Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Liberazione del 31 agosto 2005

Storia del campo nomadi di Boscomantico

di Paola Bonatelli

Una storia travagliata, quella del campo di Boscomantico, che accolse nel 2003 i rom sgomberati dal primo insediamento voluto dalla nuova amministrazione. La giunta Zanotto sanò allora – era il 2002 e solo da alcuni mesi amministrava la città – una situazione di estremo degrado ereditata dalla precedente giunta di centro-destra, più di duecento persone che vivevano alle porte della città in condizioni spaventose. La gestione del primo campo rom scaligero fu affidata all’Opera Don Calabria, specializzata nell’assistenza delle persone con handicap, che però nel 2003 tentò di dimezzare le presenze. Un centinaio di persone furono trasferite in una struttura comunale, la scuola della Monsuà, e in alcune abitazioni, le altre lasciate per strada. Solo le feroci proteste e pressioni del movimento antirazzista impedirono la diaspora.
Dopo una settimana di permanenza in un edificio comunale in via di ristrutturazione, con assedio degli abitanti del quartiere che non volevano “gli zingari”, sostenuti da Forza Nuova e skinheads, un primo nucleo di famiglie fu trasferito a Boscomantico, in un’area di proprietà del ministero della Difesa. Era il settembre 2003.
A dicembre un altro centinaio di rom rumeni, che erano scappati durante lo sgombero ma erano poi tornati a Verona e dormivano sotto un cavalcavia, fu accolto nel campo. I bambini andavano a scuola o all’asilo-nido interno, ne nascevano di nuovi.
La svolta avviene quest’anno, quando il prefetto, su invito del ministero, comunica al comune che il 31 agosto scade la concessione dell’area. Il comune non demorde e stanzia quasi 700 mila euro per la realizzazione di un nuovo campo, adiacente al vecchio. Qui, però, fa sapere andranno solo coloro che sono in regola con le norme della legge, la famigerata Bossi-Fini.