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Report sulla giornata del 1 Dicembre 2007

Migliaia di migranti mobilitati per dire no al Protocollo con le Poste

Sabato 1 Dicembre migliaia di migranti si sono mobilitati in moltissime città italiane per dire no al Protocollo sottoscritto tra Ministero dell’Interno e Poste Italiane per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno.

In ogni città, tutte le mobilitazioni hanno sottolineato diversi obiettivi irrinunciabili per i diritti dei migranti e la convivenza civile di tutte le persone, con fermezza e decisione: la contrarietà alla legge Bossi-Fini e la chiusura di tutti i centri di permanenza temporanea, la rottura del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, e il rifiuto del pacchetto sicurezza e delle ordinanze razziste di vari sindaci.
A Bologna la mobilitazione ha avuto un significato particolare perché il giorno seguente sarebbero state elette le consulte di quartiere. A Verona le politiche del sindaco Tosi (Lega Nord) costringono i migranti a vivere in un clima razzista e discriminatorio. A Reggio Emilia, come altrove, i migranti hanno chiesto una sanatoria subito oltre a denunciare le condizioni di sfruttamento e lavoro nero a cui moltissimi son costretti, e poi a Padova, Torino, Brescia, Gradisca D’Isonzo, La Spezia, Milano radunati davanti a Piazza Cordusio, e anche a Parigi i collettivi dei sans-papier e Rom son scesi in piazza per diverse ragioni ma assolutamente vicine e connesse al contesto italiano.

L’importanza di una giornata come questa, originatasi dall’urgenza di una regolarizzazione in un contesto burocratico astruso e malato, mette in luce una procedura che serve a produrre illegalità e clandestinità, e di questo i migranti ne sono ben coscienti perché lo vivono tutti i giorni sulla loro pelle.
E’ infatti sulle modalità di ingresso in Italia e sulle condizioni di soggiorno vigenti, che si innesta la marginalità e lo sfruttamento dei migranti nel contesto lavorativo. E la loro presenza sabato ci è bastata per farci capire che il loro lavoro, i servizi e le attività che offrono sono molto rilevanti per l’intera economia italiana. Pensiamo all’impiego nel lavoro domestico o nella cura che offre convenienze alle famiglie italiane interessate, ai servizi pubblici, oltre che alle famiglie nel paese di provenienza. Anche altri settori dell’economia italiana sono stati rivitalizzati dall’apporto di manodopera straniera, come quello edilizio, l’agricolo (che dipende quasi interamente dalla manodopera dei migranti) o della logistica-trasporti che solo in Veneto supera i 50.000 addetti e la stragrande maggioranza sono immigrati.
Ma vi è una forte interconnessione tra il lavoro dei migranti e quello degli italiani: sono i migranti a collocarsi spesso in attività precarie, che richiedono una bassa qualifica e che gli autoctoni rifiutano permettendosi possibilità di scelta e migliori qualità di vita. E sono i migranti i primi a sperimentare la precarietà, con il continuo rischio di scadenza e rinnovo del permesso di soggiorno, sono loro i primi a sperimentare una sorta di “cittadinanza a termine” che permea l’intera esistenza e che sempre più si sta diffondendo come condizione anche tra gli italiani.
Come soggetti esposti alla spoliazione dei diritti, i migranti ci dimostrano che la loro condizione oggi tende a coinvolgere sempre più le condizioni del lavoro contemporaneo.
Un mercato del lavoro dove tutti i giorni premono centinaia e migliaia di persone provenienti da Cina, India, Bangladesh, Africa, e altri paesi in cui i diritti, o meglio il rapporto tra diritti e stipendi è molto basso. Forse, anche in Italia, qualcuno preferirebbe che le condizioni di lavoro e le retribuzioni rimanessero basse!
E dunque, in questa posizione di “svantaggio” alla quale i migranti si trovano a competere all’interno del mercato del lavoro, è più che mai rilevante e giusto agire per rifiutare la procedura in corso, gli ostacoli e tutti i disagi subiti quotidianamente.

Leggi il comunicato dell’Adl Cobas, Associazione Razzismo Stop di padova