Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Mattino di Padova del 19 settembre 2006

Ma il chador in classe non fa più scandalo

Filippo Tosatto

Oggi è un giorno particolare per lei. Il primo alla scuola media. I coetanei la incroceranno, qualcuno le rivolgerà la parola, nessuno potrà scorgere il suo volto. Perché Fatima indosserà il chador. Proviene da una famiglia araba e musulmana, molto rispettabile e altrettanto ortodossa. Da un anno, ogniqualvolta esce di casa, un lieve drappo bianco provvede a celarne i lineamenti di undicenne. In Francia il Parlamento ha varato una legge che proibisce alle ragazze islamiche di frequentare la scuola velate.

Qui, nel cuore dell’Alta, smaltita la sorpresa, è prevalsa la tolleranza. Né poteva accadere altrimenti nel distretto multietnico che contende al quartiere padovano dell’Arcella il primato delle presenze scolastiche straniere.
Albanesi, macedoni, rumeni, serbi, croati, bosniaci, moldavi, marocchini, senegalesi, nigeriani, ghanesi… l’appello mattutino diventa una torre di Babele nell’istituto comprensivo di San Martino di Lupari, il più affollato del Veneto: 1.152 studenti e una presenza extracomunitaria che raggiunge punte del 15%. «Siamo una scuola a forte presenza extraeuropea e questa tendenza, favorita dalle opportunità lavorative della zona, si va accentuando a partire dalle materne», commenta la direttrice Fiorenza Marconato «i problemi talvolta nascono dalla concentrazione in alcune sezioni e dal livello di partenza diseguale». La prassi prevede un esame dei nuovi arrivati con successiva proposta di inserimento.

L’obiettivo è l’ingresso rapido in classi di coetanei preceduto da un corso intensivo di lingua italiana: «Non c’è soltanto un problema di comunicazione, a volte dobbiamo superare ostacoli di carattere culturale, situazioni di rifiuto, casi familiari preoccupanti che affrontiare con l’aiuto delle istituzioni. L’esperienza ci dimostra che le enclave non funzionano, ragazzi italiani e stranieri devono crescere insieme, trasformando la diversità in una risorsa. Gli screzi? A volte esistono, ma giorno dopo giorno nascono anche belle amicizie». La sensazione, ricavata dai colloqui con i docenti, è che superato l’handicap linguistico-ambientale di partenza, a influire sul rendimento scolastico siano soprattutto l’habitat familiare e l’importanza che i genitori attribuiscono all’istruzione. Notevole, tra gli immigrati nell’est europeo. Più modesta da parte dei magrebini provenienti da Paesi dove, sino a qualche anno fa, l’alfabetizzazione di base non era obbligatoria. «Mi piace segnalare l’ottimo con cui l’anno scorso abbiamo diplomato una ragazzina rumena», chiosa la direttrice. In ogni caso, la nuova stagione multietnica costituisce un impegno oneroso per gli insegnanti, chiamati a farvi fronte senza alcuna risorsa aggiuntiva: «Da soli, come istituto, non ce la facciamo», conclude Marconato «perciò dobbiamo inventare una strada progettuale, cercare risorse in rete, bussare alle porte di amministrazione comunale, servizi sociali, Regione. La formazione dei docenti è l’elemento cruciale insieme alla loro buona volontà, che non è mai venuta meno».

Quest’anno gli istituti del Padovano (dalle scuole d’infanzia alle superiori) accoglieranno circa 102 mila bambini e ragazzi, e i figli degli immigrati sfioreranano le 10 mila unità. Non solo cifre però. Dietro le statistiche c’è un microcosmo di storie, volti, piccoli personaggi. Ecco Sahid, adolescente marocchino innamorato del pallone che sogna un futuro da Ronaldinho e saltabecca tra i banchi di scuola e il campetto d’allenamento della Luparense; al suo fianco, amico inseparabile, un piccolo, taciturno, albanese. C’è chi vive una situazione dolorosa, come il ragazzino rumeno adottato e poi sottratto alla famiglia putativa per essere inviato in una comunità: il suo obiettivo è diventare un campioncino di break dance e al ballo dedica, con passione, ogni minuto libero. E c’è chi risente del bagaglio antropologico di partenza, lontano dai ritmi occidentali: così, quando piove, Christine, una bambina nigeriana, evita di recarsi a scuola, forse nel timore di rovinare le amatissime treccine.

A due passi dal paese dei Lupi, Tombolo. Battistrada dell’apertura a oriente (nel secondo dopoguerra i grossisti di bestiame locali varcarono per primi la cortina di ferro rifornendo di bistecche mezza Italia) conferma la sua vocazione transnazionale: 50 dei 200 bimbi della scuola elementare portano cognomi stranieri. Una media record, già diventata argomento di tesi di un laureato in pedagogia. «Abbiamo 14 nazionalità diverse nelle classi», precisa il preside Ugo Silvello «e ciò richiederebbe un approccio sistemico da parte delle istituzioni. Cerchiamo di fare la nostra parte, istituendo, ad esempio, corsi serali di italiano per i genitori stranieri, nel tentativo di accelerare l’integrazione culturale e linguistica dei ragazzi. La risposta? Positiva in molti casi, salturia in altri: spesso le famiglie sono gravate dagli impegni di lavoro». Il Comune dà una mano, la parrocchia pure. Ma non sempre è sufficiente: «Servirebbero maggiori risorse, non solo sul piano economico. Penso a docenti ad hoc, in grado di seguire i ragazzi fin dal loro arrivo. I colleghi fanno tutto il possibile, non posso che ringraziarli».

Scongiurati i focolai di razzismo, compaiono qua e là piccole tensioni tra le etnie. Nulla di drammatico anche se la media del profitto scolastico degli immigrati, al momento, resta inferiore a quello dei compagni italiani e non mancano i casi di blocco psicologico-ambientale: a Tombolo è ancora viva l’impressione suscitata da un piccolo cinese che per due anni, nonostante le sollecitazioni di coetanei e docenti, si rinchiuse in un mutismo impenetrabile… «A volte lo svantaggio linguistisco si somma a quello socio-familiare e diventa un macigno difficile da sormontare», ammette Silvello.

Ma esiste una via maestra per tradurre le incognite della multicultura in una chance collettiva di crescita? «Certo ma è indispensabile investire nell’aggiornamento del corpo insegnante», replica Nereo Marcon, il segretario veneto della Cisl-scuola «e il secondo passo consiste nel distribuire in modo più omogeneo le presenze straniere nelle sezioni, così da consentire interventi mirati. I minori hanno il diritto costituzionale all’istruzione ma ciò diventa arduo quando una maestra si ritrova con cinque, sei, sette bambini che non conoscono una parola di italiano e magari parlano altrettante lungue diverse».
«Nell’ultimo contratto gli insegnanti italiani si sono autotassati, rinunciando a una quota potenziale di stipendio per finanziare la loro formazione», conclude Marcon «ciò ha consentito, nel Veneto, di investire complessivamente 2 milioni e mezzo di euro. Un esempio di rigore professionale, insufficiente al fabbisogno però: è giunto il momento che lo Stato faccia la sua parte».