Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto di giovedì 15 dicembre 2005

Milioni i bimbi abbandonati

Irene Panozzo

Esclusi e invisibili. Vengono definite così le centinaia di milioni di minorenni che in tutto il mondo non vengono visti, non vengono curati e non ricevono aiuto. E che per questo cadono spesso vittime di abusi, maltrattamenti e negazione di diritti primari, come quelli all’assistenza sanitaria e all’istruzione. Il rapporto annuale presentato ieri dall’Unicef a Londra e, in contemporanea, in diverse altre capitali su La condizione dell’infanzia nel mondo 2006: esclusi e invisibili non lascia dubbi, già dal titolo, su quali siano i maggiori problemi da affrontare per far sì che l’infanzia sia tutelata. L’esclusione e l’invisibilità di cui i bambini sono vittime vengono declinate in modo diverso a seconda della situazione. Ma il risultato è lo stesso. Come lo sono spesso anche le cause, che vanno dalla discriminazione alla povertà, dagli effetti della pandemia di Hiv e Aids sullo sfaldamento del tessuto sociale di interi paesi ai conflitti armati e alle carenze di amministrazioni statuali deboli.

Una delle situazioni a maggior rischio di invisibilità è secondo l’agenzia delle Nazioni Unite la negazione di un’identità riconosciuta dal punto di vista amministrativo. In un’epoca tecnologica come la nostra, dove, nel mondo ricco, tutto lascia una traccia e viene archiviato, il 55% dei nuovi nati nei paesi in via di sviluppo non vengono registrati all’anagrafe. Ciò significa che oltre cinquanta milioni di neonati, di cui ventiquattro milioni in Asia meridionale e altri ventotto in Africa sub-sahariana, non vengono riconosciuti come membri della società in cui vivono. Quindi per lo stato non esistono. E, non esistendo, non potranno mai aver accesso a tutti quei servizi essenziali che lo stato fornisce, spesso sulla base della cittadinanza, a partire dall’assistenza sanitaria per arrivare all’istruzione e alla previdenza sociale. Un vuoto che rende più facile qualsiasi tipo di abuso e di abbandono, con conseguenze potenzialmente devastanti a lungo termine, sia per i bambini stessi che per il futuro dei loro paesi.

Ci sono poi i milioni di bambini che crescono senza le attenzioni dei genitori o, più in generale, della famiglia. Milioni di orfani, di bambini di strada o bambini in stato di detenzione si trovano alla mercè di ogni tipo di abuso e di sfruttamento, reclutati come bambini soldato nelle guerre degli adulti, costretti alla prostituzione o a vivere di espedienti in ambienti in cui è la violenza l’unica forza che regola i rapporti interpersonali. In molti casi, questi bambini sono costretti ad assumere precocemente dei ruoli solitamente affidati agli adulti, perdendo così ogni possibilità di vivere pienamente la propria infanzia. È il caso delle centinaia di migliaia di bambini coinvolte nei conflitti come combattenti, come portantini o cuochi o come schiavi sessuali. Ma anche di tutte quelle migliaia di ragazzine e, in molti casi, anche di ragazzini costretti dalle tradizioni a contrarre un matrimonio in età precoce, spesso ben prima dei 18 anni, assumendosi così molto presto serie responsabilità familiari, a partire dalla maternità.

Oltre ai bambini sfruttati in ogni forma di lavoro minorile, così invisibili che è quasi impossibile stabilirne il numero, ci sono poi i ragazzi che vivono negli stati definiti «fragili», ovvero quei paesi che non possono o non vogliono fornire i servizi di base alla propria infanzia. A tutti questi vanno aggiunti quelli che vengono discriminati e quindi esclusi sulla base del sesso, dell’etnia di appartenenza o perché affetti da qualche tipo di disabilità.

Nel rapporto non ci sono solo le cattive notizie, ma anche delle indicazioni delle misure da prendere per cambiare le cose. La responsabilità primaria spetta ai governi, che dovrebbero aumentare gli sforzi in diversi ambiti, dalla ricerca e il monitoraggio degli abusi alla legislazione nazionale, dallo stanziamento di risorse per la tutela dell’infanzia all’implementazione di riforme strutturali. Accanto all’impegno delle istituzioni, l’Unicef richiama all’ordine anche la società civile e il settore privato, i donatori e i media, affinché contribuiscano a creare un «ambiente protettivo», in cui i bambini siano al riparo da abusi e sfruttamento. E diventino così «inclusi» e visibili.