Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Un posto fuori dal mondo

Riflessioni sugli ultimi avvenimenti avvenuti a Lampedusa

** di Nicola Lombardo
(volontario di Emergency, attivista della Rete Antirazzista Siciliana)

Avete sicuramente la mia stessa sensazione quando sentite parlare di sudamerica, quando con questa parola si evocano generali, polizie, servizi segreti, violenze contro civili e popolazioni inermi. Questa è stata la sensazione avvertita nell’arco di due giorni, degli eventi che mi hanno fatto rivivere la sensazione del “muro di gomma”, di quella impenetrabile barriera che un potere certe volte erige contro le più o meno giuste istanze del più piccolo, del cittadino che si sente offeso in qualche suo diritto.
Questa è la cronaca di due giorni a Lampedusa, a protestare contro le deportazioni di alcune decine, centinaia di immigrati dal centro di permanenza temporanea verso destinazioni ignote. Due giorni che ho trascorso insieme con altri attivisti della Rete Antirazzista Siciliana, vivendoli con sensazioni profonde, emozioni che lasceranno segni forti e ricordi incancellabili. Non cercherò di usare i buoni criteri del giornalismo, primo fra tutti di separare notizie e commento, ma racconterò un diario in cui saranno presenti i fatti così come li ho visti e le sensazioni che avevamo in quei momenti. Non posso separare quei fatti da quelle emozioni. Non è umanamente possibile. Scrivere prima gli uni e poi gli altri è semplicemente al di fuori delle mie possibilità. Perché “questa è una sporca storia”, e questo racconto non è un romanzo noir né un’opera letteraria. E’ quello che ho dentro.
Arriviamo a Lampedusa il 19 Marzo in aereo, siamo in dieci, sappiamo che altri compagni della R.A.S. sono già lì e che altri ci raggiungeranno presto. Alla fine saremo in sedici. Oltre Cecilia e me volontari di Emergency, ci sono rappresentanti dell’ARCI, del Laboratorio Zeta, dell’Osservatorio Migranti Agrigento, della CGIL, di altre realtà associative siciliane che afferiscono alla Rete Antirazzista Siciliana.
Sappiamo che nei giorni scorsi ci sono già stati alcuni voli con destinazione ignota, che un gruppo di agenti venuti dalla Libia ha avuto accesso al cpt per conferire con gli immigrati detenuti. Perché? Se fosse per riconoscere fuggitivi dalla Libia, ciò andrebbe contro le più normali regole del buon senso, oltre che a tutte le normative internazionali che regolano il diritto d’asilo. Infatti, qualunque persona fuggisse per motivi politici dal proprio paese non avrebbe nessun interesse ad essere messo nelle mani delle autorità del proprio paese. Ufficialmente è per scoprire da quale porto libico fosse avvenuta la partenza. Ma perché dei libici dovrebbero scoprire in Italia da dove provengono dei migranti e non possono farlo con delle indagini nella stessa Libia? E secondo quale legge o regolamento costoro possono accedere al cpt, mentre all’ UNHCR/ACNUR (all’ACNUR!) non è stato permesso?

Durante l’atterraggio si vede il cpt che è adiacente all’aeroporto, ci sono alcune persone che passeggiano nel cortile, forse un centinaio, mentre sulla pista c’è l’aereo dell’Air Adriatic che sappiamo già essere il mezzo usato per questi “trasferimenti” (i giornali della mattina riportano il commento del ministro Pisanu che attacca chi definisce “deportazioni” tali trasferimenti; vedremo alla fine di questo diario qual è la definizione più appropriata).
Non è un bell’impatto vedere l’aereo e poco distante la barriera del cpt, una rete protetta da plastica verde e con il filo spinato sopra. Sappiamo che succederà qualcosa, io guardo tutto con la stranissima sensazione di un museo dove si studia la storia del futuro, sto visitando un luogo dove so già che cosa accadrà. Entrati in aeroporto si srotolano gli striscioni, si fanno le prime riprese e le prime fotografie.
Mimma è intervistata dal Tg3. L’intervista andrà in onda alle 14, alcune riprese di noi che reggiamo lo striscione della R.A.S. faranno parte anche dei servizi della serata, è presente anche un operatore di Sky. Polizia e carabinieri presidiano le uscite, non hanno l’aria minacciosa.
Presentiamo alle autorità una richiesta (che sappiamo vana) di ingresso di una delegazione formata da Carmen, Zaher, Cecilia ed io, dentro il cpt.
Verso le 15 cominciano ad uscire i primi immigrati, sono scortati da un uomo ciascuno, molti hanno degli asciugamani al collo, quasi tutti salutano i loro compagni dietro il recinto del cpt, non sanno qual è la loro destinazione, credono di andare in Italia. Neanche noi sappiamo qual è, ufficialmente non si sa, ma è certo che ad Ottobre ci sono già state deportazioni come queste, dirette verso la Libia, e si sa dall’ Espresso di questa settimana che il governo libico ammette ufficialmente la morte di 106 di queste persone durante il trasferimente dall’ aeroporto di Tripoli verso le frontiere nel deserto.
106 persone
1, 2, …. 106 persone.
Ufficialmente.
Lo scrivo in questo modo: il governo italiano ad Ottobre ha autorizzato il rimpatrio di alcune centinaia di clandestini e 106 di essi sono morti durante il trasferimento. E rinvio a dopo una revisione di questa affermazione.
In aeroporto vengono urlate le nostre ragioni, si cerca di informare i viaggiatori che stanno per salire sull’aereo della Meridiana per Palermo sul mancato rispetto dei diritti di questi immigrati, sulle condizioni igieniche all’interno dei cpt, sul dispregio delle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, sulle violazioni della stessa legge sull’immigrazione, la famosa Bossi-Fini già abbastanza ingiusta e restrittiva, ma continuamente disattesa essa stessa dalle autorità italiane. Arrivano di corsa poliziotti con manganelli a presidiare le zone di vicinanza tra aeroporto e cpt.

All’esterno alcuni di noi urlano Hurrìa (Libertà) verso il cpt, continuano ad arrivare forze dell’ordine; Zaher, palestinese residente in Sicilia, urla in arabo verso gli immigrati all’interno del cpt, li avvisa della possibilità di richiedere asilo politico, del loro diritto di incontrare un avvocato, della vera destinazione dell’aereo : la Libia.
Sulla pista qualcuno cerca la fuga, la speranza si trasforma forse in disperazione, assistiamo, cazzo!, drammaticamente, a due squadre che giocano a guardie e ladri sulla pista dell’ aeroporto; forse in quattro, o sono di più? hanno tentato la fuga, uno o due sono inseguiti dall’altra parte delle recinzioni. Vedo uno che improvvisamente smette di fuggire, di scartare per prendere in controtempo l’inseguitore, capire che la sua fuga non porterà da nessuna parte, e avvicinarsi mesto, tranquillo al poliziotto che cercava di acchiapparlo. Altri sono presi e scortati sull’aereo. Scatto foto, ma senza convinzione, la mente è occupata a valutare la tristezza di tutto ciò. Ci sono l’emozione, l’esaltazione, quasi il tifo, scappa, corri, dài, dài!, e la conoscenza, maledetta fottuta conoscenza, che l’aeroporto è recintato, non hai dove scappare, siamo su un’isola, non hai dove andare.
Arriva l’equipaggio dell’ Air Adriatic, hostess gran fighe e piloti sicuri, scendono in pista, salgono sull’aereo e poi alcuni di loro vanno via, forse non tutti sono necessari, ma nel posteggio dell’aeroporto Pietro, Maurizio ed altri li accolgono al grido di “complici!”.
Cerco di documentare tutto ciò, scatto foto di volti e situazioni presenti, di isolani che ridono alle nostre manifestazioni ed alle urla dei più agitati di noi, di quelli che mostrano gli striscioni, foto di chi parla, dell’auto con dentro l’equipaggio che va via. Dopo aver ripreso un uomo che sta discutendo animatamente ricevo dallo stesso un pugno sulla macchina fotografica, che si guasta. Il tizio viene allontanato dai presenti, salvo poi ripresentarsi poco dopo all’interno dell’aeroporto e continuare con le sua minacce nei miei confronti. Alzo le braccia in alto e chiedo l’intervento dei carabinieri, che non si muovono. Solo quando chi cerca di allontanarlo crea un inizio di colluttazione, arriva finalmente la forza dell’ordine. Mentre viene allontanato mi grida che mi merito una pallottola in testa. Tutto sotto le telecamere. Carmen, avvocata, intima ai carabinieri di identificare immediatamente il permaloso, ma l’inseguimento è una barzelletta, il mio aggressore va via a passo d’uomo inseguito a passo di lumaca da un carabiniere svogliato. Il maresciallo al servizio sicurezza dell’aeroporto dichiara di non poter raccogliere denuncia per la mancanza del sigillo nell’ufficio e di non poter darci i nomi dei carabinieri testimoni dell’accaduto. Mi chiede di andare con lui al Pronto Soccorso (ho solo un graffio sulla mano dove il pugno del tizio mi ha preso di striscio!) e vuole portarmi alla caserma dei Carabinieri dove potrò sporgere denuncia. Carmen dice che non è necessario, rimaniamo in aeroporto.
Ci è chiaro che le persone che erano fuori non erano dei passanti; l’aeroporto è alla fine di una strada, e per quanto adiacente al paese, per arrivarci bisogna volerci arrivare, non è un luogo di passaggio. Si tratta di una provocazione?
La voce di Mimma ci avvisa allarmata che stanno scaricando una persona esanime dall’aereo. Quattro persone portano fuori un immigrato svenuto, che non sanguina, e viene caricato su un furgone che passerà dall’aeroporto direttamente dentro il cpt.
Nel cortile intanto l’eccitazione è visibile, le persone si muovono, parlano, corrono, ma non ci sono evidenze di vandalismi o violenze di nessun tipo. Altri due furgoni della Polizia arrivano a velocità ed entrano dentro il cpt. Non sappiamo che cosa succede: c’è un tentativo di rivolta? sono soltanto rinforzi? qualcuno sta per essere picchiato? e dentro l’aereo? perché quel ragazzo è svenuto?
I portelloni dell’aereo si chiudono, mi accorgo che una rabbia sorda si sta impadronendo di alcuni di noi, Mimma apre una bandiera della pace davanti a due poliziontti, ha un diverbio con loro, guardatela, forse vi fa bene guardarla, questa bandiera; mi avvicino e il più delicatamente possibile la allontano un po’, sperando di consolarla. Guardiamo l’aereo che si muove sulla pista, dopo le urla e la confusione delle ore precedenti il silenzio è violento.
Che ore erano quando è partito l’aereo? E chi lo sa? Le 16? Le 17? Quanti ne moriranno nel deserto libico, questa volta ? Che importa il numero? Cominciamo con il solito casino sulle cose che abbiamo fatto, su quelle che avremmo potuto fare, sulle opportunità che ci avrebbe concesso la presenza delle senatrici Chiara Acciarini e Tana De Zulueta che sappiamo dovrebbero arrivare più tardi. Ci chiediamo se la nostra presenza serva ad alimentare speranze vane, a fare picchiare le persone o se serve a salvarne qualcuno. Non mi è mai piaciuto compiere azioni eclatanti, occupazioni, sfondamenti, resistenze, né mi piacerebbe farlo adesso, è una situazione che verrebbe quasi ignorata dai media, che non scuoterebbe nessuno se non persone già sensibili al problema. Se qualcuno pensa ad azioni di forza non lo dice, comunque. Decidiamo di aspettare e vedere che cosa succede. Pietro, Enrico e Zaher vanno al porto intervistati da Rosa Riccardi del tg3, il consiglio che nessuno dà ma tutti seguono è di non camminare da soli, sappiamo che la popolazione è ostile a tutto ciò che ponga la loro isola sotto l’attenzione dei mezzi d’informazione, a meno che non si tratti di turismo o di vantarne la bellezza del mare. E lo si è capito dallaccoglienza riservata alla mia macchina fotografica.
Tra le persone venute a manifestare contro i manifestanti, nel pomeriggio, c’è anche Angela Maraventano, la fondatrice del movimento della Lega Nord a Lampedusa, colei che sta cercando di cambiare la provincia di appartenenza dell’isola da Agrigento a Bergamo. Discute a lungo con Ignazio, resteranno ognuno della propria opinione, per quanto civile sia stato il loro dialogo.
Il sentimento di popolo non gradisce gli immigrati, è favorevole all’espulsione immediata, non vuole che si parli dell’isola se non in modo positivo. Dipendono economicamente dal turismo e non possono permettersi di perdere la principale delle fonti di guadagno.
Il senso di comunità che si sviluppa soprattutto nelle isole ha determinato una chiusura verso l’esterno? E dall’esasperazione di questa chiusura che nasce il “No agli immigrati”? E’ da lì che deriva la determinazione a voler risolvere sul posto i problemi del posto? L’ostilità verso di noi? Sono riflessioni del tutto personali, interrogativi che mi pongo durante quell’attesa di altri eventi all’interno del cpt. Non pretendo di fornire spiegazioni.
La pista è vuota, si fa buio, non succede nient’altro, decidiamo di andare verso l’alloggio per guardare i telegiornali e mangiare qualcosa, torneremo più tardi ad attendere le senatrici.
Mentre camminiamo in gruppo noto che siamo oggetto di sguardi poco piacevoli da parte degli abitanti (sono diventato paranoico? sono nervoso?).
I filmati della tentata fuga, che ha registrato Enrico, sono stati passati alla Rai in cambio non di denaro ma di una semplice promessa: nel servizio sarebbe stata citata la Rete Antirazzista Siciliana e sarebbe stato usato il linguaggio adatto : non clandestini ma migranti, non centro di accoglienza ma centro di detenzione temporanea, non rimpatri ma deportazioni. Sarebbe stato trasmesso dal tg3 e dal tg1. Ma abbiamo fatto i conti senza l’oste, il tg3 diventa il tg3 regionale, e al tg1 il servizio è stravolto, le immagini durano pochissimi secondi, il linguaggio non è quello richiesto da Enrico, noi siamo definiti “dissidenti”, dopo il servizio la giornalista che legge le notizie ha la brillante idea di commentare con le seguenti parole : “Immagini drammatiche, se vogliamo”. Vabbè, solo se vogliamo, però.
Ritorniamo in aeroporto per l’arrivo delle senatrici Acciarini e De Zulueta, che arriveranno accompagnate da un assistente e dall’avvocatessa Ballarini. Aggiornate su quanto avvenuto, decidono di entrare immediatamente al centro. I parlamentari, secondo le leggi vigenti, hanno diritto d’accesso sia alle carceri che ai cpt.

Ci avviciniamo al posto di controllo davanti l’ingresso del cpt, al buio ad attenderci c’è un’auto dei carabinieri con un ufficiale, il quale uscendo dalla macchina, dice “Buonasera, senatrice De Zulueta”. Le senatrici non avevano avvisato del loro arrivo, ma erano ugualmente attese, e non se ne fa mistero.
Viene presentata domanda di ingresso, l’ufficiale entra negli uffici per telefonare al Prefetto di Agrigento, e tramite lui chiedere il consenso del Ministero dell’Interno; ne esce dopo una decina di minuti con una risposta negativa, al che le senatrici chiedono di poter parlare al telefono col Prefetto. Quella che segue è una delle scene più surreali alla quale io abbia mai assistito: alla luce fioca di un telefonino rivolto verso le senatrici per poter effettuare le riprese televisive, circondate da “dissidenti”, ufficiali della Polizia e dei Carabinieri e da giornalisti, le senatrici espongono chiaramente, con molto garbo e fermezza, la loro intenzione di entrare al centro; dal telefono arrivano dinieghi per ragioni di privacy nei confronti dei migranti rinchiusi. In effetti, a pensarci bene, è perfettamente logico che gli si neghi il diritto di un avvocato, e poi gli si dia il diritto alla privacy.
Alla disponibilità delle senatrici ad accedere nei soli uffici, che sono separati dagli alloggi da una barriera fisica, e quindi non interferendo con il sonno e la privacy dei rinchiusi, la motivazione diventa che non c’è il responsabile del centro (“è in tenuta notturna”) e che quindi non c’è nessuno che possa accompagnarle.
Alla richiesta più decisa delle senatrici di richiamare il Gabinetto del Ministero dell’Interno per avere accesso in ottemperanza al diritto di due parlamentari, ed in conseguenza delle ricadute politiche che avrebbe un ulteriore divieto, la risposta diventa “motivi di ordine pubblico, al centro le senatrici non possono accedere nelle ore notturne”. Chiuso.
Muro di Gomma, abbiamo detto.
All’ACNUR no, perché alle senatrici sì?

Il secondo giorno. Alle 6.30 siamo di nuovo davanti ai cancelli, viene presentata nuova richiesta per l’ingresso, ma l’attesa della risposta si fa lunga. Cominciamo a renderci conto che il muro di gomma è in realtà un muro di cemento, non c’è alcun aereo in attesa sulla pista e due rappresentanti del popolo italiano stanno aspettando da ieri sera di entrare al centro di permanenza temporanea di Lampedusa.
Vado al porto con Nando ed Enrico, che deve partire per Porto Empedocle. Le senatrici hanno avuto notizia tramite il prefetto di Agrigento che 120 migranti saranno trasferiti a Crotone e quindi imbarcati in mattinata. Durante il tragitto siamo osservati dalle persone che sostano davanti i bar; tutti tacciono mentre passiamo noi, ci fissano. E’ evidente che siamo estranei e disprezzati. Si accosta il camioncino di un pescivendolo:
“Ma com’è finita? Li hanno portati via quei poveracci?”
Quest’approccio puzza, e non solo di pesce. Infatti di lì a poco il tono da finto cordiale diventa minaccioso, ci urla ripetutamente “Ve ne dovete andare, i lampedusani vi macineranno! Andatevene, vi macineranno!!”. Più chiaro di così…
Sul molo assistiamo al carico del traghetto, i camionisti che entrano con i rimorchi ci passano molto vicini per fare manovra, ci fissano dall’alto delle loro cabine, noi abbiamo poco spazio dietro, uno di essi cerca anche di schiacciare con le ruote la borsa di Enrico contenente la sua attrezzatura per le riprese.
Cominciano ad arrivare i primi furgoni con i migranti da trasferire, li fanno scendere a gruppi di dieci, la situazione è tranquilla, Nando si avvicina e dice loro “Arrivederci”. Hanno quasi tutti un asciugamani, un po’ d’acqua, un sacchetto della Misericordia (l’associazione che gestisce l’ “accoglienza” al campo). Quasi sicuramente non sono stati identificati, non hanno potuto telefonare (il telefono al campo è misteriosamente rotto), non hanno ricevuto la visita di un avvocato, non sono stati informati dai loro diritti. Sono praticamente dei fantasmi. Tutti noi abbiamo un documento d’identità, che garantisce del nostro essere cittadini, che a sua volta ci impone un miscuglio variabile di regole e libertà. Loro non esistono. Teoricamente la loro esistenza è affidata a un elenco nel cpt. Ma questi elenchi non sono divulgati molto facilmente, e quando lo sono rivelano incongruenze micidiali. Tra i deportati dell’Ottobre scorso c’era una percentuale altissima di Mohammed Alì. Come se in una comunità rappresentativa di italiani ci fosse una marea di Mario Rossi. E’ palese, evidente, chiaro, lampante, che costoro non erano stati identificati, che avevano fornito il primo nome a disposizione perché non si fidavano del funzionario che avevano davanti al cpt. Che non hanno ricevuto informazioni sui propri diritti, e che anzi è stato fatto di tutto per tenerli all’oscuro.
106 morti ufficiali.
La legge italiana prevede che il provvedimento di espulsione sia “individuale”, e cioè che si sia certi dell’identità del migrante, che si valuti se ha i requisiti legali per la permanenza in Italia, e in caso contrario che il trasferimento coattivo alle frontiere venga convalidato da un giudice di pace. Nessuno ha mai visto questi provvedimenti, che essendo atti pubblici dovrebbero essere a disposizione di chiunque. Visto che tutto questo non può essere avvenuto, siamo in presenza di una violazione della legge. Persone detenute in un centro di permanenza temporanea per periodi anche superiori ai requisisti di legge per il fermo di Polizia, che non sono identificate, che vengono arbitrariamente caricate su un aereo e portate in un paese qualsiasi, la Libia, non sono semplicemente persone trasferite, sono gruppi consistenti di persone che vengono deportate. Queste sono dunque “deportazioni di massa”, nonostante gli sforzi del Ministro Pisanu di convincerci del contrario. Mi ricorda qualcosa studiato sui libri di storia e visto più volte in documentari e reportage.
La frase che avevo scritto nella prima parte del racconto comincia a diventare : il governo italiano ad Ottobre ha deportato alcune centinaia di migranti e 106 di essi sono morti nel deserto libico.
Ma non ho finito.

Il deputato regionale Lillo Miccichè prima e le stesse senatrici Acciarini e De Zulueta avevano già visitato il cpt di Lampedusa, poco dopo le deportazioni di Ottobre, e avevano constatato l’assoluta inumanità delle condizioni di vita nel campo: cessi senza porte al centro del campo (e la privacy tanto cara al Prefetto di Agrigento?), spazzatura dappertutto, fetore insopportabile, liquami, letti composti solo da un foglio di gommapiuma senza alcun lenzuolo né coperta, direttamente poggiati a terra. Scarsità di acqua per l’igiene personale. In questi posti dove ufficialmente possono vivere 190 persone nei giorni scorsi sono vissuti più di 650 immigrati contemporaneamente, in quali condizioni è facile immaginarlo. Come definire questo insieme di cose?
Un centro di accoglienza? (risate di sottofondo)
Una stalla? Un lager? Per essere come questi ultimi mancano solo le camere a gas o i campi di lavoro forzato.
Tutto già riportato al Parlamento, a conoscenza delle autorità, ma solo la Rete Antirazzista Siciliana e pochi altri si sono preoccupati di divulgare in continuazione questa realtà.
Ecco quindi che il quadro della deportazione è quasi completo: immigrati sbarcati o intercettati in mare sono rinchiusi senza diritti in una stalla/lager e deportati in Libia dove affrontano viaggi nel deserto che sono mortali per molti di essi.
Tutto grazie al governo italiano, all’indifferenza dei nostri concittadini e in barba anche alle autorità e alle convenzioni internazionali.
Il nostro governo lo sa, glielo ha detto il governo libico, è stato anche pubblicato dall’ Espresso n° 11 (data di copertina : 24 Marzo 2005) in edicola in questi giorni, che queste persone muoiono, ma continua a deportarle. Come si chiama in termini giuridici la mia colpevolezza per la morte di una persona dovuta indirettamente ad una mia azione, pur consapevole delle conseguenze? Come se io disinserissi o facessi disinserire il freno a mano di un’auto in discesa puntata verso un gruppo di persone sedute all’aperto. Come se io facessi salire dei bambini su uno scuolabus guidato da un cieco. Concorso in omicidio colposo plurimo, credo.
Aggiungiamone un’altra: chi ha mai visto l’accordo firmato tra il Presidente del Consiglio Berlusconi e il dittatore Gheddafi il 25 Agosto scorso? Il Parlamento italiano no. I cittadini italiani no. Chi ci garantisce che esista realmente e che rispetti la legalità internazionale? Berlusconi e Gheddafi.
Un’altra ancora : in base a quali informazioni il governo italiano deporta queste persone proprio verso la Libia? Sono effettivamente tutti libici? E se non li ha identificati come fa a saperlo? Sta cioè arbitrariamente deportando persone in un paese qualsiasi. Molti di essi si suppone che non siano libici, di alcuni di essi lo si sa per le poche informazioni raccolte dalle senatrici ad Ottobre. Ma secondo i principi di diritto internazionale non si possono deportare persone (ad esempio egiziani) in un paese terzo (come la Libia). E allora? Sono violate non solo le leggi italiane, ma anche quelle internazionali.
Riassumiamo : violazioni delle leggi italiane, violazioni delle norme internazionali, mancato rispetto degli standard minimi relativi ai diritti umani (Convenzione di Ginevra, Carta dei Diritti dell’Uomo, etc).
Scrivo definitivamente la frase della prima parte del racconto, che diventa : il governo italiano ad Ottobre ha deportato, in barba a tutta la legalità nazionale ed internazionale, alcune centinaia di migranti e poiché 106 di essi sono morti nel deserto libico, si è reso complice nella morte colposa di essi.
Questo è quello che i mezzi d’informazione avrebbero dovuto scrivere da allora e che dovrebbero continuare a scrivere anche oggi.
….
Nel frattempo le senatrici sono riuscite ad entrare nel campo dopo tre ore di attesa all’esterno, dalle 6.30 della mattina. Sono accompagnate dall’avvocata, dall’assistente e dall’interprete. Riescono a conferire solo con cinque donne e un minorenne; costoro raccontano di aver paura, che nessuno ha detto loro la destinazione dell’aereo partito il giorno prima, che qualcuna di loro ha bisogno di cure continue e medicinali, che ci sono altri minorenni che non si palesano tali per paura di essere separati dal resto della famiglia. Dicono che non hanno la possibilità di telefonare, chiedono loro se possono usare il cellulare per avvisare famiglie e amici che li aspettano da qualche parte. L’interprete non può fare a meno di ascoltare quelle telefonate che si svolgono di fronte a lui, uscirà ammutolito dal centro, lo vedremo il resto della giornata piuttosto taciturno e scosso.
Altri compagni della RAS sono andati dall’altra parte del recinto, e da una distanza di un centinaio di metri cercano di parlare con alcuni migranti dall’altra parte della rete, sotto gli occhi della Polizia. Quelli parlano in inglese, sono egiziani, verranno deportati in Libia. Chiedono aiuto. Dicono di essere in sciopero della fame da due giorni. Dicono che il giorno prima non ci sono state sommosse all’interno del cpt, che il ragazzo portato a braccia dall’aereo ha avuto un collasso, e che dentro l’aereo aveva assistito a pestaggi. Chiedono se in Italia c’è libertà, se c’è un governo, hanno le idee confuse, hanno tutti molta paura, e di sicuro non vogliono andare il Libia. Chiedono perché non viene a trovarli un rappresentante del Papa. Riferiscono che alcuni di essi stanno per essere ammanettati. Sono quelli destinati all’imbarco per Porto Empedocle?
Tutto ciò mi è raccontato al mio ritorno all’aeroporto, dopo aver assistito all’imbarco sulla nave di una sessantina di immigrati (alla fine ne saranno imbarcati 120). C’erano anche sky, il tg3 e Saverio Lodato che conosce bene Lampedusa e che sull’Unità scrive articoli molto precisi su ciò che accade.
Rientro all’aeroporto, di lì a poco arriverà di nuovo l’aereo dell’Air Adriatic, lo stesso del giorno prima, riconoscibile anche dal motto scritto sulla fiancata : No guts, No glory.
Si inizierà anche l’imbarco di questo volo, ma, incredibile, il Prefetto di Agrigento non è al corrente di quest’imbarco (!!!). Destinazione ufficiale: sconosciuta. Migranti imbarcati : 49. I giornali riferiranno il giorno dopo che la destinazione è stata Bari.
Assistiamo stavolta con mestizia a queste operazioni. Ci sono alcuni carabinieri in tenuta antisommossa, ma proprio oggi non abbiamo alcuna voglia di striscioni, slogan e nient’altro. I migranti che sono accompagnati alla scaletta stavolta non salutano i loro compagni.
Le senatrici seguite dai loro assistenti tornano davanti al cpt per chiedere una nuova visita, visto che per oggi non sono previsti altri “trasferimenti”. Rimarranno altre ore ad aspettare, ma il Prefetto rifiuterà ancora una volta l’ingresso.
Sembra tutto finito, ma non è così. Siamo fuori che aspettiamo che arrivi l’orario del nostro imbarco per Palermo, quando arriva il mio aggressore di ieri, accompagnato da cinque energumeni. Si siedono sul muretto ad una quindicina di metri da noi e cominciano a fissarci. A scherzare fra di loro e a fissarci. A ridere e a fissarci. Qualcuno riconosce, tra i cinque, qualche poliziotto/funzionario/collaboratore tra quelli che il giorno prima hanno partecipato all’imbarco del primo aereo.
Molto bene, tutto quadra.

Quella del giorno prima era una provocazione con tutti i crismi, il carabiniere non ha insistito molto ad inseguire il quasi collega perché lo conosceva, oggi sono tornati per ricominciare il lavoro lasciato ieri in sospeso.
Qualunque persona dotata anche solo di un paio di neuroni penserebbe la stessa cosa. Sono abbastanza preoccupato, in aeroporto non c’è nessuno, noi siamo una decina tra cui alcune ragazze; le senatrici e le avvocatesse sono all’ingresso del cpt. Se questi volessero, ci “macinerebbero” sul serio, come mi ha promesso il pescivendolo stamattina. I carabinieri ci proteggerebbero? Adesso dico sì, ma in quel momento non lo sapevo con sicurezza. Pensavo al sudamerica, pensavo all’ostilità del paese, pensavo che avrebbero cercato il minimo pretesto per venire alle mani. Passiamo un’ora abbastanza tesa, il gruppo continua a fissare chi rimane fuori, cercano di coinvolgere Pietro in una discussione. Alla fine andranno via mentre nessuno se ne accorge. Infine registriamo l’ostilità dell’impiegato al controllo delle carte d’imbarco. Fino all’ultimo………….

L’ultima parola va a quello che effettivamente “è” Lampedusa, fuori dall’emotività di quei due giorni: è uno di quei posti che condensano la lontananza, dove si riesce a distillarla, a concentrarla; dove gli abitanti lottano ancora per un’esistenza decente, che hanno trovato nel turismo il riscatto a secoli di storia difficile, tempestosa, prima sotto il terrore delle razzie dei pirati, poi terra dimenticata da un’Italia indifferente che si ricorda di essa solo se Gheddafi le lancia due missili o quando deve decidere la meta di una vacanza. Lottano perché hanno sempre lottato, contro il mare, contro un’isola su cui si coltiva pochissimo. Poca acqua, poco cibo, poca cultura, difende quel poco che ha guadagnato negli ultimi anni. Ha paura che i turisti la tradiscano se si parla troppo dei migranti.
Non ha un servizio sanitario adeguato. Le persone muoiono, per questo, anche giovani. E lo sappiamo per certo.