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CPT – Un silenzio assordante

Gruppo Lavoro Rifugiati Bari

Nella città la cui amministrazione ha espresso il proprio dissenso ad ospitare sul territorio luoghi di detenzione amministrativa, tra ordini del giorno della giunta comunale e provinciale, e dichiarazioni pubbliche del sindaco e del presidente della Provincia, nella regione del Forum delle Regioni per la chiusura dei CPT, le notizie riportate dalle delegazioni di parlamentari che hanno avuto accesso al CPT di Bari-S.Paolo dal febbraio scorso, fanno ancora più effetto.

L’ultima delegazione è entrata il 15 maggio scorso e ripropone l’ennesimo report, uguale a tanti altri apparsi in questi anni a denuncia delle condizioni di vita all’interno di tutti i CPT; pur tuttavia sempre peggio:
precarie condizioni sanitarie, nessuna attenzione ai problemi di salute di chi vi è recluso, anche incompatibili con uno stato di detenzione, uno sciopero della fame di cui non si è avuto alcuna notizia, atti di autolesionismo e tentativi di suicidio, maltrattamenti e percosse, limitazioni nell’esercizio del diritto di difesa, utilizzo del sistema di detenzione aggiuntiva contro ogni buon senso per chi proviene da istituti di pena (anche per non aver rispettato l’ordine di lasciare il territorio a seguito di un’espulsione), rimpatri verso paesi dove vige la pena di morte (come ad esempio la Nigeria).

Nel contempo la convenzione firmata dalla Croce Rossa Internazionale per la roulottopoli di Bari-Palese, ci dice che il “centro che non esiste” sta per riaprire, per rifunzionare come un centro d’identificazione “informale”, che “informalmente” ha ottenuto il primato del periodo più lungo di detenzione per i richiedenti asilo (fino a 78 giorni) nel 2005, come denuncia l’ultimo rapporto di MSF-Missione Italia, con una Commissione Territoriale che ha funzionato ed emesso provvedimenti senza la composizione legale.

I dati che ogni volta emergono e che ci restituiscono l’immagine di un sistema detentivo chiuso ed impermeabile a qualsiasi garanzia, rendono evidente che è la chiusura di questi luoghi la vera emergenza.
Le forze che oggi sono al Governo e che in campagna elettorale hanno dichiarato più volte la contrarietà a questi centri, “ferita aperta nel sistema giuridico italiano”, hanno oggi la responsabilità politica di affrontare la questione della chiusura dei CPT e dei CDI (Centri d’identificazione per i richiedenti asilo), all’interno di una modifica radicale delle leggi attuali in materia d’immigrazione, e della filosofia dell’emergenzialità e della difesa securitaria che le ha ispirate. E’ solo con l’abrogazione della normativa vigente, con l’emanazione di una legge organica in materia d’asilo che adegui ai nuovi scenari internazionali il concetto di persecuzione e di conflitto, e che allarghi il concetto di protezione umanitaria e temporanea, così come provvedimenti che consentano l’uscita da una condizione di clandestinità anche in presenza di un’espulsione, che tutte le strutture di detenzione perdono di senso senza “alternative”.

Non ci interessa riaprire un dibattito già saturo, sull’onda dell’ultima fuga o sul recente sbarco, sulla loro necessità e sulla loro riformabilità.
Il neo Ministro Amato si rechi al più presto a verificare cosa accade nei vari centri di permanenza disseminati in Italia, nel centro di Lampedusa, tristemente noto dopo il reportage del giornalista Gatti e che dopo i recenti sbarchi risulta già sovraffollato: si renderà conto che non esistono forme di umanizzazione possibili. E prenda provvedimenti che siano nel segno della discontinuità con quanto fatto dal suo dicastero nel precedente governo, denunciato per le espulsioni collettive verso la Libia.
Il nuovo Ministro dell’Interno,come primo atto, chiuda i CPT di Bari e Gradisca in quanto esempi di comunità sociali, politiche ed istituzionali che si sono opposte da tempo a queste cattedrali nel deserto inutili, costose, lesive di ogni diritto. Del resto il programma dell’Unione parla esplicitamente di “fine della detenzione amministrativa”, cioè della privazione totale della libertà della persona in assenza di reato.
E compia un primo, necessario atto di trasparenza rendendo pubblici i costi e le modalità di gestione, l’entità dei finanziamenti e l’organizzazione logistica, il numero e la qualifica degli operatori; e consentendo l’accesso alle istituzioni ed alla stampa, ed alle ASL per verificare le condizioni igienico-sanitarie esattamente come avviene per qualsiasi luogo pubblico.
Vorremmo che la cosiddetta “questione immigrazione” e l’abrogazione delle leggi attuali sia una delle priorità del nuovo governo, così come ci piacerebbe per il ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan, così come l’abrogazione della Legge 30, interfacce di uno stesso modello.

Ma nel frattempo, le istituzioni locali, in continuità con le dichiarazioni di contrarietà ed in raccordo con quelle nazionali, si assumano l’impegno di compiere, in maniera costante e puntuale, un monitoraggio di quanto avviene nei CPT e nei CDI in Puglia, che miri alla denuncia di ogni violazione e maltrattamento all’interno, che verifichi le modalità di gestione, e l’effettività del diritto alla difesa ed alla cura: pratiche attive che vanno nel senso dello svuotare queste strutture in attesa della loro chiusura definitiva.
Le istituzioni locali, possono oggi impegnarsi a che il centro di Bari – Palese sia definitivamente chiuso, poiché le motivazioni politiche che portano alla richiesta di chiusura dei CPT valgono anche per luoghi come questo.
La Puglia continua ad avere centri di detenzione sul proprio territorio – Bari S.Paolo, Borgomezzanone (Foggia), Restinco (Brindisi) – ed inoltre continua ad essere frontiera impermeabile in violazione del principio di non respingimento. Ai porti di Bari e di Brindisi, benché siano attivi servizi di orientamento e assistenza gestiti da soggetti non istituzionali, i respingimenti di persone provenienti da zone di conflitto sono all’ordine del giorno.

In questi anni lo schieramento dei movimenti, delle associazioni, delle organizzazioni politiche e sindacali, delle cittadine e dei cittadini contro i CPT e le strutture di detenzione per migranti è cresciuto, portando anche le amministrazioni locali ad esprimersi contro.
Ma nonostante ciò, la Puglia continua ad avere i suoi CPT, i Centri d’identificazione ufficiali e non, la riapertura rituale di Bari Palese, i respingimenti ai porti di cittadini afgani, kurdi, iracheni, le solite difficoltà di accesso e di fruizione dei diritti garantiti come sanità ed istruzione, i soliti nodi problematici riguardanti le politiche abitative, la formazione e riqualificazione professionale,il lavoro, un Osservatorio sui flussi migratori che è un contenitore vuoto; continua la mancanza di raccordo tra Comuni e Province per garantire prassi omogenee su tutto il territorio regionale, permane una mancanza di strumenti normativi adeguati ed una tutela attiva del diritto d’asilo.

La Puglia ad oggi, non ha ancora modificato la precedente legge in materia di immigrazione (L. 26/2000, mai attuata); questo passo è necessario, nella nostra regione, non per creare “leggi speciali per soggetti speciali”, una sorta di diritto separato ma per consentire parità di accesso e di fruizione dei diritti per i cittadini stranieri nei territori e nel rapporto con le istituzioni locali con cui vengono quotidianamente a contatto.
Perché spetta alle Regioni ed ai Comuni la realizzazione di politiche di accoglienza ed inserimento sociale, di contrasto e prevenzione di ogni forma di discriminazione; così come la promozione di nuove politiche abitative che vadano dalla modifica dei criteri di idoneità alloggiativi a riconsiderare il patrimonio immobiliare sfitto,sull’esempio di altri comuni ed altre regioni.
Le Regioni oggi hanno potere legislativo in materia di istruzione, di tutela e sicurezza del lavoro, di tutela della salute.
Le Regioni ed i Comuni possono contribuire a garantire l’esercizio del diritto d’asilo anche tramite la sottoscrizione di protocolli regionali tra enti locali ed altri soggetti, non solo istituzionali.
Nulla di tutto questo è stato ancora avviato.

Un silenzio insopportabile è sceso dopo tanto clamore.

Negli anni scorsi abbiamo denunciato l’utilizzo della Puglia come laboratorio per uno stato d’eccezione: dalla reclusione degli albanesi nello stadio della Vittoria sono state testate e raffinate pratiche di detenzione e di esclusione, diventate poi norme di legge.

Oggi vogliamo la chiusura di tutti i CPT e dei CDI, vogliamo che siano sperimentate pratiche di cittadinanza attiva e non di riconoscimento simbolico, di rappresentanza reale e non su base etnica o comunitaria, per abbattere quel muro che separa dallo spazio inteso come pubblico.
Oggi, con le prese di parola ma anche e soprattutto con pratiche attive ed atti formali, senza ulteriori ritardi e deroghe, vorremmo scrivere un nuovo capitolo di questa storia.

Qui. Ed ora.