Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Peacereporter del 2 settembre 2006

Di Manica stretta

La Gran Bretagna pensa di restringere l'immigrazione di lavoratori da Romania e Bulgaria

Solo immigrati qualificati. L’idea del governo Blair, non ancora ufficializzata ma lasciata trapelare alla stampa, è di applicare a Romania e Bulgaria lo stesso sistema in uso per gli immigrati provenienti dai paesi extraeuropei: permettere il soggiorno solo a chi può dimostrare di avere le competenze lavorative che servono alle aziende britanniche. Una laurea e una specializzazione costituirebbero bonus decisivi. In pratica, si formerebbe così un collo di bottiglia che limiterebbe in modo drastico i nuovi arrivi, perché pochi migranti avrebbero i requisiti necessari. Se non si facesse così, per i sostenitori della nuova politica, l’ingresso nella Ue dei due paesi porterebbe a un’immigrazione di massa: 200mila rumeni e 80mila bulgari verrebbero a cercare lavoro in Gran Bretagna, secondo il gruppo Migration Watch. Messe insieme, Romania e Bulgaria porteranno nell’Europa unita altri 30 milioni di abitanti e il loro prodotto interno lordo (Pil) pro capite è più basso rispetto agli altri otto Paesi dell’est entrati nella Ue nel 2004. Se il Pil pro capite di quelli era si fermava al 45 per cento della media europea, per Romania e Bulgaria la ricchezza media si ferma al 30 per cento della media Ue.

La reazione di Bucarest. Le autorità rumene non hanno preso bene il voltafaccia di Londra. In un’intervista all’International Herald Tribune, il presidente Traian Basescu ha detto che la Romania non intende essere trattata come “un cittadino di seconda classe”, e ha cercato di calmare le paure britanniche di un arrivo in massa di lavoratori rumeni. Secondo Basescu, la forte crescita economica della Romania tratterrà in futuro i giovani dal cercare lavoro all’estero. “L’aumento dei salari nel settore privato è esponenziale e la Romania, specie nel settore delle costruzioni, non ha abbastanza forza lavoro disponibile. Crediamo che questo rappresenterà un incentivo a restare”, ha detto. Ma l’ottimismo del presidente rumeno sembra eccessivo, o almeno prematuro. Molti rumeni vivono ancora con meno di 200 euro al mese, e si calcola che già oggi almeno il 10 percento della popolazione rumena lavori all’estero, principalmente in Spagna e in Italia.

Porte sempre più chiuse. Secondo le normative di Bruxelles, i paesi Ue hanno il diritto di imporre restrizioni ai lavoratori dei nuovi stati membri, ma solo per sette anni. Nel 2004, quando l’Unione si è allargata a 10 paesi, di cui 8 ex comunisti, solo la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Svezia hanno mantenuto una politica di porte aperte alla nuova forza lavoro. Ora, il cambio di politica da parte del governo Blair trova molti favori anche da parte dell’opposizione.

Le richieste degli imprenditori. La grande imprenditoria britannica ha però chiesto al governo di garantire una “immigrazione illimitata” ai nuovi stati membri. “Una cosiddetta pausa dell’immigrazione da questi paesi equivarrebbe a un rovesciamento di politica, e andrebbe contro gli interessi della Gran Bretagna”, hanno scritto alcune tra le maggiori società britanniche in una lettera aperta. Se per molti gli immigrati est europei tolgono possibili lavori ai britannici, per i businessmen i nuovi arrivati dal 2004 – il 62 percento dei quali sono polacchi – “hanno colmato buchi nella forza lavoro e contribuito alla crescita economica”. Le statistiche sostengono questa teoria: nel 2005 e quest’anno, tra lo 0,5 e l’1 percento della crescita dell’economia della Gran Bretagna è stato attribuito agli immigrati.

di Alessandro Ursich