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da La Stampa on line del 23 ottobre 2006

Londra: no agli immigrati dall’Est

Svolta di Blair, per romeni e bulgari quote d’ingresso in Gran Bretagna

di Marco Castelnuovo

LONDRA. Svolta per Tony Blair nel governo dell’immigrazione. Dopo la politica delle «porte aperte» che secondo i dati ufficiali presentati lo scorso agosto ha portato nel Regno Unito 427mila nuovi immigrati dall’est europeo in soli due anni, il ministro degli interni John Reid ha annunciato una vigorosa marcia indietro. «Una marcata conversione a U», come l’ha definita il domenicale «The Observer», che ieri ha rivelato i piani segreti di Downing Street.

Allo studio c’è infatti la limitazione dei flussi all’ingresso per cittadini di Romania e Bulgaria, che pure entreranno nell’Unione Europea il prossimo gennaio. La decisione riflette i timori dell’effetto di una nuova ondata di immigrati sull’occupazione interna: una decisione praticamente obbligata dopo la marea di critiche per quello che in molti hanno definito «l’insostenibile numero» di immigrati, soprattutto polacchi, che sta entrando in Gran Bretagna. Il Regno Unito è, insieme a Svezia e Irlanda, uno dei tre stati europei che ha rilasciato un «accesso illimitato» ai lavoratori provenienti dagli otto Paesi dell’Est Europa che sono appena entrati nell’Unione Europea. Ma i dati di agosto hanno spaventato i cittadini britannici, nonché allarmato il governo che aveva stimato gli ingressi di cittadini dell’Europa Orientale tra i 5mila e i 13mila annui. Una sottostima largamente lontana dai 427mila nuovi migranti che si sono effettivamente trasferiti nel Regno Unito. È la sindrome dell’idraulico polacco che torna prepotentemente in Europa. La paura che i nuovi ingressi tolgano posti di lavoro agli autoctoni, emblematicamente rappresentata nella Francia che ha bocciato il referendum sulla Costituzione europea da un idraulico di origine polacca, ha attraversato la Manica.

La «stretta» su romeni e bulgari contrasta palesemente con il trattamento riservato ai cittadini dei nuovi stati membri dell’Ue. E se dovesse essere approvata facilmente si estenderebbe anche agli altri Paesi candidati: Croazia in primis, ma anche i Paesi della ex-Jugoslavia o la Turchia, per esempio.

I progetti di Reid sono stati decisi e messi a punto a dispetto delle furiose reazioni dei dirigenti della comunità romena in Gran Bretagna che, in una lettera riservata di cui l’Observer è riuscito ad ottenere una copia, hanno accusato Tony Blair di aver condotto una «campagna denigratoria» nei loro confronti. «I media britannici non hanno riportato la vera immagine della Romania – sostengono i dirigenti della comunità -. E il numero dei cittadini rumeni che vogliono trasferirsi in Gran Bretagna per lavoro dal prossimo primo gennaio è stato grandemente gonfiato». Ma la proposta di John Reid è stata criticata anche da altri esponenti dello stesso governo Blair anche se l’attuale ministro degli esteri Margaret Beckett ha detto che «il dibattito è ancora in corso» e che «nessuna decisione rapida e severa è stata ancora presa».

Il piano che dovrebbe essere compiutamente svelato questa settimana prevede che romeni e bulgari che vogliano migrare in Gran Bretagna debbano avere determinate capacità, professionalità, peculiarità. Un tentativo per «scegliere» immigrazione qualificata e limitare l’impatto sui lavoratori di fascia medio-bassa nel Regno Unito.

Un rapporto riservato del governo, presentato prima del piano che punta a fermare la migrazione dall’Europa orientale, stimava tra i 60mila e i 140mila i possibili nuovi ingressi all’anno provenienti da Est. Proprio un mese fa il primo ministro romeno, Calin Tariceanu, rassicurava i colleghi, sostendo che l’ingresso della Romania nell’Unione non sarebbe stato «il fattore scatenate di un’ondata di emigrazione dal Paese». Evidentemente Tony Blair non gli ha creduto.