Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Tratto dal sito DeriveApprodi

Libri – I confini della libertà. Per un’analisi politica delle migrazioni contemporanee

a cura di Sandro Mezzadra

Il libro
Negli ultimi anni, attorno al tema delle migrazioni, si è andato intensificando un lavoro teorico di tipo nuovo, in primo luogo per il suo carattere programmaticamente interdisciplinare, per il positivo contaminarsi, nell’analisi dei movimenti migratori, di critica del diritto e sociologia, storiografia e teoria politica, etnografia e analisi economica, e in secondo luogo per il vincolo molto stretto che questo lavoro teorico intrattiene con la pratica politica, con lo sviluppo di forme di attivismo e di militanza per molti aspetti nuove.
I confini della libertà tenta di dar conto di questo nuovo tipo di lavoro teorico e politico, con l’ambizione di non avere nulla di occasionale: a dispetto dell’apparente (e per certi aspetti reale) eterogeneità dei capitoli che lo compongono, il libro è frutto di una fitta rete di rapporti. Gli autori e le autrici del volume si sono incontrati, hanno cominciato a scambiarsi idee e a ragionare su progetti comuni nelle occasioni più diverse, condividendo, non tanto un compatto modello teorico nell’analisi delle migrazioni “globali” contemporanee, quanto uno stile di lavoro.
Il volume si divide in due parti: la prima analizza le trasformazioni delle tecniche di controllo dei confini e l’emergere di un nuovo regime di controllo delle migrazioni, dando particolare rilievo alla prospettiva europea, la seconda invece presenta considerazioni teoriche e risultati di ricerche empiriche che documentano le forme di attivismo dei migranti in Gran Bretagna, negli Usa, in Canada, in Australia e in altri paesi, approfondendo categorie politiche e analisi storiografiche.

Interventi di: Anderson, Bojadzijev, Corrado, De Genova, Dietrich, Düvell, Hage, Karakayali, Mezzadra, Nyers, Papastergiadis, Rigo, Tsianos, Walters, Wright.

Sandro Mezzadra insegna Storia del pensiero politico contemporaneo e Studi coloniali e postcoloniali nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni: Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, 2001.

Un assaggio
Le migrazioni costituiscono una costante nella storia dell’umanità. Gli individui si muovono per un’infinità di ragioni, individuali o strutturali, economiche e politiche, e questa mobilità può avvenire a vari livelli – all’interno di una città, fra aree rurali e urbane, all’interno di un paese o di specifici confini culturali. Altre persone attraversano i confini e si spingono ancora oltre, verso altre città e regioni.
Alcune si spostano da una nazione all’altra, e una parte di queste varca diversi continenti. Tuttavia la migrazione ha un carattere storicamente determinato, assume forme specifiche e ha luogo secondo particolari condizioni economiche, sociali e politiche: può essere volontaria o forzata. Con l’affermazione del capitalismo e dei moderni Stati-nazione, a metà del XIX secolo, gli Stati intrapresero un’azione sistematica di controllo e contenimento dei movimenti di persone. Da questo momento ebbe inizio un profondo antagonismo fra il continuo processo di migrazione umana (Kubat – Nowotny, 1981), tradotto in un fondamentale diritto alla libertà di movimento, e la pretesa dei moderni Stati nazionali di esercitare la propria sovranità territoriale, difendere i confini e controllare gli ingressi. «I confini sono sorvegliati, e chi li sorveglia ha le armi», come ricorda Carens (1987, p. 251), e avrebbe potuto aggiungere: «…e le armi uccidono, e ci sono vittime». La tensione inerente al movimento delle persone si rivela in definitiva una questione di vita o di morte. «Molti appartenenti alle economie più prospere iniziano a concordare con la visione del mondo proposta da Raspail, cioè quella di un mondo diviso in due “campi”, separati e ineguali, dove i ricchi dovranno combattere e i poveri dovranno morire, posto che la migrazione di massa non debba sommergerci completamente»: è in questi termini che il teorico conservatore francese, nonché editorialista di «Le Figaro», è stato apprezzato dai consiglieri politici statunitensi (Kennedy – Connelly, 1994, p. 61). Tale prospettiva prepara il terreno non solo per una «militarizzazione del discorso sulle migrazioni» (Zolberg, 2001, p. 2), ma anche per una militarizzazione delle politiche migratorie, come rivela l’impiego di navi da guerra nei mari australiani, italiani o spagnoli a partire dal 2000. Tutto questo evidenzia la disponibilità della comunità internazionale a sacrificare la vita in nome della difesa dello status quo: territori recintati, esclusione sociale, ingiustizia e disuguaglianza. Questo saggio tenta di indagare innanzitutto la natura di questa tensione, considerando da una parte i migranti come attori sociali che esercitano una «libertà di movimento» attraverso cui rivendicano diritti e giustizia sociale, e dall’altra gli Stati-nazione quali loro controparti che privilegiano i propri cittadini a scapito delle popolazioni mobili, cui si riservano discriminazione ed esclusione. In secondo luogo, analizza l’apparente paradosso fra globalizzazione e regolazione dei processi migratori alla luce di un’economia politica delle differenze (salariali). Quindi ricostruisce l’emergere di un regime migratorio europeo, che in una prospettiva comparativa appare molto avanzato: risulterà così evidente come l’Ue estenda la propria influenza, ottenendo il sostegno di paesi terzi, attraverso pressioni economiche, politiche e persino militari (dal saggio di Franck Düvell).

pp. 288
euro 18,00