Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto dell'8 ottobre 2005

Una settimana da cronista clandestino

Luca Fazio
Fabrizio Gatti ha fatto centro un’altra volta. Anche se di «inaudito», come dice l’onorevole diessina Livia Turco, non c’è nulla, la sua inchiesta pubblicata sull’Espresso ha il merito di smascherare le falsità e le ipocrisie di chi da destra a da «sinistra» si ostina a difendere i centri di permanenza temporanea. Gatti ha visto con i suoi occhi, e spesso ha dovuto abbassarli, le umiliazioni cui vengono sottoposti uomini, donne e bambini che finiscono nei centri di detenzione, nella fattispecie quello di Lampedusa, gestito dalla Misericordia. Il giornalista questa volta si è finto naufrago, si è buttato in mare vicino agli scogli, si è fatto pescare come un disgraziato. Da sabato 24 settembre, per una settimana, si è messo nei panni di Bilal Ibrahim el Habib, ragazzo curdo. Un’altra volta, Fabrizio Gatti – era il 2000, e governava l’Ulivo – si infilò nel centro di detenzione milanese di via Corelli, travestito da Roman Ladu, rumeno. All’ufficio identificazioni di Lampedusa a un certo punto si sono accorti che le impronte dei due finti immigrati coincidevano (registra tutto il computer), ma i poliziotti veri non sono efficienti come quelli che si innamorano negli sceneggiati tv e non hanno risolto l’enigma. Bravo Gatti, dunque, e la sua è una testimonianza che vale doppio: lui è lo stesso giornalista che un anno fa si guadagnò un’altra copertina con lo «scoop» su Al Qaeda d’Italia, un improbabile elenco di documenti «riservati» secondo cui Bin Laden si sarebbe infiltrato ovunque. Uno scoop per Pisanu, e uno scoop contro Pisanu.

Le accuse di Gatti sono pesantissime e coraggiose, perché se le «forze dell’ordine» faranno quadrato toccherà a lui dimostrare che ciò che ha visto è vero. Siamo convinti, come dice il centrodestra, che «le forze dell’ordine sono tutto tranne che torturatori». E però. Ti obbligano a sedere per un’ora in una pozza di urina e escrementi che fuoriesce dai bagni (il cronista parla di «esperienza indimenticabile» e di turche «stracolme fino all’orlo di un impasto cremoso»). Uno schifo, non una tortura. Ti trattano come se fossi parte di quell’impasto, urlano, ma è normale, sono i nostri ragazzi, ridono, si divertono; però c’è qualcuno con un immaginario erotico davvero notevole (l’ha visto fare ad Abu Grahib?) che costringe un musulmano a guardare il filmetto porno scaricato sul telefonino. Interviene un collega: «Ma lascia perdere che quello è frocio». Scherzano sempre. Un militare con la mascella volitiva, racconta Gatti, imita il Duce, fa il saluto romano e gli altri ridono, «la prossima volta a questi ci insegniamo Faccetta nera». Un altro ordina a un detenuto di spogliarsi e poi «gli tira uno schiaffo sulla testa». Poi comincia «il corridoio», in gergo lo chiamano così. Gli stranieri, in fila, passano nel corridoio formato da quattro carabinieri, «fanno quattro schiaffi a testa». Qualcuno, a caso, si piglia un pugno nello sterno. Il gioco non dura poco. «Gli schiaffi risuonano nell’aria per mezz’ora», scrive Gatti. Poi arriva una funzionaria e va a chiamare il maresciallo: «Vada di là a vedere cosa stanno facendo i suoi ragazzi perché sento troppe mani che si muovono». Gli schiaffi continuano a volare e un giorno Bilal si ribella. Il giornalista, prima di lasciare il cpt per essere trasferito ad Agrigento (da lì, tra gli evviva dei suoi nuovi amici, anche lui sarà libero di girare come un «clandestino» per l’Italia), si accorge anche che i carabinieri non restituiscono i soldi che gli stranieri avevano depositato in segreteria. Bilal insiste – «sono centinaia di euro, è importante che partano con i soldi» – ma un carabiniere dice di no e allarga le mani.

Adesso la procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta sul cpt di Lampedusa. Tra i reati ipotizzati ci sono quelli di lesioni personali e di peculato. E dire che a Gatti poteva andare anche peggio. La storia dei cpt è piena di botte, teste spaccate, gesti di autolesionismo e umiliazioni. E di testimonianze. Altro che inaudito.