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da repubblica.it del 24 marzo 2005

Ho visto quella zattera fantasma, nessuno mi ha fatto intervenire

RAGUSA – Erano le 18.15 dell’altro ieri, il “Cartagena”, un peschereccio di Mazara del Vallo con 11 uomini di equipaggio al comando di Francesco Rifiorita, 42 anni, era impegnato nella pesca nel Canale di Sicilia, a circa 90 miglia a sud dell’isola di Lampedusa. C’era ancora luce ed in lontananza, a poco meno di un chilometro di distanza un membro dell’equipaggio aveva avvistato un barcone di poco più di 10 metri con un centinaio di persone a bordo.

Era un barcone di disperati, di clandestini africani, partito dalle coste libiche, navigava lentamente e rischiava di affondare. Il capitano Francesco Rifiorita ha lanciato via radio l’allarme e, dopo avere ricevuto la conferma della ricezione del suo messaggio da parte della Marina Militare Italiana, ha proseguito la navigazione e continuato a pescare. Ma di quella barca e di quei novanta o cento clandestini, fino ad ieri sera, non è stata trovata alcuna traccia. È affondato? È ritornato indietro? E poi: ma perché quel peschereccio non è intervenuto per salvare quei disperati? Il dramma di sempre.

Che deve fare il comandante di un peschereccio che avvista un barcone con clandestini a bordo? Secondo la legge del mare li deve soccorrere e se non lo fa può essere arrestato e condannato per strage ed omissione di soccorso. E se lo fa, com’è già accaduto, può essere denunciato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Ma davanti a questo dilemma l’altro ieri il capitano Francesco Rifiorita, non ha avuto nessuna esitazione, non ha fatto finta di non vedere ed ha subito avvertito la Marina. Lo abbiamo raggiunto via radio mentre era ancora impegnato nella pesca in mezzo al Canale di Sicilia. Ha appena appreso dalla tv di bordo che quel barcone è scomparso.

“Speravo che fossero raggiunti in tempo dai soccorsi, io ho fatto quel che dovevo fare” dice con voce triste il comandante Rifiorita.

E che cosa ha fatto?
“Erano da poco passate le 18 di ieri (mercoledì ndr) e mentre eravamo impegnati nella battuta di pesca abbiamo avvistato a circa un miglio di distanza quel barcone di legno. Era azzurro ed a bordo c’erano 90 o 100 persone. Erano tutti di colore e viaggiavano ad una velocità di 3-5 nodi verso Lampedusa”.

Perché non siete intervenuti?
“Ho fatto quello che ci impone la legge”.

Cioè?
“Ho subito attivato la radio e sul canale 16 ho lanciato l’allarme. Qualche minuto dopo il mio messaggio era stato ricevuto da una nave della nostra marina militare italiana che si è identificata come “Tavola 4″ (il nome in codice del pattugliatore Spiga ndr). Ci hanno chiesto informazioni più dettagliate ed io ho comunicato la posizione dell’imbarcazione, a circa 90 miglia a sud di Lampedusa e 60-70 dalle coste libiche. In attesa delle risposte ho continuato ad osservare quell’imbarcazione e quando mi hanno richiamato ho descritto qual era la situazione ed ho atteso. Poi la nave della Marina Militare mi ha detto che aveva ricevuto chiaro il mio messaggio e che sarebbero intervenuti”.

Non avete fatto altro?
“Noi facciamo quello che ci ordinano. È una situazione difficile e quindi mi attengo alle disposizioni”.

Ma la sua imbarcazione, il suo peschereccio Cartagine, avrebbe potuto imbarcare quei clandestini?
“Siamo undici uomini d’equipaggio ma in situazioni di emergenza potrei imbarcare altra gente, non so quante, ma ripeto io, come altri comandanti di pescherecci ci atteniamo alle disposizioni delle autorità marittime. Sono loro che debbono dirci se intervenire oppure no”.

E non vi hanno chiesto di soccorrerli?
“Nessuno mi ha detto di intervenire ma se avessi intuito che quell’imbarcazione poteva affondare non avrei certo aspettato un minuto di più”.