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da La Repubblica (Roma) del 2 dicembre 2006

Cpt, delusione e rabbia per chi resta

Dopo l’uscita dei romeni i 120 immigrati chiedono più diritti Da ieri al Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria i romeni non ci sono più. Gli agenti che presidiano la struttura alle porte della capitale, all’alba di ieri, hanno fatto scorrere il pesante cancello nero e hanno lasciato liberi gli ospiti originari della Romania, ormai cittadini europei a tutti gli effetti.

Gli altri 120 immigrati hanno seguito da dietro le sbarre di ferro, in silenzio, l’uscita dal Centro dei quindici ex compagni. Poi si sono fermati tutti nel cortile, non sono rientrati nelle loro stanze, nonostante l’aria fredda.
L’intera comunità del Cpt di Ponte Galeria ha aspettato con ansia che la visita di qualche giorno fa della delegazione di parlamentari del Prc potesse da un momento all’altro sbloccare, far cambiare anche la loro giornata. Invece ancora niente. Tunisini, albanesi, sudamericani e asiatici – tutti “colpevoli” di essere stati sorpresi senza il permesso di soggiorno – circondati da sbarre alte una decina di metri con in cima il filo spinato, trascorrono sempre alla stessa maniera i sessanta giorni che li separano dal rimpatrio, in stanze da 4 a 6 letti per le donne e fino a otto per gli uomini.
Quando si rivolgono ai parlamentari – dai capigruppo al Senato e alla Camera Giovanni Russo Spena e Gennaro Migliore, alla responsabile per l’immigrazione Roberta Fantozzi – hanno le mani giunte e lo sguardo di chi, senza aver fatto nulla di male (burocrazia a parte), si trova a vivere in un incubo kafkiano senza possibilità alcuna.

«Sono malato di epatite – dice Alef, tunisino di 33 anni – e da quando sono qui, a parte tranquillanti che mi stordiscono e basta, non mi vengono date le cure di cui ho bisogno».

«Sono 16 anni che sto in Italia – incalza Khalid Basir, marocchino trentacinquenne mentre si precipita a scrivere il suo nome su un foglio che consegna a Migliore – ho sempre lavorato onestamente come manovale. Poi mi è scaduto il permesso di soggiorno, non l’ho rinnovato e sono stato sorpreso dalla polizia. Sono rinchiuso qui da 40 giorni, senza poter fare una telefonata, senza poter avere contatti con la mia fidanzata. E tra poco dovrò tornare nel mio paese».

Le storie di questi immigrati sono tante. C’è quella di Manuela, per esempio, una ragazza albanese, che ha conquistato un posto di lavoro da badante, dopo mesi trascorsi sulla strada, e che ora, per un ritardo nella presentazione del rinnovo del permesso, verrà rimpatriata. «Sono uscita con fatica dal giro della prostituzione – racconta – ho ricominciato daccapo, ma è stato tutto inutile: dovrò tornare a casa».

Poi c’è Milam il muratore sudafricano, pure lui non in regola, che si è vista assegnata una casa popolare ma è comunque finito al Cpt.

«Si percepisce una condizione di straniamento: parliamo di persone che non sanno perché sono qui – dice Gennaro Migliore – Sono in condizioni di reato amministrativo, solo perché non hanno documenti. Molti lavorano e si ritrovano in questi centri di vera e propria detenzione che dovrebbero essere chiusi.».