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Lavoro di cura e donne immigrate

Dati e testimonianze in un nuovo volume di Cesvot

Esce il volume Nello sguardo dell’altra. Raccontarsi il lavoro di cura (collana “Briciole”, n. 10, 2007, 112 pp.), nato dal progetto “Donne Globali”, finanziato da Cesvot e promosso dall’associazione Donne Insieme di Arezzo in collaborazione con Ucodep.
Curato da Lorenzo Luatti, Serena Bracciali, Roberta Renzetti, il libro offre una panoramica puntuale e una vivida testimonianza di quello che è oggi il lavoro di cura in Italia e in Toscana attraverso otto saggi e quattordici storie di donne immigrate e italiane che si sono raccontate in un laboratorio di narrazione e scrittura di sé condotto dalla scrittrice Maria Rosa Cutrufelli.

In Italia sono quasi 2 milioni le immigrate impiegate nel lavoro di cura, di cui appena 745mila iscritte all’Inps. In Toscana le colf e badanti straniere regolarmente assunte sono oltre 23mila ma a queste vanno aggiunte le migliaia che lavorano in nero. La gran parte ha un titolo di studio e competenze professionali medio-alte. Hanno mediamente 40 anni e provengono soprattutto dell’est europeo e da Filippine, Perù, Ecuador. La grande maggioranza è di religione cristiana. Metà sono sposate ma solo una minoranza si fa raggiungere da marito e figli. Il loro stipendio si aggira intorno ai 700 euro mensili.

Dietro questo ‘identikit’, tante storie di donne che, come emerge dai racconti pubblicati nel volume, per strade diverse raggiungono il nostro paese e lasciano la propria famiglia alle cure di altre donne.
Grazie al laboratorio di narrazione donne italiane e straniere “hanno potuto conoscersi e riconoscere quel ‘terreno di esperienza comune’ che è il lavoro di cura. Un terreno che – avverte Maria Rosa Cutrufelli – non è del tutto pacifico e privo di conflitti”.

La cura è per le immigrate un lavoro che si compie lontano dal proprio paese, ‘fuori’ dalla propria casa, non una scelta ma una necessità. Per le italiane è, invece, un’attività ‘extra’ che non si può e non si vuole più svolgere, un lavoro che si preferisce pagare e affidare ad altre non senza diffidenze e sensi di colpa. “Per tutte però – sottolinea Cutrufelli – l’attività di cura è cambiata, non è più quella che svolgevano le proprie mamme e nonne. Nessuna, né l’immigrata né l’italiana, è più solo donna di casa”.

Nel libro, oltre l’analisi di un fenomeno crescente, il tentativo di contestualizzare e capire il lavoro di cura soffermandosi sui progetti migratori delle donne, sui loro racconti e rappresentazioni letterarie, sul nostro bisogno di cura e di assistenza, sui sistemi di welfare. Non solo dati dunque, ma anche uno spaccato inedito, un modo ‘altro’ di guardare al lavoro di cura, di raccontare le donne che lo svolgono e lo affidano, le loro storie, i loro silenzi.