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da Il Mattino di Padova del 30 settembre 2005

Importa calciatori, ma è una truffa

di Adriana Reginato

Per il loro Paese d’origine – la Nigeria – hanno 17 anni. Per la Questura, che ha eseguito le radiografie ai polsi per stabilire l’età, ne hanno 18. E qui, sul campo della maggiore o minore età, si gioca la prima, importante partita. Ma non di calcio, come speravano, come era stato loro promesso da un sedicente “talent scout” italiano, tale Marco, il quale li aveva visti giocare in una squadretta di Lagos e aveva spergiurato ai loro genitori che quei sei ragazzi sarebbero diventati ricchi calciatori.

Se maggiorenni, verranno rimpatriati; se minorenni, potranno restare in Italia. E qui loro vogliono restare, lontano da quelle famiglie che si sono ridotte sul lastrico e che sperano ancora di poter aiutare. La brutta storia per questi sei ragazzi inizia con quello che sembra un incontro del tutto normale, in questi tempi, visto che la Nigeria è diventata un poderoso serbatoio di atleti, quale fu il Brasile in tempi passati. «Che colpo di fortuna essere stato notato» avrà pensato ognuno di loro. E questo ha fatto credere alle loro famiglie il “talent scout”. Ma per guidare i figli verso un “fulgido destino” ha preteso soldi e molti, visto che le famiglie hanno venduto campi e animali, riducendosi all’indigenza, pur di far fronte alle spese e al lucroso compenso chiesto da Marco, ma che i ragazzi non sanno quantificare, poiché non sono entrati nella trattativa. Il tempo per avere tutto il necessario e Marco nel giro di pochi giorni imbarca le sei “reclute”.

Atterrano in piena notte in un aeroporto che potrebbe essere Malpensa o Marco Polo, ma che loro non sono in grado di riconoscere. In parte salgono sull’auto di Marco, in parte su quella di un amico. Frastornati – forse non solo dal viaggio – si addormentano subito profondamente e si risvegliano a destinazione: in quella che si suppone sia l’abitazione di Marco. Ma dove? Mistero. Ci restano cinque giorni, finché Marco conclude i suoi andirivieni. Intanto fanno la fame: in casa c’è solo qualche biscotto, birra (che loro non bevono) e acqua di rubinetto. Una mattina vengono svegliati e caricati su in auto. Ancora, stranamente, si addormentano di botto. Marco li sveglia e li fa entrare in stazione a Padova. «Aspettatemi qui, – dice – perché devo prima sistemare una faccenda». E si allontana con tutti gli averi dei ragazzi, ovvero i bagagli, i passaporti, un po’ di denaro.

Passate tre ore si rendono conto di essere stati abbandonati: qualcuno li indirizza alla chiesa Pio X, dove vengono rinfocillati, mentre il parroco prende contatto con la questura onde sporgere denuncia. Dopo varie vicissitudini, che li hanno anche costretti a mendicare in stazione per potersi pagare il viaggio fino all’ambasciata nigeriana a Roma onde avere un documento che attesti l’età, sono approdati alle cucine popolari, dove hanno incontrato una volontaria, Blandina Stecca, che parla inglese e che li prende sotto la sua protezione, mettendoli anche in contatto con Razzismo Stop che ora li ospita nell’ex scuola Fratelli Bandiera, in via Forcellini. Un appello viene lanciato perché hanno bisogno di tutto (cibo, vestiti, una visita di un medico sportivo, ecc.) e un appello giunge anche da Ivan di Radio Sherwood (049 8752129) per organizzare una partita in cui far giocare questi sfortunati ragazzi.