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da Il Piccolo di Trieste del 29 settembre 2007

Il sindaco: Cpt, collaboreremo con gli immigrati

I parlamentari della Sinistra Turigliatto, Venier e Siniscalchi in visita al Centro per clandestini: «Queste strutture non servono a nulla»

Tommasini annuncia che è allo studio della giunta un progetto di integrazione per chi resta a Gradisca.

Gradisca. In vista dell’imminente apertura del centro d’identificazione per richiedenti asilo a Gradisca, il sindaco Franco Tommasini si sta muovendo per dare agli immigrati una possibilità d’integrazione nel tessuto sociale della Fortezza.
Appurato che non può combattere contro i mulini a vento, il primo cittadino ha deciso di allearsi. La notizia del progetto rivolto all’integrazione degli extracomunitari è stata data proprio all’interno del Cpta di via Udine. Tommasini lo ha fatto in occasione della visita del senatore di Sinistra critica Franco Turigliatto e dei parlamentari Sabina Siniscalchi (Rifondazione comunista) e Jacopo Venier (Pdci). Ad accompagnarli il direttore della struttura Paolo Zotti e il capo ufficio di gabinetto della Prefettura Pietro Giulio Scarabino.
Al momento la proposta è ancora allo stato embrionale, ma la giunta comunale sembra ben intenzionata a seguire questa nuova strada. «Quando sono state pensate agli inizi degli anni Novanta, forse queste strutture avevano un senso – ha detto Tommasini a Turigliatto -. Oggi però sono fuori luogo. Con chi potrà uscire cercheremo quindi di collaborare». Il tema ha trovato il favore di Turigliatto che ha quindi sollecitato una pronta formazione: «Sarebbe auspicabile organizzare dei corsi in modo che queste persone possano distrarsi e sfruttare il tempo qui dentro in modo proficuo e costruttivo», ha auspicato il senatore.
Al momento, nel Cpta di Gradisca sono presenti 161 extracomunitari, 110 dei quali sono ospiti nelle due ali del Centro di prima accoglienza (Cpa) e 51 sono trattenuti nella zona di permanenza temporanea (Cpt). Dal 25 luglio sono transitati a Gradisca 911 immigrati, 463 in regime di sorveglianza e 448 in regime di trattenimento. La comunità più numerosa è quella dei ghanesi (38 persone) seguita da etiopi (24), eritrei e sudanesi (21). Dieci invece i marocchini.
I disordini creati dai 50 egiziani che nell’ultimo mese si sono resi protagonisti di fughe e sommosse, hanno provocato ingenti danni alla struttura. L’esatto ammontare dei danni non è stato ancora definito, ma guardando intorno è facile capire che supera le decine di migliaia di euro. In fondo al cortile dell’area Cpt uno dei vetri antisfondamento incrinato dagli extracomunitari è stato sostituito con sbarre d’acciaio. Al posto della vetrata abbattuta a colpi di «calcio balilla» alla fine di agosto si trova invece uno spesso pannello in legno. La stanzetta dove si trovavano i distributori automatici di bevande e di merende è invece chiusa. Per quanto riguarda infine i pannelli del controsoffitto della mensa, questi sono stati sostituiti.
«La nostra visita – ha commentato Venier, che è anche segretario della Commissione Esteri della Camera – conferma drammaticamente il fatto che i Cpt non sono una soluzione, ma un problema. Si tratta di un problema sia per chi vi è trattenuto, sia per chi vi ci lavora, sia per chi ci vive vicino. I costi per la costruzione di queste prigioni sono elevati e possiamo solo dire che la legge Bossi-Fini è miseramente fallita. Queste strutture non servono a nulla e non portano neppure sicurezza».
Anche l’onorevole Sabina Siniscalchi, alla sua seconda visita nell’ex caserma Polonio, ha affrontato il nodo della legge sull’immigrazione: «Bisogna al più presto superare la Bossi-Fini che è la fonte di tutti i problemi – ha auspicato la rappresentante di Rifondazione -. Dobbiamo muoverci per alleviare il prima possibile il dramma di queste persone. Ogni volta che entro in questi luoghi mi assale una grande angoscia. Non può essere questa la risposta a quanti chiedono solamente di poter lavorare nel nostro Paese».
Stefano Bizzi


La testimonianza di Araib: «In Italia da 8 anni, ho perso il lavoro e il permesso di soggiorno»

Oggi pomeriggio alle 15 è prevista in via Udine una sfilata pacifica per «comunicare» agli extracomunitari trattenuti al di là del muro di cinta del Cpta che «ci sono persone pronte a conoscerle».
Ciascuna delle 161 persone ospitate nell’ex caserma Polonio (148 uomini, 12 donne e una bambina), ha una storia drammatica da raccontare. La maggior parte dei clandestini è di religione musulmana e giovedì il Ramadam è giunto al giro di boa. «Da questo punto di vista non ci sono problemi – assicura un maghrebino -, però non capisco per quale ragione io debba stare qui dentro».
Araib parla la nostra lingua in modo più che soddisfacente. Si trova in Italia da 8 anni. Ha due diplomi (uno in da saldatore e uno da tecnico di macchina). Per molto tempo ha lavorato in modo regolare, poi, ha perso il lavoro e il suo permesso di soggiorno non è stato rinnovato. Qui è cominciata la sua spirale negativa. «Anche se la mia fedina penale ha una macchia, io sono pulito – dice -: mi hanno pizzicato in macchina con due amici che avevano della droga, ma io non c’entravo. Ho due zii che stanno cercando di aiutarmi, ma intanto devo rimanere qui».
Storie come la sua ce ne sono a decine. Basta scavare. C’è anche chi al Cpta di Gradisca non è la prima volta che arriva: «Sono stato qui già a primavera», sbraita Chaguru cercando l’attenzione dei visitatori. In piedi sulle strutture di cemento che una volta facevano da base per dei recinti interni sventola dei documenti.
Nella sezione di prima accoglienza la più cercata è la piccola Betania, la bambina di nove mesi che, negli scontri di domenica sera, dopo il lancio di lacrimogeni, è stata accompagnata in via precauzionale all’ospedale di Gorizia per degli acertamenti. Con in testa un cappellino di lana blu e la tutina azzurra appare un po’ frastornata, ma non rifiuta sorrisi a nessuno.
Al termine della visita, sentite le esperienze dei tanti ospiti, l’onorevole Jacopo Venier non ha dubbi: «La metà delle pesone che provano a venire da noi muore nel deserto o in mare. Vengono per disperazione. È necessario trovare una soluzione, ma anche smettere di alimentare la commistione tra immigrazione e criminalità».
s.b.