I recenti arresti di alcuni esponenti della comunità tamil residente in Italia, con l’accusa di estorsione e di partecipazione ad associazione terroristica, giungono dopo una manifestazione a Milano, il 15 giugno scorso, regolarmente autorizzata. In questa occasione, i tamil intendevano rivendicare le ragioni del loro popolo oppresso dalla dittatura cingalese, che, dopo lo tsunami di due anni fa, è giunta a bloccare gli aiuti destinati alle popolazioni che, già colpite da anni di guerra civile, erano state vittima di una catastrofe naturale.
I poliziotti cingalesi sono arrivati al punto di sparare su convogli di aiuti diretti ai tamil malgrado la scorta dei militari italiani. I tentativi di pacificazione condotti per anni dalle diplomazie dei paesi del nord-europa si sono interrotti quando potevano invece concludersi con un accordo di pace, all’inizio della “guerra globale” di Bush contro il terrorismo internazionale. Un altro gravissimo fallimento del ruolo di mediazione affidato all’Europa, dopo la tragedia del Kosovo.
E’ la prima volta che in Italia, su iniziativa della procura di Napoli, viene lanciata una operazione di arresto di tamil su vasta scala, dopo la messa al bando del movimento LTTE (detto comunemente le Tigri Tamil) da parte dell’Unione Europea e il conseguente avvio di inchieste in diversi paesi, come la Francia, dove il 1° aprile 2007 sono finite in prigione 24 persone ritenute appartenenti a quel movimento.
Il questore di Palermo ha giustamente ricordato la necessità di non procedere a facili generalizzazioni, ma questo rischio è ancora presente malgrado in questi giorni l’attenzione dei media sembri concentrarsi ( oltre che sui campionati europei di calcio) sullo scontro inerente i processi di Berlusconi e sui suoi tentativi di sottrarsi al sindacato della magistratura, attentando ancora una volta allo stato di diritto.
Per non fare generalizzazioni occorre accertare con equilibrio ed indipendenza di giudizio le singole posizioni individuali. Le iniziative di raccolta di denaro da parte di esponenti della comunità tamil sono state storicamente espressione di un forte senso di solidarietà che ha permeato questa comunità. Si dovrà accertare caso per caso la esclusione di questo intento solidaristico rivolto alla tutela dei componenti più deboli o dei parenti rimasti nel paese di origine, e la ricorrenza di una diversa finalità illecita. Ma soprattutto non si potrà operare questo giudizio dimenticando quello che è successo nello Sri Lanka.
Nessuno ricorda più le dimensioni e le ragioni delle persecuzioni e dell’esodo che dagli anni 90’ ha segnato il destino di intere generazioni di giovani tamil costretti a lasciare il loro paese.
Un esodo segnato da gravi lutti, come la strage di Natale del 1996, con il naufragio di Capo Passero, una strage che il precedente governo italiano voleva lenire con il recupero delle salme, promesso ma mai realizzato, dopo la individuazione del relitto.
Una giustizia lenta, e in qualche caso indolente, non era neppure riuscita a punire con un solo giorno di prigione i responsabili di quella strage, che negata per anni dai governi del tempo, si vorrebbe ormai fare ricadere nel dimenticatoio, ma che continua a costituire la prima delle grandi tragedie dell’immigrazione nel Mediterraneo.
Anche se i tempi dell’operazione di polizia che ha portato agli ultimi arresti in diverse città italiane appaiono cronologicamente legati alla ripresa di iniziativa politica dei tamil in Italia, e ad una crescente insofferenza delle rappresentanze ufficiali dello Sri-Lanka, rinnoviamo la fiducia nella indipendenza della magistratura tutta, sia inquirente che giudicante, in modo che l’accertamento dei fatti sia rigorosamente sorretto da riscontri oggettivi. Attendiamo l’esito del procedimento penale appena avviato e dell’eventuale fase dibattimentale.
Si potrà verificare, non appena saranno rese pubbliche e circostanziate, l’esatta consistenza delle accuse che si estendono –per quanto si è appreso dalla stampa – fino alla partecipazione ad associazione terroristica. Come italiani, la nostra memoria storica ci insegna comunque la differenza tra gli atti di terrorismo e la lotta di resistenza armata, tra dittatura e movimenti di liberazione.
Sappiamo bene che migliaia di tamil hanno ottenuto il riconoscimento dello status di asilo e di protezione internazionale, in Italia come in tutto il mondo, proprio perché ovunque si è riconosciuto che il governo cingalese ha sistematicamente ucciso, torturato ed imprigionato illegalmente i rappresentanti dei movimenti di resistenza tamil allo scopo di affermare le sue pretese territoriali ed il suo regime dittatoriale.
Dopo questi arresti, chiediamo a tutti che venga salvaguardata la presunzione di innocenza e riconosciuto il diritto ad un giusto processo ed il diritto di difesa, e che i tempi e le modalità di carcerazione non siano dissimili da quelli previsti per gli italiani imputati dei medesimi reati . Chiediamo soprattutto che non si dia luogo ad espulsioni sommarie verso lo Sri Lanka di persone che, se fossero rimpatriate, quali che siano le loro effettive responsabilità, sarebbero immediatamente sottoposte a tortura e probabilmente uccise.
L’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo e l’art. 33 della Convenzione di Ginevra per i rifugiati vietano i rimpatri quando le persone possono essere sottoposte a trattamenti inumani e degradanti e la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha già condannato l’Italia per avere tentato di eludere questo fondamentale principio umanitario proprio nel caso di un cittadino straniero imputato per fatti di terrorismo ( caso Saadi). Chi ha commesso i reati contestati, chi è colpevole di avere infranto la nostra legge penale, può, anzi deve subire la esecuzione della pena in Italia, dopo una sentenza definitiva di condanna.
Uno stato di diritto non si può permettere nessuna “scorciatoia”, e deve garantire tutte le condizioni per un pieno accertamento dei fatti con il rispetto delle garanzie della difesa e della persona, non solo nell’interesse degli imputati, ma nell’interesse di tutta la comunità tamil e degli italiani che con i tamil hanno sempre avuto rapporti eccellenti. Di fronte ad altri recenti casi in cui l’Italia ha eseguito espulsioni in violazione dell’ordine di sospensiva giunto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, cresce il timore che anche nei confronti dei tamil arrestati in questi giorni, magari dopo la attenuazione delle accuse, possano essere emessi provvedimenti di espulsione in modo di affidarli, dopo il rimpatrio, alle “cure” dei servizi di sicurezza cingalesi, con la esternalizzazione delle peggiori pratiche di tortura.
Troppo spesso i rappresentanti consolari dei paesi dai quali fuggono potenziali richiedenti asilo hanno libero accesso nei centri di detenzione. Chiediamo alle autorità italiane, nel caso ci fossero tra gli arrestati persone che hanno conseguito lo status di asilo o di protezione internazionale, o anche semplicemente potenziali richiedenti asilo, di non collaborare in alcun modo con il consolato dello Sri Lanka, comunicando dati e vicende personali, in modo da agevolare la successiva persecuzione individuale e quella dei loro parenti nel paese di origine, magari al fine di estorcere confessioni sotto forme diverse di tortura psicologica.
Chiediamo anche l’intervento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati al fine di verificare, nel caso dei tamil sottoposti a misure restrittive della libertà personale, che godano di uno status di protezione internazionale, il rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 e dei protocolli aggiuntivi.
Le garanzie dello stato di diritto ed il rispetto dei diritti della persona, sanciti anche dalle Convenzioni internazionali, sono le principali armi di contrasto contro il terrorismo che invece vede vincente la sua logica, e vede avvicinarsi i suoi obiettivi, quando gli apparati repressivi dello stato ricorrono alle più gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona. Il fine non può giustificare giudici speciali o mezzi di indagine che neghino la dignità della persona, come ha ricordato ancora di recente la Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso dei prigionieri di Guantanamo.