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TAR Lazio, sentenza 11.07.2006, n. 5379

Sullo status di rifugiato decide il giudice ordinario

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
Sezione Seconda quater

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3747/2006 proposto da A, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Ferrara ed Egidio Lizza, nello studio dei quali è elettivamente domiciliato in Roma, Via Valadier n. 43;
contro il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, la Questura di Roma, in persona del Questore pro tempore, la Commissione Centrale per il riconoscimento dello Status di rifugiato politico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati “ex lege” in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per l’accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza presentata dal ricorrente in data 20 dicembre 2005 volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato in data 18 ottobre 2004, ai sensi dell’articolo 5, comma 6, del D. lgs. n. 286/1998;
e per la conseguente condanna dell’amministrazione ad emanare il provvedimento favorevole richiesto.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
VISTI gli atti tutti della causa;
Nominato relatore alla camera di consiglio del 24 maggio 2006 il Ref. Vincenzo Blanda;
Uditi, ai preliminari, l’avv. Egidio Lizza per il ricorrente e l’avv. dello Stato Melillo per l’amministrazione resistente;

Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO
Il ricorrente contesta la legittimità dell’inerzia serbata dall’amministrazione resistente sulla domanda volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato in data 18.10.2004, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del D. Lgs. n. 286/1998.
L’interessato ha presentato istanza di rinnovo presso la Questura di Roma in data 20 dicembre 2005. Tornato presso il suddetto Ufficio, in data 21 marzo 2006, per ritirare il provvedimento richiesto, ha appreso che l’autorità di pubblica sicurezza non aveva ancora provveduto al rinnovo entro il termine previsto dall’art. 5, comma 9, del T.U. n. 286/1998, né in quello più lungo previsto dall’art. 2, comma 3, della legge n 241/1990.
L’istante chiede, pertanto, l’accertamento dell’illegittimità del silenzio rifiuto tenuto dall’amministrazione per i seguenti motivi:

1) violazione dell’articolo 5, comma 9, del T.U. 286/1998.
La Questura di Roma ha omesso di rilasciare il permesso di soggiorno richiesto entro il termine 20 giorni previsto dalla norma citata in epigrafe.
L’inerzia dell’amministrazione insieme al perdurante stato di incertezza in cui versa il ricorrente fondano la domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dalla predetta autorità.
In materia di riconoscimento del diritto di asilo è intervenuta più volte la Corte di Cassazione che, da ultimo, nella sentenza della Sez. I, 4 maggio 2004, n. 8423 ha affermato la sussistenza della “giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda proposta avverso il diniego dello status di rifugiato politico da parte dell’apposita Commissione costituita presso il Ministero dell’Interno”, richiamando il contenuto della sentenza SS.UU., 17 dicembre 1999, n. 907;

2) violazione dell’articolo 2, comma 3, della legge n. 241/1990 come modificato dalla legge 15/2005;
Nel caso di specie risulta violato anche il termine previsto in via generale dalla legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990, così come modificata dalla legge n. 15/2005 poiché è stato superato il termine di 90 giorni previsto per la conclusione dei procedimenti amministrativi.
Infatti, il ricorrente ha presentato la domanda il 20 dicembre 2003 e quando è tornato in Questura di Roma il successivo 21 marzo 2006 il provvedimento richiesto non era stato ancora adottato;

3) nel merito la pretesa del ricorrente è fondata ai sensi del combinato disposto dell’art. 5, comma 6, del T.U. n. 286/1998 e dell’art. 11, comma 1, c-ter del d. P.R. n. 344 del 24.10.2004.
L’articolo 5, comma 6 del testo unico n. 286/1998 impone il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, quando particolari condizioni soggettive ed oggettive del richiedente l’asilo rendono necessaria l’adozione di una protezione umanitaria, che riconosce al richiedente l’asilo il diritto a non essere reimmesso in un contesto di elevato rischio personale.
A seguito delle modifiche recentemente apportate in tema di silenzio dell’amministrazione dall’art. 21 secties della legge n. 15/2005, il giudice amministrativo è oggi investito del potere di conoscere nel merito la controversia e, quindi, di concedere il bene della vita sotteso all’istanza del privato, garantendo in tal modo una tutela effettiva.
Per quanto concerne il merito dell’istanza, in Afghanistan, paese di origine dell’interessato, permangono le esigenze di carattere umanitario che consentono il riconoscimento dello status di rifugiato.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso.
Alla Camera di Consiglio del 24 maggio 2006, il difensore del ricorrente la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1. Ritiene in via preliminare il Collegio che la controversia in esame esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
1.1. Invero, sulla base del recente orientamento assunto dal Giudice di Appello (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 19 luglio 2005 n. 3835; idem, nn. 6761-5/2005), condiviso da questa Sezione, spetta al giudice ordinario valutare le condizioni ostative all’espulsione di uno straniero che abbia invocato lo status di rifugiato nonché decidere le controversie relative al diniego di riconoscimento di tale status ed al rifiuto del permesso di soggiorno ad esso strumentale.
1.2. Le richiamate pronunce del Consiglio di Stato sono, peraltro, conformi ad un’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale le controversie connesse ai dinieghi di riconoscimento dello status di rifugiato (ivi comprese quelle attinenti il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno) rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
In proposito, vale richiamare la sentenza 17 dicembre 1999, n. 907 (citata peraltro dallo stesso ricorrente nel primo motivo), con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rilevato che:
– l’art. 46 della legge 6 marzo 1998, n. 40, ha abrogato l’art. 5 del decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416 convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 39, che attribuiva al giudice amministrativo le medesime controversie;
– a seguito di tale abrogazione, rilevano i criteri di riparto di giurisdizione;
– sono ravvisabili posizioni di diritto soggettivo, relative a status, quando si controverta sul riconoscimento del diritto di asilo o sulla posizione di rifugiato.
1.3. A tale sentenza si sono richiamate le successive pronunce della Corte di Cassazione (cfr. Sez. Lav., 18 giugno 2004, n. 11441; Sez. I, 4 maggio 2004, n. 8423; Sez. I, 9 aprile 2002, n. 5055).
2. Appare pacifico, quindi, il difetto di giurisdizione amministrativa, in relazione all’impugnazione del diniego dello stato di rifugiato da parte della Commissione Nazionale.
Di conseguenza il difetto di giurisdizione va dichiarato anche con riferimento all’impugnazione del provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno connesso al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
2.1. La disciplina vigente prevede, infatti, che “il richiedente al quale non sia riconosciuto dalla Commissione centrale di cui all’art. 2 lo status di rifugiato deve lasciare il territorio dello Stato” (art. 5 del d.P.R. 15 maggio 1990, n. 136).
A seguito delle determinazioni della Commissione, il Questore “avvisa l’interessato, facendone menzione nel provvedimento di rifiuto, che, sussistendone i presupposti, si procederà nei suoi confronti per l’applicazione dell’espulsione” e “concede allo straniero un termine, non superiore a quindici giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato” (art. 12, commi 1 e 2, del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).
Dalla predetta disciplina, discende che la determinazione della Commissione centrale ha natura di atto interno al procedimento, che si conclude con il “rifiuto” del Questore, che contestualmente ordina l’espulsione dopo aver revocato il permesso di soggiorno.
2.2. Pertanto, poiché secondo la Corte di Cassazione sussiste la giurisdizione ordinaria per le controversie riguardanti le determinazioni della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, pur essendo conseguenti a valutazioni di carattere tecnico-discrezionale, deve ritenersi sussistente la giurisdizione ordinaria per le controversie attinenti alle revoche ed al diniego di rinnovo del permesso di soggiorno provvisorio concesso in attesa della decisione della Commissione Centrale, in ragione della natura meramente esecutiva delle determinazioni assunte dal predetto organo (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV, ord. 6 luglio 2004, n 3104; ord. 25 maggio 2004, n. 2375).
2.3. Del resto, come ha osservato il Consiglio di Stato nelle richiamate pronunce sarebbe manifestamente illogico –e in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione – un sistema di giustizia che prevedesse la giurisdizione ordinaria per contestare un atto interno di un procedimento e quella amministrativa per contestare, entro un termine perentorio, l’atto finale del medesimo procedimento (con le incongrue conseguenze di comportare una sostanziale duplicazione della medesima lite e di limitare la cognizione del giudice amministrativo al mero accertamento di quanto sia stato deciso sulla legittimità dell’atto infraprocedimentale).
3. Per le ragioni che precedono, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda quater, pronunciando sul ricorso in epigrafe, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 24 maggio 2006.
Italo Riggio – Presidente
Renzo Conti – Consigliere
Vincenzo Blanda – Referendario est.
Depositata in Segreteria l’11 luglio 2006.