I rapporti tra l’Italia e la Libia dalla fine degli anni 90’ ( governo D’Alema) ad oggi sono stati caratterizzati da una forte impronta di “continuismo”, accentuato dal lavoro di sponda tra Prodi, quando era Presidente della Commissione Europea, Frattini, diventato poi vice Commissario Europeo con delega alla sicurezza ed alla immigrazione, fino all’ultima trattativa per gli accordi italo-libici sottoscritti a Tripoli alla fine dello scorso dicembre, con una intesa continua tra Prodi, il ministro Amato e lo stesso Frattini.
L’Italia nel 2004, soprattutto con Prodi a Bruxelles, è stata determinante per la rimozione dell’embargo da parte dell’Unione Europea verso la Libia, embargo stabilito dopo la strage di Lockerbie ed altri attentati terroristici orchestrati dal governo libico negli anni 80. E proprio nel 2004 avevano inizio le espulsioni collettive di migranti da Lampedusa verso la Libia, vietate da tutte le Convenzioni internazionali e sanzionate dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo..
A partire dal 2004 tutti i principali paesi europei hanno fatto a gara per riabilitare il regime di Gheddafi, ritenuto partner essenziale nel contrasto dell’immigrazione clandestina e nella lotta al terrorismo che si è ormai affacciato nei paesi del Maghreb. Anche gli Stati Uniti hanno riservato alla Libia un trattamento di favore, fino al punto di favorire la nomina di questo paese tra i membri temporanei del Consiglio di Sicurezza. Il recente viaggio di Putin a Tripoli, prima che volasse dall’”amico” Berlusconi in Sardegna, ha ulteriormente suggellato il ruolo internazionale di Gheddafi e gli ha consentito un ulteriore riposizionamento politico, ed altri rifornimenti di armi e materiale nucleare in cambio di gas e petrolio.
In questi anni tutti, stati e multinazionali, hanno fatto e stanno facendo affari con il governo libico, oltre alla Russia, la Francia gli sta fornendo materiale nucleare “per usi civili”, dopo il trionfale viaggio da Sarkozy a Parigi nel genna6io del 2008 e l’Italia riceve dalla Libia oltre il 30 % del suo fabbisogno di gas e una quantità ingente di petrolio, mentre sono in cantiere in quel paese numerose opere pubbliche e nuovi gasdotti, con la presenza di molte imprese italiane, a partire dall’ENI. Lo scorso anno D’Alema era stato in più occasioni in missione a Tripoli per discutere di affari e di immigrazione, e non si contano i viaggi in Libia di alti rappresentanti dei ministeri dell’interno e degli esteri.
A nessuno è mai interessato qualcosa delle gravissime violazioni dei diritti umani di cui è autore il regime di Geddhafi nei confronti dei dissidenti, né dei terribili abusi che le forze di polizia libiche infliggono ai migranti, fino allo stupro sistematico delle donne più giovani che cercano di raggiungere l’Europa. Tutti hanno fatto affari con i libici, ed hanno stretto accordi di cooperazione per il contrasto dell’immigrazione clandestina senza considerare neppure per un attimo che la Libia non è firmataria della Convenzione di Ginevra e che non riconosce dunque il diritto di asilo, giungendo al punto di deportare verso i paesi di origine, dominati da regimi dittatoriali, con i quali Gheddafi intrattiene ottimi rapporti, centinaia di migranti che dopo il rimpatrio sono gettati in carcere e abbandonati alle torture della polizia. Persino alcune organizzazioni umanitarie hanno aperto i propri sportelli a Tripoli, diranno i fatti con quali risultati concreti.
Adesso sta destando scalpore in Italia il fatto che la Libia abbia minacciato “ripercussioni catastrofiche nelle relazioni con l’Italia” se Calderoli tornerà a fare il ministro. Lo ha affermato il figlio del leader libico Gheddafi, Saif El Islam, secondo quanto riportato dall’agenzia ufficiale libica Jana, pur riconoscendo che si tratta “un affare interno che riguarda l’Italia”. I libici ricordano ancora molto bene le manifestazioni di protesta scoppiate a Bengasi il 17 febbraio 2006 contro il Consolato italiano, in seguito alla maglietta con la vignetta anti-islamica mostrata dall’allora ministro delle Riforme durante un’intervista televisiva. I manifestanti furono affrontati dalla polizia
in scontri che produssero un bilancio di 11 morti. “La crisi – si legge nel testo della Jana – è stata allora circoscritta, causando anche le dimissioni del ministro italiano. Ma in seguito alla vittoria della destra italiana nelle ultime elezioni, sono giunte voci sulla possibilità di ricandidare nuovamente quel ministro, che si considera il vero assassino dei cittadini libici morti in quell’occasione”.
Alle repliche di Calderoli e Borghezio, che è stato l’unico a ricordare come la Libia sia il principale artefice di una precisa strategia che gestisce gli sbarchi di “clandestini” nel nostro territorio meridionale, si è aggiunta la posizione di D’Alema, ministro degli esteri ancora per qualche giorno, che ha stigmatizzato la posizione assunta dalla Libia come “una intollerabile ingerenza”, aggiungendo però di non ritenere “opportuno” “che un uomo politico che abbia responsabilità istituzionali faccia ciò che fece Calderoli nel 2006, indossando, da ministro, una maglietta con la vignetta anti-islamica”. D’Alema ha aggiunto che, indossando la maglietta con il disegno di una vignetta anti-islamica in diretta tv, l’allora ministro delle Riforme Roberto Calderoli «innescò una catena di reazioni molto negativa». «Speriamo – ha auspicato il ministro degli Esteri uscente riferendosi al prossimo governo Berlusconi – che l’esperienza serva per evitare il ripetersi degli stessi errori».
Insomma, tutti, o quasi, contro la Libia quando denuncia i bombardamenti israeliani sulla popolazione civile di Gaza o il rischio di una deriva islamofobica del nuovo governo italiano, tutti a favore della Libia quando si tratta di concludere accordi in materia di gas, petrolio ed immigrazione, con un silenzio totale, al limite della complicità quando si tratta di affidare alla polizia di quel paese i mezzi economici e militari per arrestare, deportare, o respingere in alto mare, migranti irregolari in fuga verso l’Europa, anche se una buona parte di loro, come rileva anche l’ACNUR, è composta da potenziali richiedenti asilo, e da soggetti vulnerabili come donne, minori, vittime di tortura. Si, parliamo proprio di complicità, perché di questo si tratta quando si finanziano interventi di formazione e di cooperazione pratica con polizie di paesi che continuano a praticare torture e stupri come strumento quotidiano di gestione della lotta all’immigrazione irregolare. L’Italia, appena pochi mesi fa, con l’ultima finanziaria del centrosinistra, ha previsto di finanziare con otto milioni di euro le missioni della Guardia di Finanza in Libia nel 2008 per “formare” la polizia libica e per collaborare con questa, anche in territorio libico o nelle acque antistanti le coste di quel paese, per fermare e deportare i migranti irregolari. E tutti ricordano che tra il 2005 ed il 2006 l’Italia governata da Berlusconi finanziò i voli che deportavano migliaia di migranti dalla Libia verso i paesi di origine, dove questi hanno poi trovato carcere, tortura ed in molti casi la morte. I dettagli di quelle operazioni si ritrovano nelle relazioni annuali della Corte dei Conti.
Adesso non ci rimane che assistere all’indecente minuetto “bipartisan” della “nuova” politica italiana, tra chi denuncia con toni diversi le “invasioni di campo” dei libici, sottovalutandone forse il potere di ricatto, cresciuto proprio per le iniziative dei precedenti governi italiani, dal 1999 ad oggi. Tutti, da D’Alema ad Amato, passando per Frattini e Berlusconi, hanno cercato di esternalizzare in Libia i controlli di frontiera delegando a Gheddafi il compito di gendarme del Nord Africa per arrestare i flussi di clandestini. Cosa che Gheddafi si è ben guardato dal fare, anche perché i suoi generali lucravano milioni di euro sulla corruzione diffusa delle forze di polizia libiche che, dietro pagamento tramite Western Union, o dietro favori sessuali, permettevano ad una parte dei migranti di partire comunque per l’Europa. A questa gara di ipocrisia non si sottrarrà neppure il Gheddafi del 2008 che tra qualche giorno, se rimarrà ancora sotto tiro, rispolvererà il risarcimento del danno per l’occupazione militare italiana negli anni del nostro colonialismo, voluto da quel regime fascista i cui eredi hanno riconquistato oggi posizioni di potere dopo avere abiurato, nella forma ma non nella sostanza, il loro passato.
Eppure, chi non si riconosce in questo indegno balletto, in questa diplomazia che scambia diritti umani e barili di petrolio o motovedette militari, in questo modo di concepire cinicamente la politica internazionale e le politiche dell’immigrazione, sempre più interconnesse con la politica estera, una strada da seguire potrebbe trovarla, anche in assenza di una rappresentanza parlamentare capace di una vera opposizione. I partiti che si accingono a governare l’Italia, per quanto possano contare in politica estera sull’appoggio di una parte consistente della vecchia maggioranza, proprio in materia di immigrazione ed asilo, non potranno che pregiudicare le già claudicanti relazioni dell’Italia con i paesi del nord-africa.
Sul piano delle grandi linee di politica internazionale tra i paesi di transito del nord africa e i paesi del sud europa che si affacciano nel mediterraneo, in particolare tra l’Italia e la Libia, si può ritenere che le contraddizioni esistenti tra le politiche bilaterali e l’ambizione di una gestione comune, europea, delle frontiere esterne, che dovrebbe essere affidata all’Agenzia FRONTEX ed alle pattuglie congiunte RABITS, non possano che risolversi con un fallimento totale delle operazioni di respingimento a mare e degli interventi finanziati dall’Unione Europea, come si può già desumere dai rilievi statistici negativi già disponibili sull’operato di FRONTEX nel 2006 e nel 2007. Con quale costo dal punto di vista delle vittime, in mare e nei territori degli stati di transito, non si può prevedere, sulla base delle esperienze passate si può però prevedere che migliaia di uomini, di donne, di minori, perderanno ancora la vita nel tentativo di attraversare i paesi più vicini all’Europa e poi il mare che li separa dalla Spagna, dall’Italia, dalla Grecia, da Malta, da Cipro.
Sul terreno delle politiche praticabili dal basso, a partire dai territori che i migranti raggiungono in Europa, si può invece fare qualcosa. Si tratta ancora una volta di schierarsi a fianco dei migranti che giungono nel nostro paese e che da Lampedusa, vengono “spalmati” nei centri di detenzione amministrativa di tutta Italia, dalla Sicilia al Friuli. Si tratta di raccogliere le loro storie, indirizzarli correttamente verso gli sportelli di assistenza, aumentare le possibilità di difesa legale, contrastare nell’opinione pubblica la costruzione di quel pregiudizio che vorrebbe individuare negli stranieri il capro espiatorio di tutti problemi irrisolti sofferti dalla popolazione italiana.
Tra poco quel sistema di “accoglienza dietro le sbarre”, al di là della denominazione formale ( CPT, CID, CARA O Centro polifunzionale, come adesso Caltanissetta, Crotone e Gradisca), non riuscirà più a contenere il numero di migranti irregolari che il nuovo governo tenterà di internare, quando i paesi di provenienza e transito rifiuteranno i documenti di viaggio necessari per i rimpatri . Più si inaspriranno le sanzioni verso i migranti irregolari, chiudendo i margini per l’accesso alla procedura di asilo o per la successiva possibilità di regolarizzazione dei migranti costretti all’ingresso irregolare, più il sistema diventerà ingovernabile.
Altro che sicurezza!
Intanto i rappresentanti politici dei diversi schieramenti presenti ancora in Parlamento, ormai privi di una piena legittimazione democratica, per le regole elettorali ( definite una “porcata” persino dai loro creatori)) con le quali sono stati eletti, continueranno a dividersi sulle “politiche della sicurezza”, alla caccia di nuovi “nemici interni ed esterni”, per poi fare a gara per presentarsi come il soggetto più efficace per illudere gli italiani che, con misure esclusivamente repressive, detentive ed espulsive, possano dormire sonni più tranquilli. E’ una gara che non avrà comunque storia, non importa tra quali sindaci o con quale ministro dell’interno, tra l’originale e l’imitazione della “tolleranza zero” gli italiani hanno già scelto l’originale, innescando una bomba a tempo, nei rapporti interni e nelle relazioni internazionali, che potrebbe esplodere compromettendo il futuro dei loro figli.
C’è qualcuno che adesso vuole fare la voce grossa con la Libia? Si faccia avanti, ma non dimentichi che per i migranti quel paese è un lager a cielo aperto ( o non ci si limiti a ricordare che una buona parte delle nostre risorse energetiche provengono proprio da quel paese). Si può comunque prevedere che alla fine prevarrà il “realismo” politico italiano basato sul dominio del “libero”mercato, sulla salvaguardia degli interessi nazionali, e sull’esigenza di promuovere i rapporti di scambio con paesi determinanti per la nostra economia, come è già successo lo scorso anno, quando la Cina e la Romania hanno reagito, di fronte ai pasticciati tentativi di una “etnicizzazione” delle politiche di espulsione, minacciando di chiudere i loro mercati. Non sembra proprio che con il nuovo governo i rapporti internazionali possano cambiare, se non in peggio, per la sprovvedutezza e l’arroganza che caratterizza molti dei nostri futuri governanti, come già ampiamente documentato dall’incidente tra Calderoli e la Libia nel 2006 e dalle polemiche di questi giorni. Ancora una volta i primi a farne le spese saranno i migranti trattati sempre di più come una merce di scambio.
vedi anche:
– E se Calderoli ministro favorisse i diritti umani?