Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sentenza Consiglio di Stato n. 564/07

Rilascio pds per ricerca lavoro a minore non accompagnato.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 564/07
Reg.Dec.
N. 9940 Reg.Ric.
ANNO 2005

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9940 del 2005 proposto da U. M. rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Caffarelli e Caterina Rossato, con elezione di domicilio presso lo studio del primo in Roma, via Tigré n. 37;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

la Questura di Gorizia, in persona del Questore p.t., non costituita in giudizio;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’esecuzione, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sez. III 22 giugno 2005, n. 2646, resa tra le parti;

visto il ricorso con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato;

visti gli atti tutti della causa;

alla pubblica udienza del 28 novembre 2006, relatore il Consigliere Domenico Cafini, uditi l’avv. Caffarelli e l’avv. dello Stato Tortora;

ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. Il sig. U. A. nato a Dhaka (Bangladesh) il 10.5.1986 – trovato il 28.3. 2003 privo di documenti di identità dalla Polizia di Stato di Gorizia e quindi assegnato temporaneamente dalla Questura, quale straniero minore non accompagnato, al locale centro d’accoglienza minori, prima che il Tribunale per i minorenni di Trieste, con decreto 6.5.2003, n. 333/03 V.G., ne disponesse l’affidamento al Comune di Gorizia – otteneva, in conseguenza di ciò, il rilascio di un permesso di soggiorno per minore età, ex art. 28 del D.P.R. 31.8.1999, n. 394, con scadenza al 10.5. 2004, data in cui egli avrebbe compiuto i diciotto anni.

Il predetto, dopo il compimento della maggiore età, presentava domanda per la conversione del titolo già rilasciato in suo favore in permesso di soggiorno per lavoro, domanda che veniva tuttavia respinta dal Questore di Gorizia, con decreto 12.10.2004, n. AMM/SOC/A12/2004/IMM/90, in quanto non era “intervenuta alcuna decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’art. 33 del Decreto Legislativo n. 286 del 25.7.1998, e successive modifiche” e in quanto l’interessato non era stato inserito per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato.

2. Il menzionato decreto questorile ha costituito l’oggetto del gravame proposto in primo grado, poi respinto dal TAR del Veneto con la sentenza in epigrafe specificata – dopo avere rilevato la insussistenza in capo al sig. Alam Uddin dei requisiti richiesti dalla legge ed avere disatteso i motivi di violazione di legge (dell’art.32 d.lgs. n.286/1998, come modificato dalla legge n.189/2002) e di eccesso di potere sotto vari profili, dedotti dal ricorrente.

3. Avverso tale sentenza è proposto l’odierno appello, affidato dal sig. Uddin al seguente motivo di diritto: “Illogicità della sentenza impugnata – Motivazione erronea”; e ciò in quanto nella specie sarebbe evidente l’erroneità delle conclusioni a cui sono pervenuti i primi giudici che hanno ritenuto legittimo l’operato dell’Autorità di Polizia con riguardo alla mancata conversione del permesso di soggiorno già rilasciato all’interessato “per essere stato affidato al Comune di Gorizia anziché ad una famiglia o persona”, essendo ciò in contrasto con quanto previsto dall’art.32, comma 1, D.Lgs. n.286/1998, in relazione alla conversione del permesso di soggiorno dei minori nei cui confronti siano state applicate le disposizioni di cui all’art. 31, commi 1 e 2, o che siano stati comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4.5.1983, n.184.

Nel giudizio si è costituita l’Amministrazione dell’Interno col solo foglio di resistenza.

Con ordinanza in data 24 gennaio 2006 questa Sezione, ricorrendo gli estremi del danno grave ed irreparabile, ha sospeso l’efficacia della impugnata sentenza

Alla udienza del 21 aprile 2006 la Sezione ha ritenuto che ai fini del decidere fosse necessario acquisire agli atti del giudizio il provvedimento del Questore di Gorizia recante il diniego di conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso di soggiorno per lavoro dipendente (provvedimento impugnato) nonché il permesso di soggiorno per minore età rilasciato al sig. Uddin Alam dalla Questura di Gorizia in data 7.5.2003 e il decreto del Tribunale dei Minorenni di Gorizia in data 6.5.2003, n. 333/03 V.G. che ha disposto l’affidamento del predetto al Comune di Gorizia.

Tali incombenti istruttori sono stati successivamente adempiuti dall’Amministrazione intimata.

4. Alla pubblica udienza del 28 novembre 2006 il ricorso, infine, è stato spedito in decisione, su concorde richiesta delle parti.

DIRITTO

1. Come emerge dalla narrativa che precede, il ricorrente – titolare, quale minorenne, di un permesso di soggiorno, rilasciato il 7.5.2003 dalla Questura di Gorizia per motivi di “attesa affidamento”, con scadenza 10.5.2004 – chiedeva con apposita istanza in data 5.7.2004 la conversione del detto permesso per svolgere lavoro subordinato e il Questore di Gorizia, con provvedimento in data 12.10.2004, rigettava l’istanza stessa, in quanto nei confronti dell’interessato non era “intervenuta alcuna decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’art.33 del d.lgs. n286 del 27.5.1998 e successive modifiche”, né il medesimo “era stato inserito, per un periodo non inferiore a due anni, in progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e comunque rientrante nell’art.52 del D.P.R. n.394/99”.

Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, adito dall’istante per l’annullamento del menzionato provvedimento, ha respinto, con sentenza n. 2646/2005, il proposto ricorso, ritenendo conforme a legge il censurato decreto di diniego.

Di tale sentenza chiede ora la riforma il sig. Alam Uddin, sostenendone la erroneità alla stregua di un unico mezzo di gravame, nel quale deduce, sostanzialmente, che sarebbero erronee e illogiche le statuizioni dei primi giudici che lo hanno escluso dalla conversione del permesso di soggiorno richiesta per essere stato affidato “al Comune di Gorizia anziché ad una famiglia o persona”, essendo ciò in contrasto con quanto previsto dall’art. 32, comma 1, D.Lgs. n.286/1998, che dispone che si possa convertire il permesso di soggiorno in favore dei minori in favore dei quali si siano applicate le norme di cui all’art. 31, commi 1 e 2, o che siano stati comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4.5.1983, n.184.

Secondo l’appellante, infatti, l’avverbio “comunque”, riferito sia all’affidamento “a favore di una famiglia o di una persona singola, sia quello a favore di una comunità”, dovrebbe essere inteso “in senso ampio”, tale da comprendere, quindi, anche la sua posizione di minore affidato ad una struttura comunale.

2. Ritiene il Collegio che il rilievo come avanti formulato sia da condividersi.

Com’è noto, l’art.32 del D.Lgs. 25.7.1998, n.268 ha puntualmente disciplinato la posizione del minore straniero, regolarmente soggiornante nel territorio italiano, al compimento della maggiore età, prevedendo la possibilità che possa essergli rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, purché nei suoi confronti siano state applicate le disposizioni di cui all’art. 31, comma 1 e 2, ovvero si tratti di un minore comunque affidato ai sensi dell’art. 2 della legge 4.5.1983, n. 184, cioè di straniero soggiornante in Italia con la propria famiglia ovvero sia stato beneficiario in Italia di un provvedimento di affidamento o quantomeno di un affidamento provvisorio.

Soltanto dette condizioni, secondo il legislatore, comportano invero un inserimento effettivo in Italia tale da consentire il rilascio al cittadino straniero, al momento del raggiungimento della maggiore età, di un permesso di soggiorno per lavoro, mentre al di là di tali specifiche ipotesi non sussiste alcuna ragione per permetterne la permanenza nel territorio italiano.

Così delineata la normativa applicabile al caso in esame, deve ritenersi che il Questore di Gorizia, come dedotto dall’interessato, non ne abbia fatta corretta applicazione nel caso di specie, respingendo la richiesta del sig. Uddin, volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, atteso che nei suoi confronti sussistevano i presupposti specificamente previsti dall’art. 32 del D. Lgs. 25.7.1998, n. 286, potendo egli far valere una delle situazioni che, radicando la sua presenza sul territorio italiano, legittimavano la conversione del permesso di soggiorno, originariamente rilasciatogli per soli motivi di affidamento provvisorio, in soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

Infatti, il predetto era stato beneficiario in Italia di un provvedimento di affidamento provvisorio ad una struttura comunale, dove aveva frequentato vari corsi, anche se non effettuati per il periodo considerato dalla legge (art.25 L.n.189/2002, che ha integrato, con tre commi, l’art.32 del D.Lgs. n.286/1998).

Posto, dunque, che l’art. 25 della legge 30.7.2002 n.189 ha ampliato con i detti commi l’ambito dei destinatari, tra gli stranieri entrati clandestinamente in Italia come minori non accompagnati divenuti poi maggiorenni, della conversione del permesso di soggiorno originario, rilasciato provvisoriamente, in permesso per studio o lavoro – il Collegio deve disattendere la tesi espressa nella gravata decisione, secondo cui nella specie il ricorrente non aveva titolo alla conversione richiesta da permesso per “minore età” a quello per “accesso al lavoro”, perché non si trovava “né nella condizione di cui all’art. 32, I comma, non essendo stato affidato ad una persona ovvero ad una famiglia, né possedeva i requisiti stabiliti dai commi 1 bis e 1 ter” e, inoltre, perché l’affidamento del medesimo da parte del Tribunale dei Minorenni di Trieste a favore del Comune di Gorizia non andava considerato come “affidamento”, bensì come assegnazione e pertanto non sufficiente, come tale, per la conversione, atteso che l’art. 2 L n.184/1983, come successivamente modificato con L. n.149/2001, ha qualificato come affidamento soltanto quello a famiglie o persone singole e non quello a comunità.

Tale tesi contrasta, infatti, con quanto previsto da art.32 cit. – disposizione che, seppure lacunosa nel mancato riferimento ai minori soggetti a tutela, può essere, come osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.198 del 5 giugno 2003, se non interpretata estensivamente, comunque integrata in via analogica, sulla base della comparazione fra i presupposti e le caratteristiche del rapporto di tutela del minore e del rapporto di affidamento – che al comma 1 consente, come accennato, la conversione del permesso di soggiorno dei minori nei cui confronti siano state applicate le disposizioni di cui all’art. 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4.5.1983 n.184, avverbio questo, che (secondo quanto evidenziato anche dall’appellante) non può avere altro significato se non quello di intendere l’affidamento in senso ampio, sia con riguardo all’affidamento effettuato in favore di una famiglia o una persona singola, sia con riguardo a quello in favore di una comunità.

E ciò anche perché l’art. 2 della legge n.184/1983, profondamente modificato dalla legge 28.3.2001, n.149, stabilisce specificamente, al comma 1, che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo “è affidato ad una famiglia preferibilmente con figli minori o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno” e, al comma 2, che ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1 è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare, o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblica o privato che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui risiede il nucleo familiare di provenienza, disponendo sostanzialmente la novella del 2001, da un lato, che, in linea di principio, il minore temporaneamente privo di ambiente familiare sia affidato ad una famiglia, con le caratteristiche anzidette e che, solamente se ciò sia impossibile, l’affidamento avvenga nei confronti di una comunità di tipo familiare, in mancanza della quale non rimane altro che il ricovero del minore presso un istituto di assistenza pubblico o privato.

La norma richiamata prevede, dunque, una serie di soluzioni e non considera l’individuazione dell’affidamento soltanto a favore della singola persona o della famiglia, come rilevato giustamente dall’appellante nel contestare la statuizione resa sul punto dai primi giudici.

L’art. 32, comma 1, del testo unico n. 286 del 1998, d’altra parte – come ha già osservato questa Sezione con la decisione 12.4.2005, n 1681, dalla quale il Collegio non intende discostarsi – deve essere interpretato tenendo conto dei principi enunciati dalla sentenza n. 198 del 2003 della Corte Costituzionale e considerando che detta disposizione sul piano letterale, ha previsto che possa «essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie e di cura» ai soggetti stranieri che compiano la maggiore età e che siano in condizione di affidamento ai sensi dell’«art. 31 commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983 n. 184», intendendosi con ciò che il permesso deve essere rilasciato quando il minore sia stato sottoposto non solo ad un affidamento “amministrativo” o alla tutela ai sensi degli artt. 343 e seguenti del Codice civile, ma anche, come nella specie, ad un affidamento “giudiziario”, ai sensi dell’art.4, commi 1 e 2, della legge n.184/1983.

Conclusione questa che non è smentita dall’art. 32, comma 1 bis, del testo unico n. 286 del 1998 (come modificato dalla legge n. 189 del 2002), per il quale il permesso di soggiorno può essere rilasciato «ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un Ente pubblico o privato», avendo tale disposizione introdotto una ulteriore e distinta fattispecie in cui può essere rilasciato il permesso di soggiorno, senza incidere sui casi già ammessi dal precedente comma 1, riferendosi questo ultimo comma ai minori sottoposti ad affidamento o a tutela (all’evidente scopo di salvaguardare l’unità familiare), mentre il comma 1 bis si riferisce “ai minori stranieri non accompagnati”, che versano in una diversa situazione e per i quali il legislatore ha richiesto il requisito dell’ammissione al “progetto di integrazione sociale e civile”, requisiti questi (previsti dai due commi anzidetti) che debbono ritenersi alternativi e non cumulativi. (in tal senso, dec. n.1681/2005 cit.).

3. Appare fondato altresì l’ulteriore profilo di censura dedotto nell’appello ed incentrato nella considerazione che la sentenza impugnata è contraddetta dal verbale di affidamento temporaneo della Questura di Gorizia al Comune e dal decreto di affidamento del Tribunale dei Minorenni, secondo quanto documentato agli atti del giudizio.

Infatti, il Tribunale dei Minorenni ha disposto specificamente a carico del Comune di Gorizia l’affidamento del ricorrente ai sensi degli artt.2 e 4 L . n.184/1983 e 333 e segg. c.c., sicchè appare priva di rilevanza la motivazione del TAR Veneto basata sulla distinzione tra i vari tipo di affidamento, in quanto la posizione del minore straniero, regolarmente soggiornante in Italia è puntualmente regolata – come anche riconosciuto nella decisione n.3571 del 7.6.2004 della Sez. IV di questo Consiglio, richiamata dall’appellante – al compimento della maggiore età, dall’art.32 del D. Lgs. 25.7.1998, n. 286, il quale prevede la possibilità che a tale soggetto possa essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, sempreché nei suoi confronti siano state applicate le disposizioni di cui all’art.31, comma 1 e 2, ovvero si tratti di un minore comunque affidato ai sensi dell’art. 2 della legge 4.5.1983, n. 184, vale a dire quando lo straniero sia soggiornante in Italia con la propria famiglia ovvero sia stato beneficiario in Italia di un provvedimento di affidamento o quantomeno di un affidamento provvisorio.

Come statuito nella appena citata decisione, dunque, lo straniero minorenne destinatario di un permesso di affidamento provvisorio può chiedere ed ottenere, al raggiungimento della maggiore età, la conversione in permesso di lavoro anche se vi sia stato un semplice verbale di affidamento provvisorio; e a maggior ragione ciò è possibile nell’ipotesi in cui, come nella specie, l’interessato abbia ottenuto anche uno specifico decreto di affidamento da parte del Tribunale di Minorenni.

4. Osserva, infine, il Collegio che la sentenza impugnata non si è fatta carico di valutare la mancata adeguata considerazione da parte dell’Autorità di Polizia, all’atto dell’emanazione del decreto di diniego impugnato in prime cure, di quanto comunicato dal Comune di Gorizia, con la nota 19.4.2004 n.02.03/47 diretta alla locale Questura: che cioè il sig. Uddin era affidato a detto ente locale col verbale surriferito in data 28.3.2003 e con il decreto 6.5.2003 n.333/03 del Tribunale per i Minorenni di Trieste ed era stato quindi ospitato nel Centro di Accoglienza “la Sorgente” e che egli aveva sempre rispettato le norme di civile convivenza, frequentando taluni corsi e manifestando la chiara volontà di rimanere in Italia per lavorare.

In presenza di detta nota, infatti, sarebbe stato necessario, quantomeno, un approfondimento istruttorio da parte dell’Autorità procedente, prima di affermare che nella specie non si era verificato l’inserimento del ricorrente in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato, come richiesto appunto dall’art.33 D. Lgs. n.286/1998 e successive modifiche, anche perché non emergevano specificamente dal detto documento le modalità e la natura dei corsi intrapresi dall’interessato nel periodo dell’affidamento al Comune suddetto.

5. Attesa la fondatezza dei rilievi sopra precisati, il ricorso in appello all’esame va, in conclusione, accolto, con conseguente annullamento della sentenza di primo grado e del decreto questorile con la stessa impugnato, salvi restando gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Quanto alle spese del giudizio sussistono giusti motivi per disporne, tra le parti in causa, la integrale compensazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2006 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Luciano BARRA CARACCIOLO Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere.
Domenico CAFINI consigliere est
Aldo SCOLA Consigliere

Presidente
f.to Claudio Marrone
Consigliere f.to
Domenico Cafini
Segretario
f.to Annamaria Ricci