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Malkija, dal carcere al Cpt di Ponte Galeria

di Michela Bevere

Scarcerata per effetto dell’indulto, ora si trova rinchiusa nel Cpt di Ponte Galeria, perché trovata senza passaporto e senza permesso di soggiorno.
E rischia l’espulsione. Protagonista di questa storia è Malkija C., una rom di 28 anni, madre di quattro figli, che frequentano regolarmente le scuole romane.
Era in carcere da dieci mesi, Malkija, e doveva farsi ancora un anno e mezzo per furto. La recente legge sull’indulto le avrebbe restituito la libertà. Ma non è andata così.

All’uscita dal carcere di Rebibbia la giovane rom ha trovato i poliziotti dell’ufficio immigrazione della questura, che ai primi d’agosto controllavano uno per uno gli stranieri liberati con lo sconto di pena, per verificare che fossero in regola con il permesso di soggiorno e con la legge sull’immigrazione Bossi-Fini.
Come centinaia di immigrati e di nomadi, Malkija ha ricevuto il decreto prefettizio di espulsione e il 10 agosto il questore l’ha fatta rinchiudere nel Cpt di Ponte Galeria, in attesa di spedirla in Bosnia.
Un paese sconosciuto per lei, che vive in Italia da ben 24 anni. Prima a vicolo Savini, mentre ora dovrebbe andare in un campo attrezzato a Castel Romano sulla Pontina.

La giovane nomade ha avuto quattro figli e li ha allevati senza il padre, il più piccolo ha tre anni e il più grande nove anni. Tre di loro vanno regolarmente a scuola a Roma, “con buon rendimento” come sottolinea l’assessore alle politiche sociali del Municipio XI, Gianluca Peciola, in una lettera a sindaco, prefetto e questore. I quattro bambini potrebbero adesso lasciare la scuola per seguire la madre in quel paese sconosciuto, altrimenti dovranno separarsi da lei e rimanere a Roma, con i parenti ai quali erano stati temporaneamente affidati dopo l’arresto della donna.
Comunque vada, sarebbe una tragedia.

L’avvocato Luca Guerra che assiste Malkija ha fatto ricorso al giudice di pace contro l’espulsione. Ma c’è anche un’altra questione.
Una specifica norma della legge sull’immigrazione, consente “l’ingresso o la permanenza del familiare per un periodo determinato, anche in deroga” alle norme generali, “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” dei figli minori.
Gianluca Peciola ricorda, infatti, il caso di Nevreza Hamidovic, una rom espulsa e allontanata dalla famiglia nel settembre 2005, per il quale l’Italia è stata condannata dalla corte di Strasburgo per violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani che protegge “la vita privata e familiare”.

Secondo l’assessore del Municipio XI la vicenda di Malkija “dimostra il fallimento non soltanto della Bossi-Fini, ma anche dell’impianto normativo precedente, che ha dato vita ai Centri di permanenza temporanea”. “La reclusione amministrativa oltre ad essere umanamente aberrante – dice ancora Peciola – è incostituzionale e deve essere respinta”.
Intanto la Prefettura ha bloccato l’espulsione, assicurando, per il momento, che i bambini resteranno in Italia. E sono tutti in attesa dell’esito del ricorso al giudice di pace, che dovrebbe risolvere il problema dell’applicazione dell’indulto agli stranieri, che si trasforma nell’inizio di un incubo.