Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da l'Unità dell'8 ottobre 2005

Il giornalista: «Era l’unico modo per scoprire la verità». L’Fnsi lo difende

Il 15 settembre scorso 12 europarlamentari della Commissione Giustizia e Libertà varcano la soglia del Centro di Prima accoglienza – in effetti non è un cpt ma un cpa – di Lampedusa. Dall’altra parte delle sbarre trovano però solo 11 migranti e un posto completamente ripulito che non lascia pensare ad alcuna violazione dei diritti umani in atto da parte dello Stato italiano. Tutto a posto, almeno in apparenza.

In quell’occasione anche i giornalisti riescono ad entrare nel centro. Tanto non c’è nulla al di la’ del filo spinato che possa preoccupare il Governo. Telecamere e macchine fotografiche, comunque restano fuori. Così mai nessuno ha potuto, per esempio, vedere le scritte in arabo e in francese che i migranti incidono sui muri delle camerate in cui dormono. Cosa significhino quelle scritte per gli stranieri che transitano a Lampedusa ce lo spiega Hassan dell’Arci, interprete di arabo che più volte è entrato nel Cpa come assistente di diversi parlamentari. «Quelle sono informazioni. C’è scritto, per esempio, “siete a Lampedusa”…”verrete trasferiti”…”destinazione Libia oppure Agrigento…”dite di essere minorenni”…”Lampedusa è un’isola, ma non è la Sicilia”». Hassan è provato mentre racconta, anche lui è arrivato in Italia a bordo di una carretta, ma è stato più fortunato perchè era ancora il ’98 e le leggi sull’immigrazione non erano così rigide.

La delegazione di europarlamentari il 16 settembre fa ritorno a Bruxelles. Butta giù un verbale dell’ispezione e chiede ufficialmente al Governo italiano e al ministro degli Interni di rispondere una volta per tutte alle domande, formulate dagli europarlamentari, in merito ai rimpatri che da due anni a questa parte avvengono senza che se ne conoscano nel dettaglio le modalità. Esprime, inoltre, «riserve per aver visitato un centro spettrale non nelle condizioni di sovraffollamento in cui si trova solitamente».

Tre giorni dopo la partenza della commissione d’inchiesta inviata da Bruxelles, un altro sbarco a largo di Lampedusa porta sull’isola più di 150 persone. Quattro giorni dopo, altro sbarco. Stessa storia una settimana dopo. Da 11 presenze registrate il 15 settembre, si passa in soli sette giorni a più di 250 migranti detenuti. La Misericordia, la cooperativa che gestisce il centro, in occasione dell’ispezione, risponde che capita spesso che la struttura abbia poche presenze e che di solito settembre è un mese «calmo» rispetto agli altri.

Fra gli sbarcati del 23 settembre, camuffato da curdo iracheno c’è anche un giornalista italiano che ora rischia di essere denunciato per aver fornito false generalità.

Fabrizio Gatti si getta in acqua a poche centinaia di metri dal porto vecchio, aspetta per quattro ore che qualcuno si accorga della sua presenza in mare. Quando ciò accade, comincia la sua breve esperienza da “clandestino”. Viene portato prima in infermeria, poi in nottata direttamente nel Cpa di Lampedusa, dove senza farsi scoprire, resterà otto giorni. Il 1° ottobre lascia il centro con un foglio di via. Deve lasciare l’Italia entro cinque giorni come prevede il Decreto Attuativo della legge Bossi-Fini.

Del resto, che avrebbe potuto avere problemi legali, Gatti ne era pienamente consapevole. «Non c’era altro modo per entrare in quel centro. Da anni mi occupo di immigrazione, tutte le richieste di permessi erano state respinte. Quanto al ministro Pisanu ritengo sia giusto che riferisca in Parlamento», racconta il giornalista a l’Unità on line.

«Sono fermamente convinto che i giornalisti non debbano dissimulare la loro identità per fare il proprio mestiere, –replica a Pisanu il segretario nazionale della Federazione Nazionale della Stampa, Paolo Serventi Longhi.- Ritengo, però, che questo sia un caso diverso. Il ministro ha impedito in ogni modo ai giornalisti di entrare nei cpt e testimoniare cosa avviene in questi centri. Per questo ringrazio Gatti dell’Espresso per lo straordinario lavoro di indagine realizzato che ha consentito di conoscere la sconvolgente realtà delle prevaricazioni esercitate ai danni degli immigrati».

«Sono certo che non tutte le forze di polizia addette al controllo di queste strutture siano responsabili delle violenze denunciate da Gatti –conclude Serventi Longhi.- Sicuramente le colpe sono di una minoranza, ma tutto questo doveva comunque essere denunciato. Se l’unico strumento per conoscere la verità è entrare con un travestimento in questi luoghi immondi, allora ciò rappresenta grande prova di professionalità e onore per la verità».

Dal momento in cui si getta in acqua a quando esce da uomo libero dal Cpa di Lampedusa, Gatti è a tutti gli effetti un immigrato clandestino. Cosa vedono i suoi occhi? In quella struttura ogni giorno centinaia di migranti subiscono umiliazioni di ogni genere e per otto giorni la stessa sorte è toccata anche a lui.

Gatti scrive: «Ci obbligavano a sederci in pozze di urina. Se non obbedivi ti colpivano». «Costringevano i musulmani a vedere film porno su un telefonino»…«Gli immigrati appena sbarcati vengono fatti sfilare nudi tra i carabinieri che li schiaffeggiano».