Sei ragazzi nigeriani. Giocano a calcio, se la cavano e lì a Lagos, capitale della Nigeria, sono visti da uno di noi, da un italiano che poi parla con loro, anche con le famiglie: convince tutti e chissà i soldi che impegnano e che gli danno. La storia finisce (e così anche inizia purtroppo) in qualche modo a Padova, in stazione. Il delinquente dice ai ragazzi che torna subito, che va a prendere qualcosa da mangiare: ancora aspettano e lui s’è portato via tutto, ma proprio tutto, valige e passaporti inclusi. Lì, senza sapere una parola, senza un soldo, senza tutto.
Arrivano così in Questura e incontrano la legge e la burocrazia. Loro che sono capitati qui da noi sognando di fare fortuna nel calcio, in fondo ce l’ha fatta Martins ma anche Obodo, Makinwa e poi Obinna e non ha forse esordito nella Roma, a sedici anni (!), pure Okaka? D’accordo ma intanto, giusto per cominciare da qualche parte, mancano i documenti. Sì, loro dicono che di anni ne hanno 17 ma si sa bene che è sempre un pressappoco la loro età, anche i ventuno anni (adesso) di Martins sono come minimo chiacchierati, no? Eppure è un dato fondamentale per quella che è la loro situazione: se sei sotto i 18 anni la legge dice che un permesso lo puoi ottenere, se ne hai di più ti possono subito rispedire a casa. E loro a casa non vogliono tornare, magari le famiglie si sono indebitate, con che faccia tornare raggirati e sconfitti? Per fortuna, benedetta, ecco che attorno si crea via via una ragnatela di solidarietà visto come abbiano proprio bisogno di tutto. Dai vestiti al cibo, al dove dormire. Per adesso hanno trovato posto negli stanzoni ricavati nell’ex scuola elementare in fondo a via Forcellini. Lo stesso edificio è un po’ in un limbo, forse potrebbe diventare un riferimento “ufficiale” per coloro che sono in attesa di ottenere il permesso di rimanerci in questo nostro vecchio Paese, forse il Comune vorrà o potrà concedere qualcosa.
Ma intanto è bello constatare che quelli di “Razzismo Stop” che hanno occupato la vecchia scuola inutilizzata, giusto in quelle aule hanno cominciato ad insegnare un po’ d’italiano a questi sei ragazzi nigeriani. Qualche allenamento lo hanno cominciato a fare in parrocchia a San Carlo (anche qui una mano tesa) e chissà che finalmente correndo dietro a un pallone, riescano a mettere per un poco da parte l’incubo in cui sono capitati, senza poi problemi nel farsi capire: è o non è un linguaggio da tutti comprensibile quello che “si parla” in campo? Una storia anche incredibile ma che purtroppo si ripete. Il calcio, o meglio il tanto “troppo” che adesso emana, come stella polare, la cima da conquistare. Vale anche per i nostri naturalmente ma intanto chissà quanti sono questi “emigranti” che nulla hanno e di cui niente si sa.
Pino Lazzaro