Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 16 aprile 2006

Morire di frontiera

Stefano Liberti

Occhio non vede, cuore non duole.
L’adagio sembra descrivere alla perfezione la politica dell’Unione europea nei confronti della cosiddetta immigrazione clandestina. La situazione al confine est, in cui poco ci si cura del destino dei cittadini extra-comunitari, trova uno specchio assai più drammatico alla frontiera meridionale della Fortezza Europa. Qui, come uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, l’Ue tenta di ignorare l’ecatombe che si consuma giorno dopo giorno.

Grande scalpore hanno suscitato, a ottobre, gli assalti alle recinzioni che circondano le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla. La morte di 14 immigranti africani ha fatto scorrere fiumi di inchiostro, soprattutto sulla stampa iberica. Ma l’episodio non era che la punta di un iceberg assai più poderoso, costituito da una miriade di vicende sconosciute – migliaia di cadaveri disseminati in fondo al Mediterraneo o tra le dune di sabbia del Sahara. Solo dal novembre scorso, almeno 1.200 cittadini sub-sahariani sono annegati nel tentativo di raggiungere le isole Canarie dalla Mauritania a bordo di barchette di legno. Quelli periti nel deserto sono difficilmente quantificabili: un’associazione di Kufra, nel sud-est della Libia, ha recensito 486 cadaveri di immigranti morti di sete durante l’attraversamento del confine sudanese. A Tin Zawatin, alla frontiera tra Mali e Algeria, un cimitero improvvisato raccoglie le spoglie di quanti non ce l’hanno fatta. Ma i corpi mai trovati nell’immenso mare di sabbia che taglia in due il continente africano sono senz’altro molti di più.

Lontano dai teleschermi, il sangue di questi sventurati non turba le nostre coscienze. L’imperativo diventa quindi uno solo: rendere queste morti invisibili. E per renderle invisibili è necessario un trucco geografico: spostare la frontiera sempre più a Sud. Così Madrid – dopo aver blindato il confine con il Marocco – si è affrettata a stringere accordi con la Mauritania per far accettare a quest’ultima il rimpatrio degli immigrati partiti dalle sue coste e ha spedito nel paese africano un manipolo di 35 soldati per costruire centri di detenzione. Così l’Italia ha regalato radar e jeep al colonnello Gheddafi, ha finanziato la costruzione di tre Cpt e le decine di voli charter con cui Tripoli ha rispedito a casa gli indesiderati (tra il 2003 e il 2004, sono stati rimpatriati dalla Libia, a spese del contribuente italiano, 5.688 immigranti con 47 voli).

Così l’Ue sta progettando di costruire campi per analizzare le richieste d’asilo nei cosiddetti «paesi terzi sicuri», come le mature democrazie del Nord Africa. Così l’ecatombe andrà avanti, ma sarà silenziosa, discreta, quasi impercettibile. E l’Europa potrà dormire sonni tranquilli.