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Nota 25 gennaio 2007 n. 7 prot. n. 25/I/0000844 – Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale

Contratti di lavoro per richiedenti asilo

L’Associazione Provinciale Artigianato Senese formula istanza di interpello al fine di sapere se, dopo l’entrata in
vigore del D.Lgs. n. 140/2005, i cittadini di Stati non appartenenti alla Unione europea e ai quali sia stato
rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ex art. 11, comma 1, lettera a) del D.P.R. 31 agosto
1999, n. 394 – recante il regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione – possano essere assunti
con qualsiasi tipologia di rapporto di lavoro (full-time, part-time, a tempo determinato, contratti per
formazione e inserimento al lavoro con le annesse agevolazioni contributive), stante la particolare disposizione
dettata dall’art. 11, comma 1, dello stesso D.Lgs. n. 140/2005.
Tale decreto, innovando la precedente disciplina, all’articolo 11, comma 1, dispone che:
“qualora la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione della
domanda ed il ritardo non possa essere attribuito al richiedente asilo, il permesso di soggiorno per richiesta
asilo è rinnovato per la durata di sei mesi e consente di svolgere attività lavorativa fino alla conclusione della
procedura di riconoscimento”. In forza di tale disposizione, lo straniero richiedente asilo (cioè il cittadino
extracomunitario o l’apolide che richieda il riconoscimento dello status di rifugiato: v. per le definizioni l’art. 2,
comma 1, lettere a) e b) D.Lgs. cit.) al quale sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta di asilo,
non può – per i primi sei mesi dalla data del rilascio di detto permesso – svolgere alcuna attività lavorativa. La
norma soggiunge, però, che se la decisione sulla domanda d’asilo non venga adottata dagli organi competenti
entro detto termine e tale ritardo non sia imputabile al richiedente asilo (per l’imputazione del ritardo si vedano
le ipotesi di cui al comma 2, lettere a), b), c) dell’art.11, D.Lgs. cit.) il permesso di soggiorno per richiesta di
asilo è rinnovato per sei mesi e consente di svolgere attività lavorativa fino alla definizione della procedura di
riconoscimento dello status di rifugiato politico, con il rigetto o l’accoglimento dell’istanza.
Si noti che il Legislatore, nel caso in esame, non a caso ha adoperato la locuzione di “attività lavorativa” e che
nessun limite relativo a una o più tipologie di rapporto di lavoro viene espressamente menzionato dal
legislatore nel testo in esame, né risulta deducibile per relationem dal Testo unico sull’immigrazione, dal
regolamento di attuazione dello stesso e da altre norme speciali contenute in altri provvedimenti normativi.
Nulla osta, nella disciplina di diritto comune e nella normativa speciale, all’assunzione dello straniero che sia in
possesso del permesso di soggiorno, rinnovato per sei mesi, per richiesta di asilo (quindi di uno straniero
regolarmente soggiornante nel territorio nazionale) sia con contratto di lavoro a tempo indeterminato che con
un contratto di lavoro a tempo determinato, trovandosi – in quest’ultimo caso – logica e legittima motivazione
nell’apposizione del termine, nelle ipotesi (e solo nelle ipotesi) di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001: di fatto,
ciò che rileva, ai nostri fini, non è solamente il rinnovo del permesso di soggiorno per altri sei mesi, bensì il
fatto che la legge consente allo straniero di lavorare regolarmente e di essere regolarmente assunto fino alla
conclusione del procedimento de quo che non necessariamente può coincidere con gli ulteriori sei mesi. Per le
ragioni anzidette, nessun limite si può ravvisare per orari di lavoro part-time e per la stipula di contratti aventi
specifici contenuti formativi come l’apprendistato e il contratto di inserimento.
In tutti i casi summenzionati, all’atto della conclusione del procedimento de quo, se verrà riconosciuto lo status
di rifugiato, il relativo permesso di soggiorno consentirà il prosieguo del rapporto di lavoro, qualunque esso sia;
in caso contrario, il datore di lavoro potrà recedere dal rapporto ai sensi dell’articolo 3 della L. n. 604/1966,
per giustificato motivo oggettivo, riconducibile all’ipotesi della risoluzione per impossibilità sopravvenuta.
Qualora si argomentasse in senso contrario, il risultato sarebbe paradossale: l’art. 11, comma 1, D.Lgs. cit.
non avrebbe – di fatto – possibilità di essere applicato, se non nella sola ipotesi della stipula di un contratto di
lavoro a termine per autonome, specifiche, ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
non potendo mai la durata del permesso di soggiorno costituire comunque un’autonoma ragione che legittimi
l’apposizione del termine al contratto di lavoro; i contratti a contenuto “formativo” non potrebbero mai essere
stipulati, confliggendo la disciplina della loro durata minima con i succitati sei mesi. Anche il contratto a tempo
indeterminato non avrebbe logica ragion d’essere in quanto il datore di lavoro, sin dal momento della stipula
del contratto di lavoro, si riserverebbe una motivazione per recedere dal rapporto, trovandola nella durata del
permesso di soggiorno (rinnovato) per richiesta asilo: di fatto, questa ultima ipotesi ricadrebbe nella c.d.
riserva mentale, giacché il datore di lavoro dichiarerebbe intenzionalmente una cosa diversa da quella
effettivamente voluta, senza alcuna intesa con l’altro contraente e senza che costui sia nelle condizioni per
conoscere tale divergenza.