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da Il Manifesto, 11 agosto 2006

Un Bronx padovano, tra degrado e polizia

Nel quartiere di via Anelli circondato dal «muro» si entra solo attraverso i check point delle forze dell'ordine. Da 15 anni ingovernabile, ora la «bonifica» è gestita dal Prc.

Padova – E’ peggio di qualsiasi immaginazione. In via Anelli – alle spalle del simulacro delle officine meccaniche Stanga e davanti alla post-moderna «cittadella» del terziario – meglio non azzardarsi ad entrare. Le foto descrivono più e meglio delle parole. Anche se mettere piede all’interno del fatiscente condominio Serenissima equivale a un pugno dritto dritto nello stomaco. Ogni sguardo restituisce l’incubo di vite oltre il confine dell’umana sopportazione. E i respiri afferrano la gola: tutto è marcio, rotto, violato, devastato. Eppure, centinaia di immigrati regolari e la signora italiana all’ultimo piano abitano qui. In compagnia di altre centinaia di spacciatori al servizio di migliaia di clienti da tutto il Veneto.

Nella notte del 26 luglio, la polveriera di via Anelli ha rischiato di far saltare in aria tutta Padova. Un corteo di magrebini voleva regolare i conti con i nigeriani. Si è messa di mezzo la polizia con i lacrimogeni. La guerra all’ultimo sangue è diventata l’ultima battaglia di quartiere. Alla fine, solo una raffica di arresti, espulsioni, fotosegnalazioni, denunce. E dalle finestre è volato in cortile un pacco con un chilo di droga. E la bomba ad orologeria è stata disinnescata a forza di «pattuglioni». Almeno un paio al giorno. Il cemento del cortile ha ospitato la partita di calcetto con squadre miste. Jerry, il «sindaco» dei nigeriani ha fatto gol: aveva trattato per giorni l’organizzazione della «pace calcistica» con la comunità dei rivali. Resterà come ricordo dell’evento un pallone da mondiali, insieme ai portachiavi omaggio del Csi a chi è abituato a sopravvivere dentro loculi di 28 metri quadri con le porte sfondate.

Adesso in via Anelli c’è la processione degli inviati, dei politici, dei curiosi e dei clienti che devono parcheggiare a distanza per la dose. Tutto sotto controllo. Arrestato Tommy, che vendeva cocaina con tanto di biglietto da visita. Setacciati i magrebini che al Brico Center si sono riforniti di roncole, asce e mazze. Aggiornati gli schedari dei consumatori, a volte insospettabili. Tranquillizzati i residenti del quartiere. Fa davvero impressione «sbattere» fisicamente addosso al check point, piazzato all’angolo con via Grassi. Blocchi di cemento armato, bianchi e rossi, con la catena al centro, presidiati dai carabinieri. Dall’altra parte della strada ci sono i celerini in assetto anti-sommossa. E vicino alla concessionaria Opel ancora un altro posto di blocco. Si entra esclusivamente a piedi. Controllati a vista e, se serve, non solo dallo sguardo dei tutori dell’ordine. Come Mogadiscio, Sarajevo, Baghdad o Gaza. Stesso assetto di guerra con regole d’ingaggio che ricordano gli anni di piombo. Chi abita dentro il condominio Serenissima, dal 27 luglio, può solo guadagnare l’unico cancello rimasto aperto. Deve passare davanti alla moschea di via Anelli, guadando le pozzanghere e prestando attenzione ai vetri di bottiglia rotti.

E’ il Bronx di Padova. Ma non da oggi. La differenza sta tutta nei riflettori dei media che nell’estate 2006 si sono accesi per Padova. La «guerra» fra nigeriani e magrebini dura da anni, ma questa volta fa più notizia. I «loculi» fatiscenti, il degrado più stomachevole, le presenze poco raccomandabili accanto alle famiglie di immigrati regolari non rappresentano una novità. Eppure in pieno agosto Gianfranco Fini è «sbarcato» qui. Ha stretto la mano all’imam, ma si è dimenticato di lasciare le scarpe fuori dall’uscio. Ha tuonato invocando le ruspe immediatamente come i leghisti che amministrano la Provincia, ma ha rinnovato l’auspicio del voto agli immigrati. Ha rianimato un partito con troppe correnti e nessun vero leader, ma ha bacchettato gli speculatori padovani che affittano i mini di 2 metri quadri a 600 e passa euro al mese. In sostanza, Fini ha concordato con le posizioni del sindaco Flavio Zanonato, che però è il padre-padrone dei Ds padovani. L’unica differenza nel virgolettato delle dichiarazioni sta nell’uso dei caterpillar: la giunta dell’Ulivo (con i Verdi all’opposizione da un anno) preferisce la «bonifica» delle palazzine. Ne ha già sigillate tre. La quarta (su sette) verrà liberata all’inizio di ottobre alla fine del Ramadan. Gestisce l’operazione l’assessore Daniela Ruffini, tessera di Rifondazione comunista, disprezzata dal governatore Galan come dai Disobbedienti.

Via Anelli rimbalza nei titoli di scatola, nelle agenzie, dagli schermi dei telegiornali fino all’aula della Camera. L’ex sindaco Giustina Destro, neo-deputato di Forza Italia, cita Gian Antonio Stella e rivendica l’apertura del commissariato alla Stanga senza dimenticare il capo della polizia De Gennaro. Si guadagna l’attenzione del ministro Giuliano Amato, che usa il termine banlieue per «incendiare» la redazione del Corrierino, capace anche di «sforbiciare» i titoli del manifesto ad uso e consumo dell’accostamento con Pravda e Padania.

Anche così nasce il «muro di via Anelli». Bella immagine. Efficace. Dà proprio l’idea di una nuova Berlino nel cuore del Nord Est. Da una parte gli immigrati, dall’altra la città. Peccato sia solo una recinzione, chiesta dai residenti nella vicina via De Besi. Quelle precedenti venivano manomesse, scavalcate, tagliate dai pusher in azione o in fuga. La nuova è di acciaio, un po’ più alta, ma fa decisamente meno «guerra» del posto di blocco. A fine settembre entreranno in funzione una decina di nuove telecamere. Agenti e carabinieri in trasferta, i rinforzi ottenuti a tambur battente dal Vicinale restano finché sarà necessario. Non bastano più le 22 operazioni straordinarie dell’ultimo anno: bisogna controllare palmo a palmo lo spaccio che comincia a dilagare verso il fiume Piovevo, il quartiere residenziale appena diventato di proprietà Pirelli Re, la cittadella degli uffici che spengono le luci appena fa sera.

Via Anelli fa schifo, non solo alla «Padova bene» che si ritira a Cortina, Jesolo o sui Colli. E’ diventato il discount della droga per tutte le tasche e ogni esigenza. Misura che razza di razzismo può mettere radici dentro il ghetto. Ma risputa in faccia alla città impaurita il bolo della sua stessa ipocrisia.
Era così negli anni Novanta. Con l’elicottero a volteggiare con la luce del riflettore per guidare un blitz, indispensabile a separare comunità già diventate bande. Amministrava il centrosinistra con lo stesso sindaco. Ma via Anelli non si è scomposta nemmeno nei cinque anni di Polo. Se mai si è gonfiata come la rana-Padova, con una fisiologia opposta alla città-stazione: semideserta di giorno, formicaio dentro le tenebre. Nel 2004, l’Ulivo allargato si è presentato in piena campagna elettorale con i suoi candidati (dal sindaco in giù) in versione sandwich. «Siamo tutti marocchini bianchi» diceva il cartello al collo durante l’assemblea all’ombra delle mille parabole satellitari. Due anni dopo, l’assessore alla sicurezza Marco Carrai si affida alla videosorveglianza e parla di «desertificare la zona di via Anelli».

Ma via Anelli è rimasta ingovernabile per tutti i questori, prefetti, comandanti dell’Arma che sono passati da Padova negli ultimi dieci anni. Forse che il Bronx concentrato è meglio di tanti «minimarket» sparsi nei quartieri cittadini? Di sicuro, 53 chili di stupefacente sequestrato anche durante i blitz in via Anelli sono letteralmente evaporati dalla camera blindata dell’Istituto di medicina legale dell’Università. Ma non se ne parla più, nonostante un suicidio eccellente. Del resto, la procura padovana con Pietro Calogero al vertice non gradisce i giornali, se sbugiardano le conferenze stampa dei carabinieri. Scattano le perquisizioni a domicilio e in redazione per Enzo Bordin e Lino Lava, cronisti fedeli alla verifica dei fatti.

Padova fa sempre un passo indietro, verso l’indifferenza. E dimentica come quelle palazzine color verde marcio erano state costruite per gli studenti. Poi sono arrivate le puttane italiane, che hanno dovuto cedere i mini alla prima ondata di immigrati. Affitti a peso d’oro. Sempre. In nero. I «loculi» sono proprietà privata. Italiani e padovani che hanno «investito» e incassano senza scrupoli. O si affidano ad amministratori condominiali compiacenti, come in passato.
Gli stessi proprietari che puntano i piedi, con tanto di ricorso al Tar, in vista della bonifica. Altri padovani sono già pronti con un bel «progettino di ristrutturazione». Ha fiutato l’affare l’ala immobiliarista del centrosinistra. Uomini dello Sdi, gli stessi socialisti di Tangentopoli. Via Anelli fa proprio schifo…