Si è conclusa nel peggiore dei modi la vicenda dei 29 iracheni giunti sabato 15 ottobre a Bari dalla Grecia, nascosti all’interno di un TIR imbarcato su un traghetto.
Poche ore dopo lo sbarco avvenuto nella mattinata, dopo una identificazione sommaria, sono stati rimessi sulla stessa nave con la quale erano giunti, “affidati” al comandante, e rispediti verso lo stesso porto greco dal quale erano partiti.
Ai rappresentanti delle associazioni che si erano immediatamente mobilitate per garantire l’informazione, la difesa legale e l’accesso alla procedura di asilo è stato impedito qualsiasi contatto e neppure il CIR che pure svolge nel porto di Bari un servizio di “assistenza al varco di frontiera” è riuscito a ottenere il rispetto delle procedure previste dal diritto interno e dalla normativa internazionale. Secondo la polizia nessuno degli iracheni avrebbe fatto richiesta di asilo politico. Molto probabilmente, come in precedenti casi, si è negata qualsiasi informazione sul diritto di asilo e l’accesso alla relativa procedura.
Ancora una volta si è violata la legge, e la sorte dei migranti è stata stabilita da provvedimenti informali dell’autorità di polizia contro i quali non è stato possibile fare valere alcun ricorso. Se si fosse applicata veramente la procedura prevista dalla Convenzione di Dublino i migranti avrebbero dovuto essere ammessi nel nostro territorio e poi trasferiti in Grecia, paese europeo di primo ingresso. La Convenzione di Dublino ed il recente regolamento n.343 del 2003, immediatamente vincolante anche per l’Italia, non impongono il respingimento ma stabiliscono un criterio di competenza del primo paese d’ingresso, ribadendo che per ragioni umanitarie anche altri paesi possono accettare la richiesta di asilo.
Ed in base all’art. 2 del T.U. n. 286 del 1998 a tutti gli immigrati “comunque presenti” sul nostro territorio spettano i diritti fondamentali della persona umana. Applicando invece una sorta di respingimento anomalo verso un altro paese comunitario, con l’affidamento dei 29 iracheni al comandante della nave che li aveva condotti in Italia, si è violato il principio che vieta le espulsioni ed i respingimenti collettivi, in quanto è da escludere che in poche ore sia stato posibile effettuare un riconoscimento individuale di 29 persone provenienti da un paese in guerra come l’Irak.
Neppure l’ACNUR è riuscito a intervenire tempestivamente per verificare la regolarità delle procedure seguite dalla Squadra Mobile della polizia che ha operato dentro il porto di Bari dopo avere sorpreso i “clandestini” all’interno del TIR.
Quanto avvenuto a Bari conferma ancora una volta come la discrezionalità amministrativa rimessa all’autorità di polizia determini puntualmente la violazione dei diritti fondamentali delle persone, tra cui il diritto di chiedere asilo, con la adozione di procedure sempre più fantasiose che non rispettano le Convenzioni internazionali che il ministro Pisanu richiama sempre più spesso, quando non può esibire la documentazione dei provvedimenti di respingimento richiesta dal Parlamento Europeo e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Non sappiamo se l’interessamento di alcuni parlamentari italiani ed europei servirà ad evitare che i 29 iracheni vengano rimpatriati nel loro paese, a proposito del quale pochi giorni fa l’ACNUR aveva affermato l’esigenza di garantire il diritto di asilo e di bloccare i rimpatri. Di certo hanno avuto più fortuna di molti altri loro compagni di sventura morti soffocati all’interno dei TIR dove si erano nascosti per sottrarsi ai controlli di frontiera. Sempre che la polizia greca, come già si è verificato in passato, non riconsegni anche loro al paese dal quale erano fuggiti, l’Irak “democratico” e “pacificato” dall’occupazione militare.
Ove ciò avvenisse i 29 iracheni, “affidati” dalla polizia italiana al comandante della nave che li doveva ricondurre in Grecia, potrebbero rischiare la vita, e subire trattamenti inumani e degradanti vietati dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Con la complicità dei governi e delle polizie europee che hanno determinato il loro destino.
Si continua dunque a violare la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione italiana in quanto le misure di trattenimento temporaneo e di allontanamento forzato sono state adottate ed eseguite dalle autorità di polizia senza alcuna convalida da parte dell’autorità giudiziaria.
In contrasto con la Corte Costituzionale che ha affermato la incostituzionalità delle norme sulle espulsioni con accompagnamento immediato sottratte al controllo giurisdizionale. Secondo la giurisprudenza della Corte non è possibile disporre l’accompagnamento coattivo in frontiera ( anche nei casi in cui sia mancato il trattenimento temporaneo) prima che il provvedimento di respingimento o di espulsione sia stato stabilito o convalidato da un magistrato. E non si potrà certo sostenere che nel caso dei migranti “respinti” da Bari verso la Grecia si sia trattato di un respingimento in frontiera semplice, unico tipo di provvedimento di allontanamento forzato che può essere adottato senza particolari formalità, come se questi migranti non fossero mai entrati nel nostro territorio, a meno che anche il porto di Bari, come l’isola di Lampedusa, non sia improvvisamente diventato uno spazio extraterritoriale, dove le leggi italiane e le convenzioni internazionali non hanno alcun valore.