quindi paternità o maternità della persona interessata alla ricongiunzione famigliare – si può procedere a prescrivere il test del DNA.
Tutto questo dovrà avvenire a spese degli interessati, in realtà quali quelle dei paesi in via di sviluppo, in cui, non solo non è facilmente disponibile una struttura sanitaria in grado di effettuare questi test, ma, soprattutto, vi è una seria difficoltà nel poterne sostenere le spese relative.

Comunicazioni allo straniero
Obbligatorio l’uso della lingua madre

Si vuole dare conto di una novità positiva.
All’art. 3 del Regolamento di attuazione in oggetto (Comunicazioni allo straniero) si prevede che l’art. 3 del d.p.r. n. 394 del 1999 sia modificato come segue: Il provvedimento che dispone il respingimento, il decreto di espulsione, il provvedimento di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno, quello di rifiuto della conversione del titolo di soggiorno, la revoca od il rifiuto della carta di soggiorno sono comunicati allo straniero mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l’indicazione delle eventuali modalita’ di impugnazione, effettuata con modalita’ tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell’atto. Se lo straniero non comprende la lingua italiana, il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se cio’ non e’ possibile per indisponibilita’ di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato.

Si precisa che già il d.p.r. 394/99 (art.3, comma 3) prevedeva l’obbligo di effettuare le comunicazioni di cui sopra non solo in lingua italiana, ma anche con traduzione in francese, inglese o spagnolo.
L’art. 3 sopra riportato prevede in più che tutte le comunicazioni sia pure in forma sintetica in lingua straniera, possano essere fatte legittimamente in lingua francese, inglese, spagnola, a scelta dell’interessato, solo nel caso in cui, però, sia indisponibile personale idoneo alla traduzione del provvedimento nella lingua madre dell’interessato.
In altre parole la regola dovrebbe essere ora l’esatto contrario di quello che è avvenuto in tutti questi anni, e cioè la comunicazione allo straniero di tutti i provvedimenti dovrebbe essere fatta in una lingua a lui conosciuta – quindi verosimilmente nella lingua madre –, e può essere considerata legittima la possibilità di effettuare la traduzione in una lingua diversa , solo se vi sia una oggettiva indisponibilità di personale idoneo alla traduzione nella lingua scelta dall’interessato.
Ebbene il concetto di “indisponibilità di personale idoneo alla traduzione” merita di essere chiarito, perché, evidentemente, la norma non è stata pensata – ne avrebbe potuto esserlo – per mantenere una piena discrezionalità di questure e Prefetture in materia di scelta degli interpreti e di loro reperimento. D’altra parte non si può nemmeno pensare che l’attuale formulazione della stessa, mantenga pur sempre una discrezionalità a favore degli uffici interessati, nel senso di scegliere quali interpreti incaricare per le traduzioni di tutti i documenti interessati.
In teoria le questure dovrebbero stipulare delle convenzioni con gli interpreti delle lingue più diffuse tra gli immigrati presenti sul loro territorio e, solo nel caso di lingue molto scarsamente diffuse o particolari – quindi di oggettiva difficoltà a trovare interpreti affidabili e preparati -, potrebbe considerarsi legittimo l’utilizzo della lingua inglese, francese e spagnola. Ma questo non può dipendere né dalla disponibilità di fondi – la norma non specifica nulla a questo riguardo – nè dall’arbitrio di ogni singola questura.
Questo significa che qualora – a partire dall’entrata in vigore del nuovo Regolamento di attuazione – dovessero essere effettuati dei provvedimenti di tipo negativo (per esempio il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno) privi di una traduzione, sia pure sintetica, nella lingua madre o nella lingua del paese di provenienza dell’interessato, ci troveremmo di fronte a provvedimenti illegittimi che possono essere annullati: e ciò a meno che, nel provvedimento stesso in cui si effettua la comunicazione, si dia atto, non tanto della pura e semplice indisponibilità dell’interprete nella lingua scelta dall’interessato, ma della effettiva e oggettiva difficoltà e/o impossibilità di trovare un interprete in quella lingua.
Quindi, d’ora in avanti, sarà importante verificare se effettivamente le questure provvederanno ad ottemperare al regolamento di attuazione e, quindi, ad acquisire la effettiva disponibilità di interpreti quantomeno per le lingue straniere maggiormente rappresentate dagli immigrati presenti sul territorio.

Documentazione dell’alloggio per l’ingresso in Italia
Prevista solo dopo l’entrata nel territorio nazionale

Nel nuovo Regolamento di attuazione è stato inserito l’articolo 8 bis (Contratto di soggiorno per lavoro subordinato) relativo alla documentazione relativa all’alloggio per i lavoratori candidati all’ingresso in Italia per ragioni di lavoro. Lo stesso recita: Il datore di lavoro, al momento della richiesta di assunzione di un lavoratore straniero, deve indicare con un’apposita dichiarazione, inserita nella richiesta di assunzione del lavoratore straniero, nonche’ nella proposta di contratto di soggiorno di cui all’articolo 30-bis, comma 2, lettera d), e comma 3, lettera c), un alloggio fornito di requisiti di abitabilita’ e idoneita’ igienico sanitaria, o che rientri nei parametri previsti dal testo unico, e deve impegnarsi, nei confronti dello Stato, al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza. La documentazione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno, di cui all’articolo 5-bis, comma 1, lettere a) e b), del testo unico, e’ esibita dal lavoratore al momento della sottoscrizione del contratto di soggiorno, secondo le modalita’ previste dall’articolo 35, comma 1.

Si specifica al secondo comma dell’articolo appena riportato che la documentazione, relativa anche alla copertura delle eventuali spese di rimpatrio – si ricorda infatti che il T.U. sull’Immigrazione (art. 5bis) impone al datore di lavoro di far constatare al momento della stipula del contratto di soggiorno che il lavoratore dispone di una alloggio idoneo e quindi conforme ai parametri alle norme dell’edilizia residenziale pubblica e che deve pure far constatare una garanzia delle spese di rimpatrio nel caso in cui il lavoratore dovesse rientrare definitivamente nel proprio paese – deve essere inserita dal lavoratore al momento della sottoscrizione del contratto di soggiorno. E’ una precisazione che ci permette di escludere in modo certo che la documentazione relativa all’alloggio debba essere presentata già al momento della domanda di autorizzazione all’ingresso per motivi di lavoro.
Sarà curioso verificare se questa norma verrà applicata anche in relazione delle domande di utilizzo delle quote stabilite nel decreto – flussi e se, quindi, si considererà superflua la documentazione sull’idoneità dell’alloggio al momento della presentazione della domanda.
Secondo la formulazione di questa norma – quantomeno per il futuro perché non si sa ancora se vale anche per le pratiche già in corso – non sarà necessario fornire la documentazione relativa alla disponibilità dell’alloggio al momento di presentazione della domanda di utilizzo delle quote, bensì solo nel momento in cui il lavoratore è giunto in Italia, quando si va a stipulare il contratto di soggiorno presso l’Ufficio Territoriale del Governo (UTG).

Ingresso per turismo

Il Regolamento in oggetto ha introdotto un’altra novità per quanto riguarda l’ingresso per turismo.
All’art. 10 si prevede infatti che: In caso di soggiorno per turismo di durata non superiore a trenta giorni, gli stranieri appartenenti a Paesi in regime di esenzione di visto turistico possono richiedere il permesso di soggiorno al momento dell’ingresso nel territorio nazionale alla frontiera, attraverso la compilazione e la sottoscrizione di un apposito modulo. La ricevuta rilasciata dall’ufficio di polizia equivale a permesso di soggiorno per i trenta giorni successivi alla data di ingresso nel territorio nazionale.
In altre parole nel caso di turisti che provengono dai paesi che beneficiano dell’esenzione del visto di ingresso per turismo e che prevedono di soggiornare in Italia per meno di 30 giorni (anche se in realtà il soggiorno potrebbe essere di durata superiore proprio per chi proviene da paesi che beneficiano di tale esenzione), il permesso di soggiorno potrà essere richiesto direttamente alla frontiera compilando un apposito modulo e la ricevuta che verrà rilasciata dalla polizia di frontiera equivarrà al permesso di soggiorno vero e proprio, dispensando, quindi, gli interessati dal presentarsi presso la questura competente per territorio entro otto giorni dal loro ingresso in Italia (come espressamente previsto all’art. 5, comma 2 del Testo Unico sull’Immigrazione).

L’idea è senz’altro buona, ma quello che è difficile capire è se questa possibilità potrà essere esercitata concretamente anche alle frontiere dello spazio Schengen diverse da quella italiana. Non vedo, ad esempio, come questa disposizione si possa imporre alla polizia austriaca. Nel caso in cui lo straniero dovesse invece arrivare da una frontiera italiana non dovrebbe esservi alcun problema.

Iscrizione anagrafica in fase di rinnovo pds

Una modifica senz’altro utile ed opportuna è quella introdotta all’articolo 14 del Regolamento in oggetto, laddove si precisa che: Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l’obbligo di rinnovare
all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo e, comunque, non decadono dall’iscrizione nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno
.

Questa disposizione risolve molti problemi che notoriamente si verificano presso gli Uffici anagrafe e che hanno dato luogo anche a difformità interpretative. Alcuni funzionari ritenevano infatti che durante la fase di rinnovo del pds non avesse senso disporre la cancellazione dell’interessato dal registro della popolazione residente e, quindi, si dovesse attendere procastinando provvisoriamente l’iscrizione; altri invece – come il comune di Milano – ritenevano che, pur non essendo colpa dello straniero se i tempi di rinnovo del pds sono lunghi, si dovesse disporre la cancellazione dall’anagrafe e, solo successivamente, una volta che era disponibile il vero e proprio pds, si poteva procedere alla re-iscrizione. Tutto ciò comportava una serie di problemi pratici all’interessato, che per tutta una serie di adempimenti (si pensi alla richiesta della patente o alla sua conversione) aveva la necessità di presentare la propria iscrizione anagrafica. Con la nuova normativa, il fatto che il permesso di soggiorno sia in fase di rinnovo non dovrebbe comportare più alcuna problema relativamente alla continuità di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente presso un determinato comune. Da vedere poi se vi saranno ancora residui problemi nel caso di trasferimento dell’iscrizione anagrafica da un comune ad un altro.

Nuove modalità di rinnovo del pds e del contratto di soggiorno

Consideriamo ora una delle novità più rilevanti del regolamento di attuazione perché considera una questione che interessa direttamente tutti gli immigrati, ossia quella relativa alle condizioni di rinnovo del pds in collegamento con l’adempimento della stipula del contratto di soggiorno; come più volte rilevato tale collegamento è l’invenzione contenuta nella legge Bossi-Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189). Per il momento tralasciamo tutta una serie di argomenti pure rilevanti che non mancheremo di prendere in esame prossimamente, augurandoci che nel frattempo la portata di questa norma sia chiarita non solo dagli operatori, ma anche dalla stessa amministrazione competente attraverso apposite circolari ministeriali.

Il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato
L’art. 12 del Regolamento (che modifica l’art. 13 del dpr 393/99) prevede che: Il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro e’ subordinato alla sussistenza di un contratto di soggiorno per lavoro, nonche’ alla consegna di autocertificazione del datore di lavoro attestante la sussistenza di un alloggio del lavoratore, fornito dei parametri richiamati dall’articolo 5-bis, comma 1,lettera a), del Testo Unico (ovvero quelli stabiliti dalle norme in materia di edilizia residenziale pubblica).
Ciò costituisce un grosso problema perché una questione è stabilire quali debbano essere le condizioni legali per l’ingresso dall’estero – e da questo punto di vista il legislatore può essere considerato libero di prescrivere tutta una serie di requisiti, tra cui anche quello della certificazione della idoneità d’alloggio disponibile per il lavoratore –, cosa diversa è invece quella relativa alle condizioni di rinnovo del permesso di soggiorno; in questo caso parliamo di stranieri residenti che sono già regolarmente presenti nel territorio dello Stato e per i quali dovrebbe essere sempre rispettato il principio di piena parità di trattamento (si veda l’art. 2 del Testo Unico sull’Immigrazione – D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) e di opportunità tra lavoratore straniero regolarmente soggiornante e lavoratore nazionale.
Si tratta di un principio stabilito dalla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 143 del 24 giugno 1975 che è stata ratificata dall’Italia con la legge 10 aprile 1981, n. 158.

Il fatto di prevedere che, in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno, debba essere ogni volta dimostrata la disponibilità di un alloggio idoneo, incide direttamente sulla possibilità dello straniero di accedere all’opportunità di impiego, specie se si considera che il rinnovo del permesso di soggiorno è strettamente collegato al rinnovo del contratto di soggiorno e, quindi, di un vero e proprio contratto di lavoro.
In pratica, laddove si dice che per accettare un’offerta di lavoro, e quindi concludere un contratto di lavoro, lo straniero deve avere dei requisiti diversi da quelli che sono generalmente stabiliti per un cittadino italiano, si è in presenza della imposizione di una condizione discriminante rispetto alle condizioni di accesso al mercato del lavoro dei cittadini italiani, che potrebbe essere considerata in contrasto con il principio di pari trattamento ed opportunità.
Esempio pratico – Un italiano, anche se dorme sotto ad un ponte, può stipulare validamente un contratto di lavoro e, quindi, cogliere un’opportunità; diversamente uno straniero che non ha un alloggio confortevole, non potrebbe stipulare validamente un contratto di lavoro, pur essendo validamente soggiornante.
Sarà solo l’interpretazione che darà la giurisprudenza a questa normativa a dirci se sarà legittimo o meno prescrivere questo requisito molto pesante in occasione di tutti i rinnovi dei contratti di soggiorno e, quindi, praticamente per tutta la vita del lavoratore straniero in Italia.

Variazioni del rapporto di lavoro, variazione del contratto di soggiorno

Sempre in riferimento al rinnovo del permesso di soggiorno – alias contratto di soggiorno – dopo l’ art. 36 del dpr 394/99 è stato aggiunto l’art. 36 bis che recita: Per l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, fermo restando quanto previsto dall’articolo 37, deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, di cui all’articolo 13. Il datore di lavoro deve comunicare allo Sportello unico, entro 5 giorni dall’evento, la data d’inizio e la data di cessazione del rapporto di lavoro con il cittadino straniero, ai sensi dell’articolo 37, nonche’ il trasferimento di sede del lavoratore, con la relativa decorrenza.

Dalla norma sopra riportata parrebbe evincersi che, anche quando un lavoratore dispone ancora di un permesso di soggiorno in corso di validità – avendo cessato per qualsiasi ragione il precedente rapporto di lavoro -, non basta che si trovi un nuovo rapporto di lavoro e che l’avviamento allo stesso venga comunicato dal datore di lavoro secondo le norme vigenti – che prescrivono tale comunicazione anche per i lavoratori italiani –, ma deve ripresentarsi col datore di lavoro presso l’UTG per stipulare un nuovo permesso di soggiorno.
Al di là di considerazioni più strettamente giuridiche, ciò non mancherà di produrre seri problemi perché gli UTG, per il momento, non hanno una disponibilità finanziaria per organizzare il personale, i mezzi e le strutture necessari a tal fine. Come pure è confermato dallo stesso Regolamento di attuazione, altro non saranno che uffici costituiti attingendo alle risorse già esistenti presso la DPL, la questura e la prefettura.In altre parole, l’organico rimane sempre lo stesso, si cambia la targhetta dell’ufficio e, in questo modo, si pretenderebbe di aumentare a dismisura gli adempimenti e, quindi, le complicazioni e le lungaggini burocratiche necessarie affinché un lavoratore straniero possa lavorare regolarmente.
Sappiamo che la durata dei permessi di soggiorno è stata mediamente ridotta in seguito alla legge Bossi-Fini (si veda l’art. 5 del Testo Unico sull’Immigrazione); ciòinbase alla regola per cui il permesso di soggiorno corrisponde alla durata del contratto di lavoro con la conseguenza che con contratti di lavoro precari i soggiorni saranno altrettanto brevi. Pertanto la frequenza dello straniero presso le questure è aumentata, intasando maggiormente le questure con conseguente aumento dei tempi di attesa.

La nuova normativa prevede che non è più sufficiente che uno straniero si presenti presso la questura alla scadenza del permesso di soggiorno, ma, addirittura, anche nel caso in cui per qualsiasi causa – dimissioni, licenziamento, riduzione di personale – perda il lavoro prima della scadenza del permesso di soggiorno, sarà costretto a presentarsi presso l’UTG per formalizzare il nuovo contratto di soggiorno e, in pratica, per rinnovare il permesso di soggiorno anche se ancora valido.

La cosa curiosa è che questa norma non prevede una sanzione.
Esempio pratico – Proviamo ad immaginare che un datore di lavoro si veda presentare un lavoratore munito di permesso di soggiorno in corso di validità che ha lavorato fino all’altro ieri in un’altra azienda e poi è stato licenziato oppure ha dato le dimissioni, e debba valutare la possibilità di assumerlo regolarmente nella scrupolosa osservanza delle norme di legge. Il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare immediatamente l’assunzione – ciò non desta problemi –, ma cosa potrebbe succedere qualora decidesse di formalizzare direttamente il contratto di lavoro ed avviare l’interessato al lavoro adempiendo tutti gli obblighi previsti, ma omettendo di richiedere l’appuntamento presso l’UTG per stipulare il contratto di soggiorno?
Si potrebbe applicare la sanzione penale prevista (art 22, comma 12 del T.U sull’Immigrazione) per il datore di lavoro che assume un lavoratore privo di permesso di soggiorno (si tratta dell’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di euro 5.000 per ogni straniero impiegato)?
Lo escluderei, in quanto le sanzioni penali si possono applicare solo nei casi espressamente previsti dalla legge, perché la norma penale è tassativa e non può essere applicata ai casi simili (che si assomigliano), ma solo nei casi espressamente previsti. Non vi sarebbe, quindi, una sanzione per il datore di lavoro.
Sarebbe necessario capire se al momento del rinnovo del permesso di soggiorno, in un caso come quello precedentemente delineato, la questura provveda ad autorizzare il rinnovo oppure non ritenga invece che questi abbia violato le norme in materia di ingresso e di soggiorno e rifiuti il rinnovo del permesso di soggiorno.
Si tratta di un problema interpretativo piuttosto serio, come pure è serio il problema organizzativo per cui gli UTG dovrebbero attrezzarsi a partire dal 25 febbraio 2005 con personale sufficiente per soddisfare “tempestivamente” tutte le domande relative alla stipula del contratto di soggiorno.