Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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da Il Manifesto del 2 aprile 2005

Cittadini di confine

di Sandro Mezzadra

In primo luogo, le iniziative di oggi si pongono direttamente sul terreno europeo. In questione non è certo un’adesione supina all’Europa del trattato costituzionale. Nella contestazione radicale di un istituto chiave delle politiche migratorie europee – i centri di detenzione amministrativa – la mobilitazione di oggi trova anzi uno dei suoi motivi unificanti. Più in generale, i centri di detenzione sono contestati, oltre che per lo scandalo che la loro mera esistenza rappresenta, in quanto simboli di un insieme di processi che stanno disegnando il profilo materiale della cittadinanza europea in formazione, attraversata e divisa da molteplici confini. Al tempo stesso, tuttavia, è proprio il movimento sociale dei migranti a indicare quotidianamente come lo Stato nazionale sia ormai un contenitore troppo angusto non solo per i capitali, ma anche per le pratiche che si vogliono antagoniste. L’Europa disegnata dai movimenti migratori è certo diversa da quella di Schengen e di Maastricht: è nondimeno lo spazio politico immediato su cui quei movimenti sfidano a misurare la propria immaginazione politica e le proprie proposte chiunque si impegni per la costruzione di alternative all’esistente.

La libertà di movimento dei migranti, la parola d’ordine delle mobilitazioni di oggi, non ha in questo senso nulla di retorico. Più che indicare una rivendicazione, si propone di definire l’orizzonte al cui interno si iscrivono già ora le pratiche e le lotte quotidiane dei migranti in tutta Europa: pratiche e lotte che proprio sul terreno strategico della mobilità si dispongono, ponendo in evidenza l’intensità delle tensioni e degli scontri che su di esso si determinano. I processi che stanno oggi ridefinendo la figura della cittadinanza e il «mercato del lavoro» hanno tutti al centro il controllo selettivo della mobilità, lo scatenamento di alcune sue forme, l’«imbrigliamento» o la radicale negazione di altre. È un terreno che non è ancora stato apprezzato fino in fondo dai movimenti (per non parlare delle forze politiche e sindacali che a essi si dichiarano prossime), troppo spesso irretiti in una critica del neoliberismo che rischia, essa sì, di risultare meramente retorica.

Sta qui la seconda ragione dell’importanza «generale» della mobilitazione di oggi. Assumendo la mobilità come terreno di conflitto, su cui si gioca oggi la ridefinizione delle figure del dominio e dello sfruttamento ma su cui si scaricano anche bisogni, desideri e pratiche soggettive che possono nutrire una reinvenzione dei concetti di libertà e di uguaglianza, essa pone una sfida che non riguarda solo i migranti. È la stessa composizione del lavoro vivo, sono le forme stesse della cooperazione produttiva a essere innervate da un insieme di conflitti che hanno al proprio centro il controllo della mobilità. Per questo, come sembrano aver compreso le reti europee che hanno puntato sulla costruzione di un nesso forte tra la mobilitazione di oggi e la costruzione della Euromayday 2005, il confronto con le istanze e con le lotte del lavoro migrante è uno dei presupposti ineludibili per poter affrontare in modo finalmente non subalterno problemi come quelli della flessibilità e della precarietà.