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Sanatoria 2002 – Diverse interpretazioni per la formula “nei tre mesi antecedenti”

Commento ai provvedimenti del Consiglio di Stato e le questioni interpretative connesse alla regolarizzazione di quel periodo

Va ricordato che la sanatoria, sia per i lavoratori domestici sia per gli altri settori, richiedeva come requisito che il rapporto di lavoro fosse stato costituito “nei tre mesi antecedenti” la data di entrata in vigore del decreto legge che aveva introdotto la possibilità di regolarizzazione (D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222).
La formulazione della norma aveva indotto a diverse interpretazioni. Il Ministero del Lavoro in particolare riteneva che potessero regolarizzarsi solo coloro che avevano svolto per la durata di tre mesi il rapporto di lavoro. Si escludeva quindi la possibilità di regolarizzazione per tutti coloro che – pur non potendo dimostrare di avere lavorato in tutti i tre mesi antecedenti – avevano comunque iniziato a lavorare all’interno dei tre mesi prima dell’entrata in vigore della legge.

Esempio pratico – Coloro che avevano avuto un timbro di ingresso sul passaporto o un visto turistico, di data successiva al 10 giugno 2002 sono stati esclusi dalla possibilità di regolarizzazione.
Di seguito, ci fu un ondata di ricorsi per impugnare questi provvedimenti di diniego e la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) si allineò su una interpretazione che riteneva ammissibili le domande di regolarizzazione anche se si trattava di rapporti di lavoro che non avevano avuto la durata di almeno tre mesi, prima dell’entrata in vigore del decreto legge.

Diversi TAR avevano elaborato l’interpretazione basandola sulla formulazione letterale della norma (art. 1 d.l. citato), che precisava che il datore di lavoro che “ha occupato, nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del presente decreto” lavoratori extracomunitari in posizione irregolare, poteva regolarizzare il rapporto di lavoro senza subire sanzioni se presentava la domanda entro l’11 novembre 2002.
Il tipo di formulazione “avere occupato nei tre mesi antecedenti” è stata giustamente interpretata alla lettera, ritenendo che non significava avere occupato per tutti i tre mesi, ma anche, semplicemente, avere assunto un lavoratore all’interno degli ultimi tre mesi ed averlo ancora in forza al momento della presentazione della domanda.
L’Amministrazione ha comunque mantenuto fermo il suo punto di vista incaricando l’Avvocatura dello Stato di appellare le sentenze dei TAR che hanno adottato l’interpretazione “favorevole” sopra precisata.
Sono state emanate le prime sentenze del Consiglio di Stato. In particolare tre sentenze della sezione IV (la n. 5085/2004, n. 5088/2004, n. 1712/2005) hanno ritenuto di considerare fondata l’interpretazione del Ministero del Lavoro, ritenendo pertanto non ammissibili alla regolarizzazione quei rapporti di lavoro che non hanno avuto durata di almeno tre mesi, prima dell’entrata in vigore del decreto legge.

Una nuova sentenza
Di segno esattamente opposto è invece (sezione VI n. 6364/2005 de 15 novembre 2005). Si sostiene che è parimenti ammissibile anche l’interpretazione diversa ovvero quella già adottata dai TAR, con cui si precisava che era sufficiente avere assunto all’interno dei tre mesi antecedenti il decreto legge di regolarizzazione (quindi anche un giorno o due prima del 10 settembre), per ammettere lo straniero alla sanatoria.

Si è quindi creato un contrasto ad altissimo livello nella interpretazione della giurisprudenza, per cui una sezione del Consiglio di Stato la pensa in un modo totalmente opposto rispetto ad una diversa sezione.
La sezione VI sottolinea che l’interpretazione della IV sezione (sfavorevole ai lavoratori) non mancherebbe di creare una ingiustificata discriminazione, a fronte di situazioni sostanzialmente identiche.
In altre parole, chi ha avuto la sventura di entrare in Italia con il timbro sul passaporto o munito di visto di ingresso dopo il 10 giugno 2002, costituendo prima del 10 settembre un rapporto di lavoro irregolare, sarebbe escluso dalla regolarizzazione potendo essere identificata la data di ingresso.
Chi, viceversa, ha fatto ingresso, in condizioni del tutto clandestine, anche dopo il 10 giugno 2002, non essendo possibile verificare la sua data di ingresso, ha potuto beneficiare della sanatoria. In questo caso non era possibile verificare se il rapporto di lavoro aveva avuto luogo per tutti i tre mesi.
Di fronte a questo contrasto interpretativo la sezione VI del Consiglio di Stato ha giustamente ritenuto di rimettere la questione alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che dovrà decidere con una pronuncia finalmente definitiva quale è l’interpretazione più attendibile e fondata.
Qualora l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dovesse ritenere fondata l’interpretazione sfavorevole ai lavoratori, accadrebbe che tantissime persone che hanno già ottenuto la regolarizzazione (magari con ricorso al TAR) e che sono in possesso di un pds per lavoro, potrebbero addirittura vedersi revocare il permesso di soggiorno.

A chi potesse concretamente temere una revoca del permesso di soggiorno – ottenuto a suo tempo solo a seguito di un ricorso al TAR -, l’unico consiglio che paradossalmente possiamo dare e che potrebbe valere solo per chi non ha riportato a suo tempo un provvedimento di espulsione, è quello di utilizzare questo decreto flussi.
In altre parole, si tratta di persone che stanno già lavorando regolarmente, che avrebbero potuto ragionevolmente pensare di non avere nulla da temere, ma che ora, rischiando di vedersi revocare il permesso di soggiorno, potrebbero avere utilità ad avviare tramite il loro datore di lavoro una nuova procedura di autorizzazione all’assunzione dall’estero. E’ paradossale, ce ne rendiamo conto, ma si tratta di una eventuale misura di prudenza che potrebbe servire nella peggiore delle ipotesi – cioè se il Consiglio di Stato dovesse confermare l’interpretazione sfavorevole – al fine di ripristinare nuovamente, seppure a seguito di un’uscita dal territorio italiano e successivo reingresso, un permesso di soggiorno e un rapporto di lavoro regolare; e ciò utilizzando questo decreto flussi senza attendere che, magari, venga comunicata la revoca del permesso di soggiorno con espulsione.
Consideriamo utile fare questa considerazione anche per mettere in evidenza il carattere paradossale di questa situazione, cioè il fatto che moltissime persone, a distanza di anni, si trovano ancora in una condizione di incertezza.
E’ grave anche il fatto che tutto questo venga rimesso unicamente alle decisioni della magistratura. E’ infatti preoccupante che il governo non abbia nel frattempo provveduto ad adottare una soluzione politica del problema, stabilizzando le situazioni di soggiorno che avevano dato luogo a controversie in occasione della regolarizzazione.