Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Grecia – La difficile situazione dei richiedenti asilo

Intervista a Gabriele Del Grande curatore del blog Fortress Europe

La Grecia, con Italia e Spagna, è uno dei paesi dell’Unione Europea in cui approda il maggior numero di migranti impegnati in estenuanti e pericolosissimi viaggi verso l’occidente. C’è un dato che però caratterizza particolarmente questo paese: il tasso di di riconoscimento dei rifugiati è lo 0,3% su oltre 5.000 domande presentate nel 2007. Un altro segnale significativo dell’atteggiamneto della Grecia nei confronti dei rifugiati sta nei tempi di analisi delle domande: i richiedenti aspettano mediamente un paio di anni per ricevere una prima risposta che quasi sempre ha poi esiti negativi.
Sulla situazione dei rifugiati in Grecia abbiamo intervistato Gabriele Del Grande, curatore del blog Fortress Europe che proprio in questi giorni si trova a Patrasso.

La situazione in Grecia è molto grave ed è anche irrazionale se vogliamo, nel senso che è rivelatrice delle contraddizioni delle politiche locali sull’immigrazione. A Patrasso la situazione è quella di un campo, una specie di baraccopoli che si trova a poche centinaia di metri dal porto, dove vivono ad oggi circa 500 rifugiati afghani. Sono giovani, un terzo di loro è minorenne, ho incontrato ragazzini di 12-13 anni da soli non accompagnati. Vivono li tutto il giorno perchè dal campo non si esce, la polizia pattuglia su ogni lato gli accessi a questa baraccopoli, si rischia di essere arrestati e riammessi in Turchia o comunque detenuti per mesi nei campi di detenzione greci. La notte escono a gruppetti di quattro o cinque persone, si avvicinano al porto, chiuso da recinzioni e filo spinato, e tentano di saltare le due barriere che separano, una dall’ingresso del porto e l’altra dall’ingresso dei parcheggi dei camion. Poi, una volta nei parcheggi, prima che arrivi la polizia, cercano di nascondersi o sotto i camion o dentro i container che poi il giorno dopo si imbarcano sulle navi in partenza per l’Italia. Ricordiamo che poi, quotidianamente, in Italia chi arriva è fermato e rimpatriato in Grecia in base ad un accordo di riammissione stipulato tra i due paesi. E’ di un paio di giorni fa la notizia di tre ragazzini sbarcati ad Ancona, trovati dentro ad un camion in gravi condizioni perchè l’ossigeno stava finendo.

Insomma, sono viaggi difficili ma la cosa più grave è che la Grecia non vuole questi rifugiati. In Grecia il tasso di riconoscimento dei rifugiati è dello 0,3% su oltre 5.000 domande presentate nel 2007.
La Grecia non vuole questi rifugiati e questi rifugiati non vogliono restare in Grecia perchè non gli viene riconsociuto asilo politico.
Vogliono andare in altri paesi europei, ma l’Europa gli chiude le porte con la Convenzione di Dublino, che come sappiamo prevede che lo Stato responsabile di un richiedente asilo sia il primo Stato in cui quella persona entra. Per cui noi oggi in Europa abbiamo situazioni dove, in Germania ad esempio, stanno chiudendo i centri di accoglienza per rifugiati perchè le domande di asilo diminuiscono del 50%, ed altri paesi come la Grecia dove i rifugiati si trovano a vivere nelle baraccopoli piuttosto che nei quartieri di Atene come Omonia dove mi trovo in questo momento.

D: Una cosa importante da sottolineare più volte è che questo è praticamente un passaggio obbligato per chi arriva da situazioni particolarmente complicate, usiamo questo eufemismo, come l’Iraq o l’Afghanistan. Quindi, finire nelle maglie dei dispositivi greci è la regola, a meno che, come hai spiegato bene, non si affrontino viaggi che sono una scommessa: come dire, è complicato attraversare un paese appeso ad un tir….

R: Si, noi abbiamo notizie spesso di persone che ci lasciano la vita. A gennaio un ragazzino di 14 anni è finito sotto un camion all’altezza di Forlì sull’autostrada perchè gli si erano rotte le cinghie con le quali si era legato. Io penso che uno si debba anche chiedere com’è possibile che oggi, nel 2008, un ragazzino di 14 anni che scappa da un paese in guerra debba finire morto sotto un camion perchè non ha nessun altro modo per viaggiare e per attraversare un’Europa che continua a presentarsi come paladina dei diritti umani, ma che sulla questione dell’immigrazione non lo è affatto. Qui in Grecia chi chiede asilo aspetta un paio di anni per avere una prima risposta, negativa nel 99,9% dei casi, poi altri due anni per attendere una seconda risposta nel caso possa fare un ricorso, ed anche in quel caso molto spesso la risposta è negativa. Passano quattro o cinque anni della propria vita buttati via in Europa, non si sa dove, senza veder riconosciuti i propri diritti. Parliamo di afghani ma possiamo parlare anche di somali, di sudanesi. Io in questo momento mi trovo presso un’associazione di sudanesi qui ad Atene, parlavo con persone fuggite dal Darfur che si trovano anche loro in questa situazione, qui, bloccati senza documenti, senza poter lavorare. E poi le dinamiche sono simili a quelle italiane, finiscono magari nelle piantagioni di fragole ad Olimpia piuttosto che a fare la raccolta delle arance ad Atra, sfruttati per 20-25 euro al giorno e tenuti a dormire nelle stalle piuttosto che all’aria aperta.

D: L’ultima cosa che ti chiedo è questa: hai sentito quello che è successo a Torino nel weekend?

R: Si, ho seguito su internet la morte di questo cittadino marocchino in seguito al mancato soccorso…

D: Una tua impressione su questo?

R: Le impressioni sono le solite impressioni di sdegno per l’ennesima vittima delle politiche di detenzione degli immigrati. Vorrei chiudere forse con una frase che utilizzò la deputata Mercedes Frias lo scorso anno dopo le morti per suicidio di due cittadini tunisini nel Cpt di Modena, lo ricorderete, a ottobre se non sbaglio, del 2007. In una interpellanza alla allora sottosegretaria del Ministero dell’Interno per l’immigrazione Marcella Lucidi, la deputata Mercedes Frias chiedeva: “che cosa diremo alle madri di questi ragazzi quando ci chiederanno perchè i loro figli erano detenuti nei centri di permanenza temporanea?”. Erano detenuti non per qualcosa che avevano fatto, come al solito, ma per quello che erano. E’ utile ricordarlo che parliamo di detenzione amministrativa di persone a cui viene privata la libertà e la cui esistenza viene mantenuta in quelle condizioni, non per aver commesso nessun tipo di crimine, ma semplicemente per esser nato fuori da uno dei 27 paesi membri dell’Unione Europea e non avere in tasca un documento che autorizza all’esistenza nei nostri paesi.