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da Il Manifesto del 24 maggio 2006

Misteriosa morte nel carcere di Civitavecchia

Roma Nelle fotografie scattate all’ospedale di Civitavecchia Habteab Eyasu ha un ferita in fronte, e dietro la nuca una grande macchia rossa di sangue. Sara Tseghe Paulous, sua zia, arrivata appositamente dall’Arabia Saudita, mostra il cadavere del nipote e dice a chiare lettere: «Io ora voglio sapere cosa è accaduto. Non credo che si sia suicidato. Perché chi si suicida non ha queste ferite in faccia». Habteab era eritreo e aveva 37 anni.

Domenica scorsa è morto nella casa circondariale di Civitavecchia, dove era stato rinchiuso in seguito a un’espulsione dall’Inghilterra. «Ormai viveva in Italia da quasi tre anni – racconta un suo amico eritreo – siamo arrivati insieme con la barca a Lampedusa, poi siamo passati per il cpt e per il centro di accoglienza. Abbiamo ricevuto tutti e due lo status di rifugiato». Subito dopo, Habteab si è spostato a Bologna. Tre mesi fa ha avuto una bambina dalla sua compagna, Nasthinet, anche lei eritrea e rifugiata in Italia. Ha deciso che doveva guadagnare di più, che doveva trovare un lavoro migliore e ha tentato la carta dell’Inghilterra, come fanno in molti. Ma da Londra è stato rimandato in Italia, ed è finito in carcere, forse a causa di qualche precedente pendenza penale. Non si sa con precisione, perché i suoi amici, i suoi parenti, la sua compagna non lo sentivano ormai da qualche giorno e erano piuttosto preoccupati. Finché l’amico che ha condiviso con lui l’esperienza del viaggio, riceve una telefonata dal Comune di Crotone martedì 16 maggio: «Mi comunicano che Habteab è morto il 14 maggio, in carcere, a Civitavecchia. Non ci capivo niente, ho avvertito i suoi parenti e mi sono precipitato a Roma». La notizia, inizialmente, è che Habteab si è suicidato, impiccandosi. Ma quando, l’altro ieri, gli amici e i parenti si sono recati nell’ospedale di Civitavecchia per vedere la salma, sono rimasti a bocca aperta: Habteab presentava delle chiare lesioni in viso. E secondo quanto riferito da un medico, ci sarebbero anche lesioni sul resto del copro, che però non è stato mostrato ai parenti. Non sapendo che fare, gli amici hanno iniziato a scattare fotografie e ieri si sono messi in contatto con un avvocato. Ieri, nel centro autogestito di via Collatina – occupato da un gruppo di immigrati e da Action dopo la «cacciata» dal famoso «Hotel Africa» della Tiburtina – è stata allestita una specie di camera ardente, anche se la salma non c’è perché è rimasta in ospedale. La zia, con il velo nero, sta seduta su una sedia, Nasthinet coccola la figlia, lungo le pareti amici di vecchia data di Habteab e i suoi parenti arrivati da Milano, Bologna, Crotone. La signora Sara è una donna che gira il mondo. E’ una suora laica delle «Figlie di S. Anna», istituite alla fine dell’800 dalla beata genovese Anna Rosa Gattorno. Racconta di aver parlato con il personale della casa circondariale: «Prima mi hanno detto che si è impiccato con un lenzuolo, poi con un cordone. Mi hanno detto che era solo nella cella, lo avevano spostato perché aveva litigato con un altro detenuto. Io gli ho detto che chi si impicca non si spacca la testa. Loro mi hanno risposto che quando hanno tagliato il cordone il corpo è caduto e ha sbattuto a terra.

Ma allora perché aveva una ferita anche dietro la nuca?». Domande inquietanti, tanto più che la casa circondariale di Civitavecchia non è nuova a tristi episodi di cronaca. Una lunga scia di suicidi, a volte misteriosi, sovraffollamento e mancanza di personale. Il senatore di Rifondazione comunista Francesco Martone ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla morte di Habteab: «Una vicenda allarmante che pone di nuovo all’attenzione la casa circondariale di Civitavecchia per il triste primato di decessi in carcere. Una struttura che è più una casa di Reclusione che una Circondariale, con problemi gravi e cronici che rendono gravoso per molti aspetti il clima complessivo dell’istituto».