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L’esternalizzazione del controllo dei flussi migratori: il caso Libia

Il Progetto Melting Pot Europa ha raccolto testimonianze dirette delle violenze in Libia denunciate da un recente rapporto di Human Right Watch

Politica di esternalizzazione e violazione dei diritti umani

Il controllo delle frontiere del paese avviene nella totale mancanza di rispetto per i diritti umani: pestaggi, maltrattamenti, arresti arbitrari alle frontiere ed in territorio nazionale; sovraffollamento, mancanza di difesa legale, maltrattamenti e torture in carcere. Le deportazioni che ora avvengono per lo più attraverso voli aerei, erano effettuate a terra a bordo di autocarri o pullman attraverso il deserto.

Nonostante questo l’Italia effettua deportazioni verso la Libia, come si legge nel rapporto di HRW.
“Dal 2004 il governo ha effettuato migliaia di espulsioni in modo frettoloso e indiscriminato e non ha garantito a tutti i soggetti un’adeguata opportunità di presentare richiesta di asilo. Una volta in Libia, il governo libico ha rimpatriato queste persone verso i paesi di origine senza curarsi se costoro rischiavano persecuzioni o maltrattamenti. Nel solo periodo compreso tra l’agosto 2003 e il dicembre 2004, il governo italiano ha affittato 50 aerei charter che sono serviti a rimpatriare 5.688 persone.”
L’Italia pratica, inoltre, i respingimenti in mare ed è da considerarsi “corresponsabile di qualsiasi tortura o trattamento inumano o degradante che i soggetti espulsi possono incorrere una volta rimpatriati nei loro paesi di origine o in qualsiasi altro luogo.”
L’Italia, lo ricordiamo, ha finanziato tre centri di detenzione per migranti irregolari in Libia, e non è ancora stato reso pubblico l’accordo bilaterale firmato dai due paesi nell’agosto 2004. Anche l’UE sta lavorando a un accordo di Partnership con il governo libico.

Le retoriche dell’invasione
Nel corso dell’estate abbiamo dato notizia degli sbarchi sull’isola di Lampedusa e sul carattere di anomala extraterritorialità che regola l’isola, per denunciare i rimpatri, le condizioni di detenzione inumane sull’isola e il costante rischio di violazione del diritto di asilo in Italia. È utile riportare a questo proposito il commento di HRW, che ridimensiona il fenomeno degli sbarchi e sostiene che la costruzione di un immaginario di invasione serve a giustificare politiche di controllo dell’immigrazione che non si attengono ad alcuno standard di protezione dei diritti, sanciti anche dal Testo Unico dell’immigrazione, che vieta di espellere persone nel caso queste siano a rischio di subire violenze e maltrattamenti.

“La collaborazione italiana con la Libia deriva da una generale sensazione all’interno dell’opinione pubblica e in parte del governo stesso che i richiedenti asilo stiano
invadendo le coste italiane, così come la gente temeva “un’invasione” dall’Europa orientale dopo il 1989, mentre il sistema che si occupa di asilo e immigrazione
risulterebbe inadeguato. Le statistiche tuttavia dimostrano che il presunto afflusso di massa sia meno temibile di quanto comunemente ritenuto. Nel 2005, l’Italia si è attestata all’8° posto tra i 25 Stati membri dell’UE per numero di richieste d’asilo ricevute (9.500), e al 18° se si calcola tale numero ogni 1.000 abitanti (0,2). Il numero di richiedenti asilo è costantemente diminuito dal 2002, quando raggiunse le 16.020 unità.
Oltre a ciò, è relativamente bassa la percentuale di stranieri privi di documenti entrati in Italia illegalmente via mare. Secondo un rapporto del governo italiano, la maggioranza degli stranieri privi di documenti sono entrati in Italia legalmente via terra divenendo illegali dopo che i loro visti erano scaduti o in seguito alla loro permanenza oltre i termini del loro permesso di soggiorno. Soltanto il 10% dei lavoratori clandestini sono entrati nel
paese via mare.”

La testimonnianza raccolta dal Progetto Melting Pot

I casi che più hanno fatto notizia hanno riguardato cittadini eritrei, a rischio di subire torture e trattamenti inumani e degradanti al momento del loro rientro, con la complicità dei governi europei e della Unione Europea che sostengono e, nel caso dell’Italia, finanziano, questa politica – 5,5 milioni di euro stanziati nel solo 2004.
Il timore di subire torture è suffragato dai rapporti di numerose associazioni in difesa dei diritti umani, come Amnesty International, che ha raccolto le testimonianze degli eritrei->9009] espulsi da Malta. Secondo numerose sentenze questo timore è motivo sufficiente per concedere protezione, si veda la [sentenza United Kingdom Immigration Appeal Tribunal (Appeal No: Eritrea CG [2005] UKIAT 00106), che ha garantito asilo ad un eritreo disertore riconoscendo la funzione di repressione della coscrizione obbligatoria, in base alla certezza che chiunque faccia ritorno in Eritrea dopo aver disertato è sistematicamente sottoposto a torture e detenzione indefinita e in incommunicado. Nonostante questo il nostro governo, in deroga alla Convenzione di Ginevra che definisce rifugiato colui che abbia subito persecuzioni o abbia il fondato timore di subirne al proprio paese, concede ai cittadini eritrei solo la protezione umanitaria.

Nel 2004, per evitare la deportazione, un gruppo di eritrei dirottò un aereo in Sudan, dove l’UNHCR esaminò le storie di queste persone e concesse in numerosi casi lo status di rifugiato.

Altri riuscirono ad evitare la deportazione e rimasero nelle carceri libiche, come Daniel. Ascolta la testimonianza

A cura di Elisabetta Ferri, Redazione Parma