Una recente decisione del Parlamento europeo ha ritenuto che “le espulsioni collettive di migranti verso la Libia da parte delle autorità italiane, compresa quella del 17 marzo 2005, costituiscano una violazione del principio di non respingimento e che le autorità italiane siano venute meno ai loro obblighi internazionali omettendo di assicurarsi che la vita delle persone espulse non fosse minacciata nel paese di origine”.
Tra breve una delegazione del Parlamento europeo visiterà Lampedusa e della questione se ne occuperà anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha chiesto al Governo italiano tutta la relativa documentazione.
Appena pochi mesi fa il responsabile dell’associazione La Misericordia che cogestisce il centro di permanenza temporanea di Lampedusa, aveva dichiarato ad una delegazione parlamentare che all’interno di quella struttura una vera identificazione non era sempre possibile, vista l’emergenza in cui versa quasi sempre quello che la stampa si ostina a definire “centro di accoglienza”, e che le identificazioni delle migliaia di migranti giunti ad ottobre del 2004 ed a marzo del 2005 si sarebbero effettuate solo una volta che i migranti fossero stati trasferiti in un altro centro di permanenza temporanea (CPT).
Nessuna identificazione certa dunque per gli immigrati immediatamente respinti in quelle occasioni in Libia sulla base di una sommaria selezione etnica. Lo stesso rappresentante dell’associazione La Misericordia aveva dichiarato che lo scorso anno, quando nel centro erano ammassati oltre 1.200 migranti, non era stato possibile consegnare loro alcuna informativa relativa ai diritti e alla possibilità di chiedere asilo politico. Forse anche per questo si era negato l’ingresso per giorni persino al rappresentante dell’ACNUR.
Nel corso di una visita effettuata nel CPT di Lampedusa da un’altra delegazione parlamentare, il 1 maggio scorso, i responsabili delle forze dell’ordine si contraddicevano, affermando prima che a tutti gli immigrati veniva fornita una completa informativa, già al momento dell’ingresso nella struttura sui loro diritti e doveri, incluso il diritto di chiedere asilo, ma affermando successivamente che nei casi di “sbarchi di massa”, come si era verificato a ottobre ed a marzo, agli stessi migranti non veniva comunicata la destinazione finale dei voli che li avrebbero riportati in Libia, per motivi di sicurezza, per il timore che da questa comunicazione sarebbe potuta scaturire una rivolta.
E gli stessi problemi di “ordine pubblico” avrebbero suggerito di negare, o rinviare l’ingresso persino ai parlamentari ed ai rappresentanti dell’ACNUR, i quali non avrebbero neppure “insistito” troppo per visitare gli immigrati trattenuti all’interno del centro. Eppure sono ben documentate le proteste dei parlamentari e degli stessi rappresentanti dell’ACNUR ai quali era stato negato il diritto di visita.
Quando non si verificano sbarchi di massa, ma il centro funziona “a regime”, come si è potuto verificare nell’ultima visita, gli immigrati vengono trattenuti per settimane senza ricevere provvedimenti formali, e sono gli stessi decreti di respingimento e di trattenimento emessi dalla Questura di Agrigento che richiamano la data dello sbarco ( e dell’inizio del trattenimento) spesso anteriore di 15-20 giorni.
La convalida del giudice di pace, senza alcuna obiezione dei difensori di ufficio, che periodicamente si recano a Lampedusa proprio per effettuare le convalide, quando non sono previsti respingimenti collettivi, giunge dopo altri quattro giorni dall’adozione della misura di trattenimento, e segna definitivamente il destino del migrante, che inserito nel sistema informativo Schengen sarà considerato per sempre un “illegale”.
Quello che la stampa chiama ancora “centro di accoglienza” di fatto funziona come se non si trovasse sul territorio italiano, come una piattaforma off-shore, dove non sembrerebbe in vigore l’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione, che riconosce allo straniero “comunque presente” nel territorio nazionale i diritti fondamentali della persona umana riconosciuti dal diritto internazionale, dal diritto comunitario e dalla normativa interna.
Dalle risultanze documentali dei provvedimenti di trattenimento notificati agli internati si desume comunque una volta per tutte che il centro di detenzione di Lampedusa è un vero e proprio centro di permanenza temporanea , che dovrebbe essere disciplinato in base all’art. 14 del T.U. n. 286 sull’immigrazione, e non un centro di prima accoglienza e soccorso come sostenuto per anni allo scopo di giustificare il ritardo o l’inesistenza (della notifica) dei provvedimenti di respingimento e di trattenimento.
Già nel 2002 la Questura di Agrigento aveva risposto alle denunce dell’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), circa il mancato rispetto delle forme e dei termini dei provvedimenti di respingimento e di trattenimento, ammettendo che la struttura di Lampedusa era un vero e proprio “centro di permanenza temporaneo”, identico dunque per regime e destinazione agli altri che si trovano in varie parti d’Italia e soggetto dunque ai regolamenti ed alle direttive previste per i CPT; direttive che impongono riconoscimenti tempestivi e provvedimenti di convalida del trattenimento da parte della magistratura.
E’ adesso incontestabile che centinaia di persone dopo una identificazione sommaria sono state caricate su aerei civili e militari che le hanno deportate direttamente da Lampedusa in Libia senza ricevere provvedimenti individuali di respingimento. Nessuno ha rilevato la loro situazione personale, e lo scorso ottobre è stato persino impedito al rappresentante dell’ACNUR, dr. Humburg la possibilità di visitare gli immigrati.
Ancora durante i respingimenti collettivi da Lampedusa verso la Libia, nel marzo del 2005 il rappresentante dell’ACNUR ha potuto fare ingresso nel centro quando la maggior parte dei migranti era stata già respinta verso la Libia.
Ancora nel mese di aprile del 2005, di fronte alle critiche dell’ACNUR per la successiva operazione di rimpatrio collettivo realizzata nel mese di marzo da Lampedusa verso la Libia, il governo italiano non ha saputo fare altro che tentare una plateale strumentalizzazione delle posizioni assunte dai rappresentanti della stessa organizzazione con sede a Ginevra. Un successivo comunicato dell’ACNUR di Ginevra ha smascherato questo tentativo, chiarendo che non esisteva alcuna discordanza tra quanto dichiarato in Italia dai rappresentanti di questa organizzazione ai quali si era negato l’ingresso nel CPT di Lampedusa ed il contenuto delle posizioni dei vertici europei della stessa organizzazione.
I rimpatri collettivi da Lampedusa sono ormai una violazione del diritto internazionale e del diritto interno che si ripete periodicamente.
Malgrado le flebili voci di una parte dell’opposizione, i cui principali leader sono rimasti in silenzio anche dopo la dura condanna delle organizzazioni non governative più impegnate nella difesa dei diritti dei migranti ( AMNESTY, ICS e MSF), nel mese di ottobre dello scorso anno è continuato per sei giorni il ponte aereo da Lampedusa a Malta, anche con aerei militari.
Poi nel mese di marzo del 2005, la stessa operazione è stata ripetuta con aerei civili, noleggiati in quanto il governo libico aveva fatto sapere che non avrebbe accettato più voli militari di forze armate straniere sul proprio territorio. C’è ancora il rischio che – se si verificheranno altri sbarchi di massa – queste deportazioni verso la Libia possano riprendere.
Il ministro degli interni Pisanu ha rassicurato in più occasioni che queste operazioni di rimpatrio sono state conformi al diritto nazionale, alle convenzioni internazionali ed ai principi generalmente riconosciuti a salvaguardia dei diritti umani di qualunque persona.
In ogni caso sarebbero state effettuate identificazioni precise e consegnati “provvedimenti individuali” di respingimento.
Lo stesso ministro è giunto a definire “infame” chi parla di deportazioni.
Le procedure di accompagnamento forzato eseguite in Sicilia, camuffate da “respingimenti in frontiera”, adesso note, ma altre se ne erano consumate in silenzio nei mesi passati, costituiscono invece gravissime violazioni del diritto interno, del diritto internazionale e del diritto umanitario.
Si deve ricordare ancora una volta come l’art.2 del T.U. 286 del 1998, rimasto immutato dopo la legge Bossi Fini del 2002, riconosce allo straniero comunque presente sul territorio italiano- e tale certamente è l’isola di Lampedusa- i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme interne, dalle convenzioni internazionali in vigore, e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”.
Sia ad ottobre del 2004 che nel marzo scorso si è violata la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione italiana in quant le misure di trattenimento coattivo e di allontanamento forzato sono state adottate ed eseguite dalle autorità di polizia senza alcuna convalida da parte dell’autorità giudiziaria, convalida che sarebbe stata necessaria comunque a seguito dell’internamento nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa: almeno secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.105 del 2001, con un orientamento giurisprudenziale ribadito ancora con le più recenti sentenze della Corte pubblicate nel corso del 2004.
L’accompagnamento coattivo in frontiera, anche nei casi nei quali derivi da un provvedimento di respingimento ( differito) del Questore, è qualificabile come “misura limitativa della libertà personale” come tale soggetta alle rigide previsioni dell’art. 13 della Costituzione.
Dal momento dell’ingresso irregolare al momento dell’emissione del provvedimento di respingimento passa un lasso di tempo che non può sottrarsi al disposto costituzionale che impone la comunicazione all’autorità giudiziaria entro le 48 ore di ogni misura limitativa della libertà personale, e la convalida di tale misura entro ulteriori 48 ore.
Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale non è possibile disporre l’accompagnamento coattivo in frontiera ( anche nei casi in cui sia mancato il trattenimento temporaneo) prima che il provvedimento di respingimento o di espulsione sia stato stabilito o convalidato da un magistrato.
E dunque anche se si considera il trattenimento in un CPT come conseguenza di un intervento di soccorso in mare, se il trattenimento prelude alla misura dell’accompagnamento forzato in frontiera si dovranno rispettare i termini e le forme previste per tutti i provvedimenti limitativi della libertà personale.
E non si potrà certo sostenere che nel caso dei migranti “respinti” da Lampedusa in Libia si sia trattato di un respingimento in frontiera semplice, come se questi migranti non fossero mai entrati nel nostro territorio, unico tipo di provvedimento di allontanamento forzato che può essere adottato senza particolari formalità, a meno che Lampedusa non sia improvvisamente diventata una piattaforma galleggiante in acque internazionali.
Come ammesso dai rappresentanti della Misericordia operanti nel centro di Lampedusa e come confermato dalle testimonianze delle parlamentari che erano riuscite finalmente ad esercitare il diritto di visita, molte persone sono state espulse da Lampedusa verso la Libia anche tre giorni dopo il loro internamento senza avere ricevuto la notifica di provvedimenti formali.
In realtà si è assistito ad una utilizzazione illimitata della discrezionalità amministrativa delle autorità di polizia e del Ministero degli interni che hanno applicato l’art. 10 del T.U. in materia di respingimento in frontiera come se gli immigrati, giunti a Lampedusa o soccorsi in acque internazionali dalle nostre unità navali, non avessero mai fatto ingresso in Italia.
E invece qualunque ingresso, anche se per necessità di soccorso, integra la presenza effettiva dell’immigrato nel nostro territorio e l’adozione dei provvedimenti formali conseguenti, di allontanamento o di trattenimento temporaneo, disposti dal Prefetto o dal Questore.
Ma il ministro Pisanu insiste che si è trattato di accompagnamenti in frontiera adottati sulla base di provvedimenti individuali.
Dove sono questi provvedimenti, quando sono stati emanati e notificati ai destinatari delle misure di allontanamento forzato, quali possibilità di ricorso effettivo sono state accordate, sulla base di quali disposizioni le persone sono state condotte sugli aerei in manette ? O forse, adesso che le persone sono state allontanate verso la Libia, qualcuno proverà a metterci sopra una pezza? Alla fine, forse, si scopriranno decine di provvedimenti individuali ( o forse semplici schede di registrazione, quelle che abbiamo visto accatastate e già pronte all’uso nel locale della polizia scientifica del CPT di Lampedusa) di respingimento, documenti fotocopia nei contenuti e diversi solo per le generalità, le impronte digitali e le fotografie.
Appare evidente, anche sulla base dei filmati ripresi dalle televisioni, come a coloro che sono stati rimpatriati in Libia sia stato negato il diritto ad agire in giudizio “ per tutelare i propri diritti in materia civile, penale ed amministrativa” previsto dagli art. 6 e 13 della CEDU e dall’art. 24 della Costituzione italiana.
Si è inoltre violato l’art. 14 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo che riconosce tutti i diritti previsti dalla stessa Convenzione senza alcuna distinzione basata sul sesso, sul colore, sull’origine nazionale e che afferma che tutti devono avere eguale protezione davanti alla legge.
La selezione dei migranti irregolari e la scelta di quelli tra loro da rimpatriare immediatamente in Libia ha assunto carattere discriminatorio proprio per la discrezionalità e la sommarietà delle procedure di identificazione.
La esecuzione dei rimpatri forzati verso la Libia, eseguiti sulla base di intese ministeriali e di accordi operativi a livello di forze di polizia, ha costituito una gravissima violazione dell’art. 10.2 della Costituzione italiana secondo cui “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
E proprio a questa stregua il nostro governo, e l’intera catena di comando che ha predisposto ed eseguito le operazioni di rimpatrio hanno violato l’art. 3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo che vieta il respingimento dei migranti, anche se giunti irregolarmente, quando questo respingimento possa comportare “trattamenti inumani o degradanti”.
Potrebbe essere stato violato anche il diritto di asilo ( o di protezione umanitaria) riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra ed in termini molto più ampi dall’art. 10 della nostra Costituzione. E la Libia non riconosce la Convenzione di Ginevra del 1951, ne ha una normativa interna in materia di asilo.
Le procedure di respingimento collettivo sono vietate proprio perché non consentono la possibilità individuale di presentare istanza di asilo.
I mezzi di informazione hanno diffuso immagini agghiaccianti sulla sorte degli immigrati respinti dall’Italia in Libia, e poi caricati su camion diretti nel deserto, verso la frontiera egiziana o quella meridionale, anche a costo di abbandonare per strada qualcuno che non riusciva a restare aggrappato alla piattaforma del camion. Un vero campionario di trattamenti inumani e degradanti, anche ai danni di donne e minori, confermati dalla relazione dei delegati dell’Unione Europea che hanno visitato la Libia lo scorso anno, e dalla recente visita di una delegazione del Parlamento Europeo.
Le misure di accompagnamento forzato sono state eseguite nei confronti di persone visibilmente nella condizione di nullatenenti verso un paese che certamente non è il loro, e che non è dotato di alcuna struttura di accoglienza. Anzi, un paese che tratta gli immigrati irregolari come schiavi o come merce di scambio.
Ma probabilmente si dava per scontato che la maggior parte di questi sventurati sarebbe stata immediatamente deportata dalla Libia,ancora una volta verso altri paesi come già avvenuto poche settimane fa con voli da Tripoli a Khartoum, in Sudan, o verso l’Eritrea, proprio quei paesi nei quali migliaia di persone sono vittima di sanguinosi conflitti, o preda delle bande di trafficanti.
Si attende adesso la decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e l’intervento del Consiglio dell’Unione Europea per sanzionare definitivamente la inutile disumanità delle politiche espulsive poste in essere dall’Italia in questi anni.
Di certo, non costituisce un buon auspicio per la nuova Europa, e per il rispetto dei diritti fondamentali della persona, la decisione del Consiglio, nell’aprile scorso (coeva alla risoluzione comune del Parlamento Europeo di condanna dell’Italia) che ha dato il via libera all’accordo multilaterale di riammissione con l’Albania, ed ha ammesso la possibilità di una negoziazione di accordi di riammissione a livello comunitario anche con la Libia, mentre è noto a tutti che in questo paese non vengono rispettati i più elementari diritti della persona: dove la tortura e la detenzione arbitraria sono all’ordine del giorno, e che anche i paesi africani confinanti con la Libia si lamentano per il trattamento che la Libia infligge ai migranti provenienti da quei paesi, che vengono rimpatriati dopo essere stati espulsi, o respinti, dall’Italia.
Non sembra che i vertici politici abbiano percepito la gravità di queste violazioni e tratto le opportune conseguenze, ricollegando la responsabilità di questi abusi alle decisioni operative imposte dalle forze di governo.
Deve dunque diffondersi e rafforzarsi la capacità di denuncia delle gravissime violazioni del diritto interno ed internazionale, come sta avvenendo con la denuncia presentata da numerose ONG europee contro l’Italia per le espulsioni collettive eseguite da Lampedusa verso la Libia nell’ottobre 2004.
E’ un lavoro fondamentale che spetta tanto ai parlamentari, ai rappresentanti della cultura e della ricerca che indagano su questi temi, alle organizzazioni non governative.
Spetta alla magistratura italiana ed alle corti internazionali il ripristino del principio di legalità in materia di contrasto dell’immigrazione clandestina. Ma occorre anche elaborare al più presto una normativa alternativa rispetto a quella attualmente in vigore, superando la logica dei centri di detenzione e dei respingimenti collettivi e discrezionali, sottratti al controllo dei giudici.
I migranti costretti alla irregolarità dalla mancanza di norme sugli ingressi legali e dall’assenza di una normativa organica sul diritto di asilo ( e qui l’Italia è un caso unico in Europa) non possono essere genericamente definiti come”clandestini”, e quindi criminalizzati oppure trattati come esseri di specie inferiore.
Bisogna che i diritti fondamentali della persona umana vengano riconosciuti a tutti, con una particolare attenzione per i più deboli, come i richiedenti asilo, le donne ed i minori.
Nel riconoscimento di questi diritti fondamentali e nella possibilità di una loro effettiva tutela vanno individuati gli elementi costitutivi del “diritto di fuga” che può essere riconosciuto a quanti giungono nel nostro paese dopo viaggi “senza ritorno”, perché nessuna prospettiva di una vita dignitosa e di sicurezza potrebbero ritrovare nei paesi dai quali sono partiti o sono transitati.
Fulvio Vassallo Paleologo è docente presso l’Università di Palermo e membro dell’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione)