Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da L'Espresso on line del 13 ottobre 2005

Clandestino di Stato

di Fabrizio Gatti

Da giorni non dovrebbe essere più qui. Ibrahim, 22 anni, egiziano del Cairo, occhiali spessi e faccia da bravo ragazzo, avrebbe dovuto lasciare l’Italia il 5 ottobre. Invece è andato ad abitare in Lombardia.
Ibrahim era tra i nove clandestini rilasciati dalla polizia con il foglio di via e il decreto di respingimento alla frontiera la sera del 30 settembre.
Tra loro c’era anche Bilal Ibrahim el Habib, 35 anni, in fuga dal Kurdistan iracheno: il nome e la storia che ho inventato per farmi recuperare in mare e assistere a una settimana di umiliazioni e violenze nel centro per immigrati di Lampedusa.

Nessuno del gruppo aveva intenzione di lasciare l’Italia. Tutti cercavano un lavoro. E Ibrahim l’ha trovato in una settimana. Basta una telefonata a un cugino per rintracciarlo e raccogliere il finale del suo viaggio.
Non gli hanno nemmeno chiesto cosa avesse studiato. Perché una laurea in Storia non serve a nulla se sei un immigrato clandestino in Italia.
Quello che il padrone ha guardato sono le sue braccia e le mani, abbastanza robuste per diventare un muratore.
Così adesso Ibrahim, sbarcato la notte di venerdì 23 settembre a Lampedusa, passa la giornata a riempire secchi di cemento in un grosso cantiere in Lombardia.
Lo fanno lavorare dodici ore al giorno per 3 euro l’ora. Questa almeno è la promessa: se sarà mantenuta, lo scoprirà a fine mese.
Un contratto a voce. Niente straordinari, niente assicurazione, niente contributi né assistenza medica. Ibrahim si considera fortunato perché i ragazzi come lui sono molto richiesti nell’edilizia al Nord. Costano un terzo rispetto a un muratore italiano, non possono protestare, non possono scioperare e se nel frattempo vengono scoperti ed espulsi, tanto meglio: c’è la possibilità di risparmiare sullo stipendio e sugli arretrati.

L’immigrazione clandestina non è un business solo per gli scafisti egiziani e i trafficanti libici e tunisini. Alla fine del loro lungo viaggio gli stranieri come Ibrahim sono un affare anche per l’economia italiana. Diventano manovalanza a costi stracciati. Come gli altri rilasciati con Bilal. Rachid e Mohammed, 21 e 22 anni, marocchini, sono andati a cercare lavoro nelle aziende agricole in provincia di Napoli, dove già c’era un cugino. Ahmed e Hassan, 18 e 19 anni, sono saliti sul Palermo-Torino delle 13, il treno che un tempo portava i siciliani nelle catene di montaggio della Fiat. Abdrazak, 18 anni, marocchino pure lui, è rimasto in Sicilia a lavorare con lo zio imbianchino. Ecco dove finiscono i ragazzi che, dopo giorni di fame e paura in mezzo al mare, vengono rinchiusi nella gabbia di Lampedusa. L’unico che la sera del 30 settembre non sa ancora dove andare è Nayaf, tunisino, 35 anni e tanta confusione sulla geografia italiana: “Forse vado a Parma, o forse no, meglio Ancona”.

Ibrahim ricorda benissimo quella sera. Le prime immagini dell’Italia e la prima sensazione di libertà. Quando l’autobus scortato dalla polizia saliva i tornanti verso la questura di Agrigento, lui non ha staccato gli occhi dal finestrino. Mentre là fuori si alzavano le quattro colonne illuminate di Castore e Polluce. E subito dopo la sagoma maestosa del tempio della Concordia. “Cosa sono?”, aveva chiesto Khamas, l’amico partito con lui, seduto accanto. Ibrahim non era mai stato in Italia prima. Ma si è laureato in Storia all’Università del Cairo e sapeva benissimo dove si trovava: “Sono templi romani e greci: questo è uno dei posti più belli sulla Terra”, aveva sussurrato.

Ibrahim ancora non si rende conto che da quando sono scaduti i cinque giorni del foglio di via, è diventato un cittadino senza diritti. Non potrà mai essere assunto regolarmente. Non potrà prendere una casa in affitto regolarmente. Non potrà sposarsi. Non potrà nemmeno presentare una denuncia se qualcuno ruberà i suoi soldi o violerà i suoi diritti. È la vita da clandestino. Da quando la questura di Agrigento gli ha consegnato l’ordine di rimpatrio, deve continuare a nascondersi.

I fogli della questura lui li ha strappati e buttati via. Bilal li ha conservati. Sono tre. C’è il decreto di respingimento: dice che il “dirigente dell’ufficio immigrazione disporrà accompagnamento alla frontiera di Lampedusa”. Il secondo foglio è la traduzione in arabo del “Verbale di notifica del decreto di respingimento con accompagnamento alla frontiera”. Il terzo foglio ordina “di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni dalla notifica del presente provvedimento presso la frontiera di Lampedusa”.
Ma allora perché Bilal e gli altri sono stati caricati su un treno per Palermo? L’ultimo pezzo di carta consegnato dalla polizia è proprio il biglietto collettivo per il locale in partenza alle 20.10 dalla stazione di Agrigento Centrale: tariffa per nove adulti, sconto 20 per cento, in tutto 48 euro e 25 centesimi pagati dalla Prefettura di Agrigento. Riassumendo: il viaggio pagato dalla Prefettura e organizzato dalla questura ha agevolato l’ingresso dei nove immigrati clandestini in Italia e nell’Unione Europea perché da Palermo tutti hanno potuto prendere treni per qualunque destinazione. Ma può la polizia ordinare il respingimento alla frontiera e allo stesso tempo aiutare i destinatari del decreto a spostarsi nella direzione opposta? Tra i fogli consegnati ne manca uno: un verbale che certifichi i giorni di detenzione nel centro per stranieri di Lampedusa dal 23 al 30 settembre.

Ibrahim ha raggiunto la Lombardia con un viaggio senza sosta. Ore e ore sull’espresso Palermo-Roma delle 7.42. E poi la corsa sull’Eurostar fino a Milano. La sera prima sul locale Agrigento-Palermo avevano discusso a lungo sulla velocità dei treni in Italia. Sul biglietto c’era scritto 138 chilometri. E la polizia aveva detto a Bilal e agli altri che sarebbero arrivati a destinazione dopo due ore. Ma i ragazzi marocchini non volevano crederci: “Impossibile”, insistevano, “per fare 138 chilometri ci vorranno almeno cinque ore”. Ibrahim ha visto tutta l’Italia scorrere dentro i finestrini del treno: lo Stretto di Messina, la Calabria, il Vesuvio, Napoli, Roma al tramonto, poi il buio della sera. “So che in mare saremmo potuti affondare”, racconta, “mentre caricavano la barca ad Al Zuwara, ho visto sei ragazzi annegare”. Quella notte in Libia era a metà del viaggio. Quasi un mese di fatica: due giorni in autobus dal Cairo a Tripoli, due settimane ammassati in un capannone rovente in Libia con centinaia di immigrati, tre giorni al prezzo di duemila dollari su una barca con 161 ragazzi, otto giorni nella gabbia di Lampedusa, un giorno in nave fino a Porto Empedocle. “Potevo morire, sì. Ma se non rischi”, dice Ibrahim, “la vita non può cambiare da sola”.

Per il ministro siamo i più umani d’Europa

Prese di posizione, polemiche, richieste di commissioni parlamentari di indagine: l’inchiesta de ‘L’espresso’ ha avuto una forte eco nel mondo politico. Ecco alcune dichiarazioni.

Giuseppe Pisanu, ministro degli Interni: “Che a Lampedusa vengano compiuti atti illegali, maltrattamenti e torture non l’avevo mai sentito dire. Sfido qualsiasi paese europeo con immigrazione clandestina a dimostrare di avere strutture di accoglienza e di permanenza temporanea organizzate e umane come quelle italiane. Non si può liquidare il problema con iniziative giornalistiche”.

Fausto Bertinotti, Rifondazione: “Questo ottimo lavoro di inchiesta non fa che ribadire la necessità di cancellare la Bossi-Fini, di estendere i diritti di cittadinanza, di chiudere i Cpt”.

Antonio Di Pietro, Italia dei valori: “L’inchiesta de ‘L’espresso’ ha messo in luce fatti gravissimi e soprattutto quanto questo governo e lo stesso ministro Pisanu siano in malafede e mentitori”.

Roberto Castelli, ministro della Giustizia: “Non credo a quanto affermato dal giornalista de ‘L’espresso’. Non è certo un segreto che i giornalisti che scrivono per ‘L’espresso’ siano di sinistra”.

Claudio Fava, deputato europeo Ds: “Chi ha organizzato l’ignobile farsa di un Cpt vuoto e tirato a lustro in occasione della visita del Parlamento europeo, il 15 settembre scorso, dovrebbe adesso compiere il solo gesto di decenza politica: dimettersi”.

Enrico La Loggia, ministro per gli Affari regionali: “Ho visitato di persona il centro di Lampedusa a Ferragosto senza preavviso e l’ho trovato in condizioni sufficientemente adeguate. È comunque dotato delle migliori tecnologie di identificazione degli immigrati fornite dal ministero degli Interni. Sono rimasto colpito dalla sua efficienza”.

Alfonso Pecoraro Scanio, Verdi: “È inaccettabile che in Italia possano essere tollerate queste violenze. Leggi repressive e inumane come la Bossi-Fini sono inutili e vanno abolite”.

Michele Saponara, sottosegretario agli Interni: “Ho visitato Lampedusa. È una struttura che in certi momenti non riesce a far fronte al numero degli arrivi. ‘L’espresso’ non dice nulla di nuovo”.

Oliviero Diliberto, Pdci: “Si dimetta il ministro Pisanu e si permetta ai mezzi di informazione e a quanti ne hanno diritto di poter entrare nei Cpt”.

Mario Borghezio, deputato europeo Lega: “Non sarà un albergo a cinque stelle, ma non è neppure un lager. Non vorrei che fosse tutta una montatura. Una situazione come quella descritta da ‘L’espresso’ sarebbe inaccettabile, ma ho avuto indicazioni contrarie sul trattamento nel Cpt. Le direttive sono ultra umanitarie”.

Livia Turco, Ds: “Ci faremo promotori dell’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui Cpt. Il ministro Pisanu è tenuto a riferire in modo finalmente veritiero”.