Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da il manifesto del 6 novembre 2007

Sulle espulsioni la Ue frena l’Italia

Bruxelles detta la linea al governo Prodi: solo respingimenti individuali e motivati. Ma Frattini strizza l’occhio alla tolleranza zero del governo italiano
Alberto D’Argenzio
Bruxelles

Espulsioni sì, ma solo individuali e motivate, no a provvedimenti collettivi. Questa è la linea rossa dettata ieri dalla Commissione europea al governo italiano in vista dell’approvazione del decreto sicurezza. Bruxelles, come sua abitudine, si guarda bene dal dare un giudizio ufficiale sul decreto e si rifugia dietro al calendario: «Fino a che non ci verrà notificato, non possiamo esprimerci», ripete un portavoce della Commissione. Ma passando dal formale all’informale, si scopre che il gabinetto Frattini «non è choccato» dal testo presentato dal governo, in pratica (per come stavano le cose ieri sera) potrebbe considerarlo conforme alle norme europee, e più in concreto alla direttiva 38 del 2004 che regola la libertà di movimento e stabilimento dei cittadini comunitari nella Ue. «E comunque – chiarisce un portavoce comunitario – qualora il decreto non fosse in linea o ci fossero degli abusi, verrebbe sicuramente lanciata una procedura di infrazione contro l’Italia».
La direttiva 2004/38 prevede la possibilità per qualsiasi cittadino comunitario di stabilirsi in un altro paese della Ue per un massimo di 90 giorni, senza dover completare alcuna pratica burocratica o permesso, basta essere armati di una carta d’identità. Oltre i tre mesi, bisogna provare di avere un lavoro o un reddito sufficiente per mantenersi o di essere studente. Qualora vengano meno queste condizioni, uno straniero può essere invitato a lasciare il paese, salvo poter tranquillamente farvi ritorno dopo aver passato un periodo di 30 giorni in patria. L’allontanamento è un particolare aggiunto alla direttiva proprio in vista dell’ingresso di Romania e Bulgaria nella Ue, ma vale per tutti i cittadini comunitari, non solo per rumeni e bulgari. In pratica non ci possono essere discriminazioni, almeno formalmente.
Prima dei novanta giorni, si può procedere alle espulsioni ma solo «se esiste una situazione di minaccia specifica alla sicurezza o alla salute pubblica», precisa Johannes Laitenberger, portavoce di Barroso. «Ma deve essere – ha aggiunto – per una situazione circostanziata e individuale». Proprio «individuale» è la parola che enfatizzano di più i funzionari della Commissione. Uno Stato membro può limitare il diritto a muoversi e stabilirsi nella Ue con decisioni, precisa il portavoce di Frattini Friso Roscam-Abbing, «fondate esclusivamente sul comportamento personale dell’individuo interessato». Nella legislazione comunitaria non viene quindi lasciato alcuno spazio ad espulsioni collettive, basate su un sentimento di timore o insicurezza legato a particolari categorie di stranieri. Con buona pace di Fini.
La persona espulsa, precisa ancora Roscam-Abbing, deve rappresentare «una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società». Il problema sta quindi nel calibrare cosa si intende per «minaccia alla sicurezza o alla salute pubblica» e per «interesse della società». Per il portavoce di Frattini, per esempio, il fatto di «essere pregiudicati o in possesso di permessi di soggiorno scaduti non rappresentano motivo sufficiente per un’espulsione immediata». Una precisazione utile, soprattutto al lavoro dei prefetti, che saranno poi quelli chiamati a gestire le espulsioni.
Infine il capitolo dei ricorsi. Ogni cittadino comunitario espulso da un paese Ue deve poter presentare ricorso e, in questo caso, rimanere per altri 30 giorni nel territorio dello Stato da cui viene allontanato. Il ricorso non ha effetti sospensivi solo nel caso in cui l’espulsione venga sia motivata da «ragioni imperative di sicurezza pubblica».
La posizione di Bruxelles è chiara: nessuna discriminazione nei confronti dei cittadini rumeni in Italia. Quindi spazio solo a provvedimenti ad personam. Al tempo stesso la Commissione, grande sponsor dei passati allargamenti, vuole evitare che monti la critica verso l’apertura della Ue all’est Europa e ancora più in particolare ai Balcani orientali. «Qui – afferma il portavoce di Barroso – si sta discutendo del comportamento criminale di individui specifici e questo non è causato dall’allargamento o dal libero movimento dei cittadini». Emerge ancora la volontà di abortire qualsiasi visione collettiva, qualsiasi deriva che colpisca nel mucchio. In gioco ci sono gli interessi dell’Italia, ma anche quelli della Romania, altro Stato membro. E, c’è da sperarci, anche la volontà di difendere i diritti dei romeni che sono in Italia.