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Dalla direttiva Ue sui Cpt alla manifestazione di Verona. Quante facce ha la realtà dei migranti?

Intervista con Sergio Bontempelli, creatore di un nuovo blog sui temi dell'immigrazione

D. Il tuo blog dedica una particolare attenzione alla città di Pisa, in cui tu abiti, ma ha un respiro sicuramente nazionale. Quel è l’idea di fondo che ti ha portato a concepire questo blog e in quale modo lo hai strutturato?

R. Il blog nasce dalla piccola idea di cercare di fare sui temi dell’immigrazione una sorta di giornalismo autogestito cercando di spiegare a persone che non sono tecnicamente dentro il mondo dell’immigrazione i dati, le realtà, la vita di questo fenomeno.
Nonostante ci siano ovviamente altre esperienze che fanno questo lavoro credo che di queste cose ci sia ancora bisogno e ho pensato di farlo con gli strumenti artigianali che consente oggi la rete.
Sul blog si trovano post che riguardano sia temi nazionali che temi riguardanti la mia città, Pisa, con l’idea di fare una sorta di approfondimento su questi temi.
In particolare, siccome negli ultimi tempi è venuta fuori questa assurdità della sicurezza, ho cercato di restituire nella forma più semplice e comunicativa possibile i dati che dicono che non esiste nessuna emergenza sicurezza in Italia e che evidentemente si tratta di uno strumento politico per criminalizzare i migranti

I Cpt

D. In evidenza sul tuo blog c’è un ampio dossier sui Cpt che include la storia di questo tipo di detenzione amministrativa in Italia ma anche delle riflessioni sull’essenza di questa istituzione, sul modo in cui (non) funziona, e poi una storia delle denunce e dei movimenti che i Cpt li hanno sempre contestati.
In quale fase ci troviamo oggi in Italia rispetto all’esistenza dei centri di permanenza temporanea, alla loro percezione e ai movimenti di lotta per la loro chiusura?

R. Penso che siamo in una fase di stallo e abbastanza paradossale.
In tutti questi anni si sono accumulate due conoscenze fondamentali sui Cpt : la prima è che grazie all’opera di movimenti, associazioni, organizzazioni non governative, ma persino di agenzie ufficiali governative o intergovernative, ormai si sa che i Cpt sono luoghi di negazione sistematica del diritto.
Questo ormai è noto e lo dicono tutti, persino la Corte dei Conti. Non c’è bisogno di essere particolarmente sovversivi per saperlo.

L’altra, ed è questo il dato più incredibile, riguarda il fatto che ormai si sa in maniera certa, con dati certi, che i Cpt non servono allo scopo dichiarato perché non allontanano i migranti. I dati ci dicono che più della metà delle persone detenute nei Cpt alla fine sono liberate in Italia. Quindi è diventato abbastanza evidente che si tratta di uno strumento di umiliazione dell’immigrazione irregolare. Qualcuno diceva che i Cpt ‘servono da torri di guardia simboliche’ per far vedere che il nostro paese mantiene una fortezza che lo divide dalle migrazioni.
Bene, nonostante queste conoscenze accumulate, sempre meno si parla in Italia della chiusura dei Cpt che sarebbe un obiettivo che invece, per così dire, starebbe nelle cose. Anche l’esperienza dell’ultimo governo purtroppo non ha portato cambiamenti significativi su questo piano e purtroppo siamo di nuovo al punto in cui eravamo qualche anno fa.

D. Con la differenza che forse le operazioni di ‘umanizzazione’ portate avanti dall’ultimo governo hanno anche dato una maggiore legittimazione a questi luoghi presenti sui nostri territori…

R. Si anche se poi questa ‘umanizzazione’, da quello che si vede, è stata più enunciata che praticata davvero perché alla fine le tante cose che sono state dette o fatte, anche la commissione De Mistura, alla fine dal punto di vista concreto non hanno portato a niente. Non c’è stata una vera operazione nemmeno di riforma, ma solo un’enunciazione di principi, alcuni giusti, altri sbagliati, ma i Cpt sono sempre lì e funzionano sempre allo stesso modo.

La direttiva europea

D. A breve sarà votata in maniera definitiva la nuova direttiva europea sui rimpatri che legittimando la detenzione amministrativa e assumendola come un dato scontato, innalza il periodo di detenzione possibile da applicare in Europa fino a 18 mesi adducendo a pretesto il pericolo di fuga oppure i problemi di ordine pubblico. Eppure, lo abbiamo detto anche con te, i dati oggettivi dimostrano che i Cpt, oltre che luoghi di sofferenza e a volte di morte – com’è capitato il I maggio in Belgio dove un ragazzo del Cameroon si è suicidato pur di non subire un secondo tentativo di espulsione …

R. … e come purtroppo, scusa se ti interrompo, è capitato tante volte anche in Italia …

D. … si certo, come continua a capitare purtroppo dovunque… oltre ad essere quindi luoghi terrificanti in questo senso stiamo dicendo che i Cpt sono anche istituzioni che per di più risultano inefficaci rispetto agli scopi dichiarati. Come interpretare allora questa decisione dell’Unione europea?

R. Lo accennavo prima: quel che è venuto fuori molto chiaramente negli ultimi anni è che i Cpt hanno uno scopo dichiarato, che è quello di allontanare i migranti, che non funziona ormai si sa, però hanno anche uno scopo non dichiarato che è quello di stigmatizzare la presenza dei migranti irregolari, di marchiarla a fuoco, e da questo punto di vista in un certo senso i Cpt funzionano.
Io voglio sperare che i movimenti ce la facciano a bloccare questa direttiva perché sarebbe tragica. In Italia già con due mesi massimi di detenzione i risultati in termini di devastazione dei diritti umani ma anche, come dicevi tu, in termini di suicidi, di atti di autolesionismo, sono stati devastanti… la vita nei Cpt, chi ha avuto modo di entrarci lo sa meglio di me, è una non vita, si sopravvive all’interno dei Cpt. Immaginiamoci cosa sarebbe un tempo così lungo… sono luoghi assolutamente peggiori del carcere.

Lampedusa e gli ‘sbarchi’

D. A proposito di quello che potremmo definire il Cpt più famoso d’Italia, concentriamoci ora sul fatto che siamo alle porte dell’estate e che le barche dei migranti hanno già cominciato ad arrivare fino a Lampedusa.
Abbiamo visto quanto precari siano i rapporti con la Libia e quest’ultima polemica tra Libia e Italia ci ha finalmente consentito di vedere scritto nero su bianco fino a che punto l’Italia deleghi a un paese come la Libia la gestione della vita e della morte di migliaia di persone.
Alla luce di tutto questo cosa pensi che ci aspetti nei mesi a venire? E il compito di chi fa un’informazione libera su questi temi quale sarà rispetto a una comunicazione portata avanti dai media ufficiali che appare invece sempre spettacolarizzata e facilmente strumentalizzabile?

R. Penso che il compito nostro debba essere ancora una volta quello di esserci. Io ho fatto una piccola esperienza nel 2005, con la rete antirazzista siciliana, quando sono andato a un campeggio proprio vicino a Lampedusa e sono andato a monitorare il Cpt. Penso che esserci e denunciare quello che succede sia assolutamente prezioso e sia tanto più prezioso ora.
Io mi occupo da tanto tempo di migranti ma lo faccio in una città e in una città ci sono tanti pesi e contrappesi… quando sono andato a Lampedusa mi immaginavo una situazione tipo la questura e invece ho scoperto che quanto più ti allontani dai luoghi di vita e di lavoro dove sono i migranti e quanto più ti avvicino alla frontiera, allora i Cpt diventano ancora di più posti terribili, assolutamente di sospensione del diritto e dello stato democratico.
Nel 2005 mi fece molta impressione la situazione di Lampedusa, era veramente un luogo militarizzato, isolato , chiuso, era molto più di quanto io mi aspettassi. È anche difficile raccontarlo. Sarebbe fondamentale che qualcuno lanciasse un appello questa estate per essere fisicamente lì a Lampedusa, a vedere cosa succede, a denunciare a violazione dei diritti umani, a tutelare le persone in carne ed ossa che sono lì.

La società meticcia. Da Pisa a Verona

D. Eppure c’è da dire che, al di là delle spettacolarizzazioni dei media e delle strumentalizzazioni della politica, quei migranti che arrivano per mare in quel modo così drammatico sono un fenomeno per così dire minoritario pur rappresentando, e questo è sempre importante ricordarlo, la quasi totalità dei richiedenti asilo che arrivano in Italia. Sono cioè le persone più fragili che arrivano in questa maniera e che rappresentano un fenomeno minoritario rispetto alla realtà di una società in cui gli immigrati sono giù i nuovi cittadini delle nostre metropoli, delle nostre città; abitano le nostre scuole con le seconde generazioni.
Noi viviamo in una società che è già meticcia, che è già cambiata, e a questo proposito vorrei chiederti qual è la situazione della città di Pisa per esempio

R. Non credo che sia una situazione particolare né in un senso né in un altro. È una città piccola in cui i migranti fanno le cosiddette badanti, lavorano nell’edilizia, hanno i loro luoghi di aggregazione che secondo me sono perfettamente inseriti nel tessuto cittadino eppure anche da queste parti come penso dovunque la politica e i media stanno suscitando il senso d’allarme. Per esempio la zona intorno alla stazione, quella dove ci sono i phone center, dove loro telefonano a casa, dove ci sono i loro negozi, i loro luoghi di aggregazione viene additata come un luogo pericoloso dove c’è l’insicurezza.
C’è un’operazione veramente selvaggia della politica per cercare di criminalizzare una presenza che è invece assolutamente inserita nel nostro mondo. Siamo veramente in una società meticcia, mi piace molto l’espressione che hai usato…

D. Pisa in particolare è stata soprattutto nell’ultimo anno presa ad esempio molto spesso come un modello di una convivenza riuscita tra la popolazione autoctona e nello specifico la popolazione rom, quella che maggiormente viene additata da politici e media come Il Problema. È veramente così?

R. È così in parte. A Pisa c’è stato questo programma che si chiama ‘Città sottili’, prende il nome da un racconto di Calvino, finalizzato essenzialmente al superamento dei campi rom e all’inserimento abitativo dei rom in casa.
Il programma non è stato tutto rose e fiori, sono state fatte delle esclusioni, per un periodo molto lungo la presenza dei rom rumeni è stata criminalizzata e si è creata questa situazione paradossale per cui i rom provenienti dalla Jugoslavia erano buoni e i rom rumeni erano cattivi, però complessivamente ci sono stati inserimenti abitativi che sono stati tranquilli, pacifici. I giornali hanno battuto la gran cassa cercando di costruire un’emergenza sicurezza che non c’era, ma la città ha ben accettato questi inserimenti.
Il problema è che la questione sicurezza sta arrivando anche qui con violenza enorme: il nuovo sindaco del Pd che è stato eletto adesso ha detto esplicitamente che vuole smantellare il programma ‘Città sottili’.
Siamo in una situazione spaventosa di ritorno indietro anche rispetto ai passi che erano stati fatti prima. Parziali, insufficienti, criticabili, ma erano effettivamente dei passi avanti.
Lo dico per chi non lo sapesse, qui il nuovo sindaco ha proprio esaltato pubblicamente il modello Cioni, sapete, l’assessore di Firenze che ha fatto l’ordinanza contro i mendicanti e contro i lavavetri e ha aderito a un patto tra le cittò di medie dimensioni, firmato a Parma, che chiede un nuovo decreto sicurezza contro gli immigrati per non dare la residenza ai rom, di cui fa parte anche una città come Verona.

D. Sistematicamente insomma, da destra a sinistra (la sinistra in modo per così dire più goffo, rincorrendo sempre la destra su un tema in cui evidentemente la destra è più ‘efficace’, diciamo così), si arriva a smantellare anche situazioni, come quella che c’era a Pisa con i rom, che rendono evidente quanto il nodo della sicurezza si affronti molto più efficacentemente offrendo dei servizi, investendo delle risorse nei servizi sociali. Al contrario, tutte le forze politiche scelgono in questo momento di riproporre modelli di repressione che tra l’altro vediamo che non funzionano in nessun modo…

R. Quello che infatti stiamo cercando di dire è che, anche volendo prescindere da istanze politiche e morali, a cosa ha portato alla fin fine la politica degli sgomberi? Sicuramente non ad un allontanamento reale dei rom ma ad una loro ulteriore marginalizzazione.
Ma naturalmente in questo momento la politica non ci sente perché pensa di inseguire un senso comune. Poi io su questo non voglio fare l’ottimista, la gente dice quello che dice, nei bar si sente dire che gli zingari rubano e basta ecc. ma nelle città la gente vive con i migranti, vive con i rom, ce li ha come compagni di scuola, come colleghi di lavoro, come vicini di casa, quindi anche questa cosa che il senso comune sarebbe razzista è non falsa ma per lo meno molto gonfiata, molto costruita

D. E un esempio straordinario di società meticcia ci è offerto in questo momento dalla città di Verona, in cui dopo il terribile omicidio di Nicola, ucciso da 5 balordi neonazisti – che è stato detto non è un omicidio politico ma che è sicuramente un omicidio che rientra in un contesto politico ben preciso – i primi a reagire in maniera organica, organizzata e aperta sono stati i migranti di quella città.
I migranti in quanto nuovi cittadini che si sentono responsabili di quanto avviene nelle piazze, nelle strade della città che abitano, hanno lanciato una manifestazione aperta a tutti i cittadini di Verona e a tutti quanti vogliano partecipare; una manifestazione che per una volta non riguarda i temi selettivi dell’immigrazione ma che parla di bene comune, che si interroga sul senso di comune, su come vincere la paura insieme e ricominciare insieme ad abitare le città in una maniera diversa da quella indicata da tutte le politiche repressive e xenofobe di cui abbiamo parlato insieme a te fino ad ora.
Com’è percepita questa iniziativa al di fuori dal Veneto?

R. Noi, per lo meno le reti attive su questi temi, siamo rimasti molto positivamente colpiti e pensiamo che la manifestazione di Verona non sia un affare né di Verona né del Veneto ma sia una questione nazionale più generale quindi è sicuramente importante essere presentei anche in tanti che vengono da fuori e dare valore a questa iniziativa, farla conoscere e possibilmente anche esportarla.
Aggiungo se posso una piccola cosa, sono problematiche diverse ma in qualche modo comparabili: a Pisa, nel quartiere Stazione, che è la zona appunto di maggiore presenza di migranti, c’è uno spazio che si chiama Rebeldia, erede dal vecchio centro sociale, ma che è uno spazio in cui operano 25 associazioni diverse da Emergency al Commercio equo e solidale, poi ci siamo noi che facciamo sportello per i migranti, ed è diventato un luogo di convivenza meticcia dove migranti e italiani stanno insieme, giocano, mangiamo, si ritrovano insieme. Anche qui, questo luogo è uno di quelli criminalizzati. Per questo il 7 giugno a Pisa ci sarà una manifestazione che in qualche modo ha delle somiglianze e delle assonanza con quella di Verona. Sicuramente la situazione di Verona ha una forza particolare ma anche questa piccola esperienza pisana dimostra che i temi che pongono i migranti lì a Verona sono temi condivisi da alcune reti a livello nazionale

Ascolta l’intervista:
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