Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto dell'8 novembre 2005

Prima o poi di Alessandro Dal Lago

Ma che c’entra il multiculturalismo con le sommosse francesi?
Metterla sul piano della «cultura» o della religione, come hanno fatto immediatamente tanti commentatori, significa semplicemente ignorare il messaggio che viene dalle banlieues in fiamme: che prima o poi, quando l’esclusione è intollerabile, gli esclusi metteranno a ferro e fuoco lo spazio dell’esclusione e poi, forse, il mondo di luci fin lì irraggiungibile intorno a cui consumano la loro esistenza senza sbocchi.
È quello che più di dieci anni fa mostrò il film L’odio di Kassowitz. Ma è anche quello che è successo a South Central Los Angeles nel 1992 e nelle città dormitorio inglesi. Avremmo dovuto ricordarlo, se l’11 settembre 2001 e conseguenti stupide guerre di civiltà non ci avessero ipnotizzato. Che i giovani se la prendano con i poliziotti è ovvio. E con chi dovrebbero prendersela, visto che sono l’unico aspetto della Repubblica con cui hanno a che fare? E altrettanto ovvio è che distruggano le automobili, quel feticcio della mobilità e della libertà di consumo da cui sono tagliati fuori. E non si dica nemmeno che si tratta di delinquenti e spacciatori. Tanto più che l’unico mercato a cui hanno accesso è quello auto-lesionistico della droga. Quando la rabbia erompe dai margini, non può che distruggere e auto-distruggersi. E, poi, che cosa hanno da perdere questi ragazzi? Sarebbe troppo facile, troppo teorico, che dietro gli incendi apparisse un piano, un’idea, quando invece non c’è che la disperazione a cui non una politica, ma un intero sistema sociale li condanna.

Più che di una rappresentanza politica, i cosiddetti casseurs sono privi di una rappresentanza sociale, nel senso non di qualche eletto, ma di una prospettiva di vita. Chi si è mai accorto, muovendosi in treno dal centro di Parigi verso l’aeroporto Charles de Gaulle, dei quartieri dormitorio che stanno intorno e degli hacheleme, i tremendi alloggi in cui abitano i giovani francesi privi di opportunità con le loro stanche famiglie di origine africana, caraibica o maghrebina? Certamente francesi, come vuole la finzione repubblicana, ma in realtà simili, per povertà e abbandono, alle popolazioni che i loro nonni o padri hanno abbandonato decenni fa. Ecco svelato il mistero della rabbia e delle distruzioni. Vivono ai margini e in vista di una prosperità che non sarà mai per loro.

Non siamo d’accordo con Prodi quando vede scenari simili da noi, ma non perché le nostre periferie siano migliori di quelle francesi. Il fatto è che per il momento sono diverse. Da noi, la povertà è trasversale, annidata nelle famiglie normali che tirano la carretta, sepolta nelle stamberghe dei migranti, non confinata ed etnicizzata negli anelli che circondano le città. Ma questo non significa che domani forme analoghe di conflitto non siano possibili. Anche perché la risposta repressiva (il coprifuoco) si fonde perfettamente con la lettura in chiave culturalista di queste sommosse. Il giorno in cui in Europa la protesta delle periferie fosse letta come rivolta degli immigrati, gli incendi scoppierebbero dovunque.