Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Repubblica del 4 maggio 2008

E se Calderoli ministro favorisse i diritti umani?

di Giovanni Maria Bellu

Il mondo politico italiano ha reagito compatto all’avvertimento del figlio di Gheddafi: non è pensabile che la Libia decida chi in Italia deve fare il ministro e chi no. Sulla sovranità nazionale non si scherza.

Il fatto è che, secondo il figlio di Gheddafi, non si deve scherzare nemmeno sull’Islam. Siamo, dunque, davanti a due valori in conflitto e toccherà a Berlusconi il compito di sciogliere il nodo. Ma fin d’ora possiamo dire che esistono due possibilità. 1) Calderoli non diventa ministro: 2) Calderoli diventa ministro.

Potrebbe apparire un’esplicitazione dell’ovvio se, in casi precedenti, non fosse stata praticata una terza soluzione: rimuovere i presupposti del problema facendo passare l’autore dello sproposito come un burlone. Ma si trattava di casi di politica interna. I valori offesi erano la bandiera, l’unità nazionale, l’indipendenza della magistratura. Roba nostra. L’Islam, invece, non ci appartiene. I libici non ci cascherebbero.
Pare difficilmente praticabile anche la sperimentata soluzione del passo indietro del diretto interessato, una rinuncia personale che non coinvolge la sovranità del paese. Ce la siamo già giocata. Il passo indietro Calderoli lo fece pochi giorni dopo lo show della t-shirt, l’assalto al nostro consolato di Bengasi, gli undici morti, quando si dimise da ministro. E, probabilmente, l’Islam offeso credette che fosse un atto definitivo e irrevocabile. Un replay potrebbe accrescere l’irritazione.
Bisogna rassegnarsi, l’alternativa è secca: o la sovranità nazionale o il rischio di incrinare i nostri rapporti con Gheddafi padre e, dunque, di far saltare l’accordo che prevede un’azione congiunta Roma-Tripoli per i pattugliamenti anti-migranti delle coste libiche. In tal caso migliaia di uomini e di donne che ora si trovano in Libia si riverserebbero su Lampedusa. Disperati fuggiti dalla Somalia, dal Darfur, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Sierra Leone, dalla Liberia. Nazionalità che rappresentano il 60 per cento dei richiedenti asilo in Italia. Non solo immigrati economici, dunque, ma anche potenziali rifugiati politici.

Quando cominciò a profilarsi l’accordo per i pattugliamenti, qualcuno ricordò invano i dossier di Amnesty International e di altre associazioni umanitarie che parlavano di 60.000 immigrati arrestati e deportati in Libia nel solo 2006. Che denunciavano arresti in massa, lunghissime detenzioni senza processo. E i “respingimenti” verso la frontiera meridionale, ai confini con Chad, Niger, Sudan ed Egitto dove i migranti – uomini, donne, bambini – ancora oggi vengono abbandonati e lasciati morire in mezzo al deserto.
Nel settembre dello scorso anno, Amnesty International chiese ufficialmente alla Commissione europea e al governo italiano che il proseguimento della cooperazione con la Libia fosse subordinato all’ottenimento di garanzie reali sul rispetto dei diritti umani dei migranti. Ci fu chi ricordò che, nel maggio del 2005, il Parlamento europeo aveva condannato l’Italia proprio per l’espulsione in Libia di 1500 migranti sbarcati a Lampedusa. Furono anche presentate delle interrogazioni parlamentari. Non giunse alcuna risposta e, nel dicembre scorso, l’accordo – senza alcuna garanzia – è stato firmato.
Se l’Italia non cederà al ricatto del figlio di Gheddafi, Roberto Calderoli molto probabilmente riuscirà a ottenere un risultato di gran lunga superiore a quello che Amnesty International ha invano tentato di raggiungere. E l’Italia si porrà all’avanguardia della battaglia per la tutela dei diritti dell’uomo nel mondo. Ministro, dunque. Degli Esteri, se è possibile.
(glialtrinoi@repubblica. it)

vedi anche:
Politica estera bipartisan – Libia e migranti