Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Lavoro e auto-organizzazione migrante, spazi striati e gerarchizzazione dello sfruttamento

Speciale Melting Pot sul seminario di Padova - 9 marzo 2008

Come si inserisce all’interno di un ragionamento sulle migrazioni contemporanee la questione del lavoro migrante?
Come un terreno di inchiesta assolutamente privilegiato, oltre che come uno spazio di lotte e “sconfinamenti” potenzialmente inesauribile e illimitato.

Questo il punto di partenza da cui ha preso le mosse la giornata dello scorso 9 marzo a Padova, momento di scambio di esperienze dirette e di analisi, occasione di incontro tra realtà diverse e geograficamente distanti ma naturalmente connesse tra loro come attori di una soggettività in divenire.

In questo momento del “non più” ma del “non ancora”, per citare le parole con cui Nicola Grigion del Progetto Melting Pot, moderatore dell’incontro, ha aperto il pomeriggio di discussione, il problema dell’inchiesta si pone in maniera urgente e richiede la capacità di analizzare la realtà presente per dare contesto e direzione a lotte che devono mantenere autonomia ma che si possono certamente leggere attraverso le lenti di un “noi” da condividere.
http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 Nicola Grigion – Progetto Melting Pot Europa

E di questa necessità di articolazione di un “comune” che non rappresenti e non sia prodotto in alcun modo da una “forzatura all’unità”, ha parlato Sandro Chignola, Docente dell’Università di Padova, a conclusione del suo intervento.
Nelle sue parole, inoltre, la necessità imminente di oltrepassare lo schematismo di quelle concezioni volte a definire un’inclusione o un’ esclusione netta dei soggetti solo dal punto di vista lineare dell’accesso ad una cittadinanza che sarebbe fonte di tutti i diritti e che si possiede o non si possiede in maniera inequivocabile.
Il rischio, dice Chignola, se si restasse fermi a questo livello di analisi, sarebbe quello di considerare i migranti per come ce li raccontano i testi di legge che ne definiscono lo statuto giuridico: soggetti deprivati, la cui definizione si ottiene esclusivamente in negativo, sottraendo loro i diritti e le potenzialità che sarebbero propri invece dei cittadini nazionali.
Guardare invece alla cittadinanza stessa come ad un terreno di lotta, come ad un meccanismo costantemente sfidato, offre chiavi di lettura molto più produttive e rispondenti alla realtà, che è sempre una realtà in movimento.

Si muovono i migranti, esercitando il loro diritto alla mobilità; si muovono i dispositivi di controllo e gli stessi confini che quella mobilità devono imbrigliare e che per farlo diventano meccanismi di filtro costantemente riproducibili.

L’obiettivo del sistema economico, appunto, con buona pace di chi, da entrambi gli schieramenti politico-istituzionali, alimenta le retoriche di “chiusura delle frontiere” e “zero immigrazione irregolare”, non è quello di arrestare le mobilità, ma di governarla in modo tale da consentire una gerarchizzazione dello sfruttamento realizzabile soltanto attraverso la gerarchizzazione degli spazi geografici e lavorativi.

Questo sistema economico, però deve fare costantemente i conti con le soggettività migranti, con le loro capacità di rinegoziare i confini su tutti i livelli, con la loro esperienza che li rende in grado di seguire anche i processi di “delocalizzazione improvvisa” dei posti di lavoro o delle frontiere e di costringere i dispositivi di controllo e i sistemi di filtro a modificarsi ancora.
Alla luce di tutto questo, gli sportelli disseminati sui territori, gli spazi di incontro tra le rivendicazioni migranti e le capacità organizzative esistenti, come nel caso della lotta portata avanti dall’ Adl sulla Tnt a Padova, diventano, per utilizzare ancora le parole di Chignola, “istituzioni della moltitudine”, punto di partenza reale per la costruzione del “comune” e del “noi” di cui andiamo in cerca.
http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 Sandro Chignola – Università di Padova

Proprio la prospettiva del lavoro migrante, ha spiegato poi Sandro Mezzadra Docente dell’Università di Bologna, piuttosto che quelle abusate dei diritti umani o delle retoriche sicuritarie, risulta indispensabile per portare avanti inchieste che devono riuscire a “‘cartografare” uno spazio in movimento, tenendo presenti le contraddizioni di un capitalismo che si trova ad aver bisogno di mettere a valore le pratiche di mobilità e al contempo e proprio per questo a doverle governare e disciplinare.
Lo scenario è quello di uno spazio e di un tempo sempre più eterogenei , segnati da pratiche e spinte che sul terreno della mobilità si riproducono incessantemente eccedendo.
L’immagine della “fortezza Europa” appare per tanto oltrepassata non solo sul piano della realtà ma anche su quello delle retoriche, mentre leggi come la Bossi-Fini smettono di indicare la tendenza europea e si preparano ad essere sostituite da regolamenti meno rigidi (e più “efficaci”) capaci di adeguarsi alle esigenze di flessibilizzazione che caratterizzano il mercato del lavoro contemporaneo.
Ci troviamo quindi di fronte a tentativi che Mezzadra ha definito di “management” delle migrazioni; tentativi di gestione della mobilità all’interno dei quali anche il ruolo dei dispositivi di controllo per eccellenza, i centri di detenzione per migranti, sta trovando una nuova ridefinizione.

Eterogeneità dello spazio e del tempo del capitale, quindi, e di conseguenza eterogeneità della forza lavoro che tale capitale richiede.
Eppure, di contro, è proprio questa eterogeneità, alla fin fine, la variabile difficile da controllare per il mercato, se si riesce dall’altra parte a tradurla invece in un elemento di ricchezza.
http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 Sandro Mezzadra – Università di Bologna

E sono certamente storie di fuga dalle dinamiche del controllo quelle raccontate da chi ha portato avanti, dalla Francia a Padova, da Brescia a Reggio Emilia, alcune lotte fondamentali proprio all’interno dello spazio striato del lavoro migrante.

La prima è quella ricostruita dalle parole di Gianni Boetto dell’Associazione Difesa Lavoratori e riguarda la sopraccitata vertenza che ha visto protagonisti i lavoratori migranti della Tnt che rivendicavano diritti elementari per un lavoro che prevede turni anche di 14 ore al freddo, svolto spesso ai limiti della bestialità.
È il racconto di una battaglia che ha riportato importantissime vittorie nonostante i tentativi di boicottaggio da parte delle cooperative coinvolte, arrivate persino a licenziare in blocco coloro che hanno dato vita agli scioperi e alle manifestazioni, salvo poi essersi ritrovate costrette a riassumerli a seguito della loro ulteriore resistenza e delle loro iniziative di protesta.
Un esempio questo di come quando la soggettività migrante si auto-organizza con il supporto di strutture realmente autonome obbliga il sistema economico a modificare se stesso e riesce a rinegoziare la qualità dei propri diritti riposizionando i confini nei quali si cerca di imbrigliarla.
http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 Gianni Boetto – Associazione Difesa Lavoratori

Contro il legame, ormai generalizzato ovunque in Europa, tra lavoro e possibilità di restare, ovvero tra il possesso di un contratto e quello di un permesso di soggiorno, si sono sviluppate invece le lotte del nono collettivo dei sans-papier di Parigi, attraverso l’occupazione di luoghi-simbolo, come quello della Bourse du travail, cui hanno partecipato fino a 600 migranti.
Lotte difficili da organizzare e da rendere durature, non sempre immediatamente vincenti, ma anche lotte capaci, ad esempio, di modificare nell’opinione pubblica dei territori sulle quali vengono condotte la percezione di chi sia un sans papier e di quanto questa definizione nasconda il più delle volte la realtà concreta di un lavoratore o di una lavoratrice che semplicemente si trovano ad un livello diverso nella gerarchizzazione dello sfruttamento.
http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 9ème collectif des sans-papiers – Parigi

E nello stesso panorama si inseriscono anche le azioni dell’ Associazione Città Migrante di Reggio Emilia, raccontate a Padova da Abdul e Olesia; azioni che hanno messo a nudo la realtà lavorativa di interi settori dell’economia di quel territorio basati in maniera strutturale sullo sfruttamento del lavoro migrante ancora una volta inteso come bacino cui attingere per rispondere alle necessità di una sempre maggiore flessibilizzazione richiesta dal mercato e dall’economia.
Un momento importante per continuare questo percorso di disvelamento e di auto-organizzazione sarà, proprio a Reggio Emilia, la giornata del I maggio in cui è prevista una manifestazione che riempirà di senso una ricorrenza che dovrebbe anch’essa venire ripensata alla luce delle nuove forme che hanno assunto l’organizzazione del lavoro e lo sfruttamento.
http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 Città Migrante – Reggio Emilia

A conclusione del pomeriggio di discussione, le parole di Felice Mometti, del Coordinamento immigrati di Brescia, che hanno contribuito ad elucidare ancora, attraverso la narrazione delle pratiche e delle azioni di auto-organizzazione migrante che hanno avuto luogo in quella città, fino a che punto, soprattutto all’interno del sistema delle cooperative, “la concorrenza tra le singole figure professionali all’interno dello stesso luogo di lavoro’” (lavoratori a progetti, soci lavoratori, lavoratori interinali ecc.) contribuisca ad un “cambiamento della composizione di classe del lavoro migrante contemporaneo”, ma anche ad una proiezione e riproduzione dei confini che si concretizza proprio in quella gerarchizzazione dello sfruttamento e in quell’eterogeneità dello spazio e del tempo del capitale la cui definizione ha aperto questo momento di riflessione e di intreccio tra pratiche e pensiero.
Se cambia la struttura soggettiva del lavoro migrante, ha spiegato ancora Mometti, cambiano anche i tempi del conflitto, cambia il tempo del “contro-tempo” che deve caratterizzare una nuova modalità di azione.

http:///app/uploads/2008/03/grigion.mp3 Felice Mometti – Coordinamento immigrati di Brescia

Per superare la visione lineare di una cittadinanza che è possibile attribuire o negare e porsi dalla prospettiva della continua tensione e del diritto di fuga; per ragionare sulla continua possibilità di “sconfinamento” oltre che sulla capacità dei confini di de localizzarsi e di moltiplicarsi; per assumere il ragionamento e l’analisi come fondamento delle pratiche di resistenza, di lotta, di innovazione e di riconquista costante dello spazio e del tempo, giornate come quella che si è tenuta domenica a Padova possono davvero risultare un laboratorio formidabile. Inoltre, simili momenti di condivisione e di scambio, contribuiscono a lasciare intravedere la possibilità immanente di quel “comune”, la cui costruzione in atto e in evoluzione appare forse uno dei più importanti terreni di sfida per chi oggi ragiona sulle migrazioni o pratica il diritto di fuga o, magari, tenta di fare entrambe le cose insieme.