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La negazione del diritto d’asilo:il caso Italia

A partire dal 21 aprile 2005 è entrato ufficialmente in vigore il regolamento d’attuazione della legge Bossi Fini sull’asilo, norme che fanno dell’Italia l’unico paese europeo in cui, chi chiede asilo, verrà privato della libertà personale.
La procedura per accedere al riconoscimento dello status di rifugiato prevede infatti che i richiedenti asilo vengano rinchiusi in “centri di identificazione” che saranno sette e non a caso sorgeranno all’interno dei centri di permanenza temporanea (CPT), i moderni lager per migranti.

In base al nuovo regolamento di attuazione quindi, i richiedenti asilo per un periodo massimo di 35 giorni. In questo breve lasso di tempo sarà deciso, in gran fretta, il loro destino. Cosa ancor più grave è che gli eventuali ricorsi di diniego della domanda presentati al giudice, non sospenderanno l’eventuale espulsione.

Il rapporto curato dall’ICS, intitolato “Rifugiati in Italia: la protezione negata”, ricostruisce la storia del diritto d’asilo nel nostro paese. In questo lavoro emerge inequivocabilmente la percentuale irrisoria delle risposte positive alle domande di asilo, il poco tempo e la poca attenzione che la Commissione preposta dedica ad ascoltare la storia delle persone.
Più che di numeri bisogna infatti, parlare e riparlare di persone: di uomini, donne, bambini in carne ed ossa, che hanno un passato, una storia alle spalle.

Perdere un paese, una casa, una famiglia, perdere tutto ma non voler perdere la vita quindi, fuggire.
Fuggire da guerre, violenze e persecuzioni per arrivare in un paese straniero: questa è la condizione dei richiedenti asilo quando approdano in Italia. Cercano una protezione che, troppo spesso, viene negata.

Ancora oggi l’Italia rimane l’unico paese europeo a non avere una legge sul diritto d’asilo…

Oltre ai respingimenti di massa di migranti da Lampedusa verso la Libia (per i quali l’Italia recentemente è stata condannata dal Parlamento Europeo), ora il trattenimento dei richiedenti asilo in centri troppo simili ai CPT, parificandoli di fatto agli “irregolari” – vietato dalla normativa internazionale – sono elementi di un diritto negato che, non a caso, fa dell’Italia uno dei paesi industrializzati con il più basso numero di rifugiati e richiedenti asilo.

Crediamo sia importante rilanciare iniziative che vadano in controtendenza rispetto al quadro nazionale, per rivolgere invece un’attenzione particolare ai richiedenti asilo e rifugiati, con la volontà di garantire una più efficace e reale tutela dei diritti.