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Verso la pulizia etnica anche in Sicilia?

di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo

Fulvio Vassallo Paleologo
11 Giugno 2008
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Lombardia, Lazio e Campania sono state le prime regioni nelle quali il nuovo Governo ha affrontato la “questione nomadi”. Secondo il ministro dell’interno, Roberto Maroni, «è iniziata l’azione di identificazione di chi vive nei campi abusivi e abbiamo un programma di azioni che in pochi mesi porterà alla soluzione della questione: chi ha diritto di stare vivrà in condizioni umane, chi non ha diritto sarà rispedito a casa». La pratica delle “identificazioni” perpetrate all’alba da un nugolo di poliziotti armati che non rispettano neppure i diritti dei minori, rischia di accrescere la clandestinizzazione di quei rom che, seppure privi del permesso di soggiorno erano impegnati in faticosi percorsi di inserimento sociale, avevano figli nati in Italia, svolgevano comunque una attività lavorativa lecita e garantivano la frequenza dei minori a scuola.

Le associazioni impegnate nella difesa dei diritti dei rom peraltro disponevano già di un censimento della maggior parte dei campi, effettuato per fornire garanzie ad una minoranza sempre a rischio di esclusione e di discriminazione, e non per preparare espulsioni di massa. Il vero scopo del censimento voluto dal ministro dell’interno è quello di terrorizzare i rom privi di permesso di soggiorno e costringerli alla fuga, in modo da agevolare la chiusura o il ridimensionamento dei campi, anche di quelli regolari.

Nel corso di una visita a Venezia in cui ha incontrato il prefetto della città, Maroni ha detto di avere “intenzione di chiudere i campi nomadi abusivi”. “Questo è quello che stiamo facendo a Milano, a Roma e a Napoli. Su tutto ciò che è abusivo e illegale si deve intervenire”.
A Roma, dove continuano gli sgomberi avviati negli anni scorsi da Rutelli e da Veltroni, adesso anche in danno dei campi abitati da rom cittadini italiani, le attività di censimento producono deportazioni violente dal chiaro sapore simbolico, anche là dove era in corso una trattativa con le isitituzioni, come nel recente caso del campo ubicato a Foro Boario. Secondo il prefetto di Roma «Il nostro obiettivo è quello di monitorare e censire i campi, dando la precedenza quelli non autorizzati. Il censimento riguarderà l’intera area regionale: mi incontrerò con i prefetti del altre province per coinvolgerli». Certo, perché ad ogni operazione di rimozione di un campo, senza che le istituzioni garantiscano una qualsiasi soluzione alloggiativa il problema si sposta e si aggrava a pochi chilometri di distanza. Ad ogni “censimento”, da Milano a Roma, seguono arresti e trasferimenti coattivi con l’obiettivo di terrorizzare i rom e indurli ad abbandonare i territori urbani. Ed i risultati di questo clima di terrore, che alimenta anche la mano degli incendiari, si vedono. A quanto risulta molti rom hanno deciso di lasciare l’Italia per trasferirsi in Francia, in Belgio, in Germania, dove in fuga dal pogrom italiano hanno trovato immediata accoglienza presso le loro comunità, già bene inserite in quei paesi. Chi richiama pretestuosamente le legislazioni di altri paesi per giustificare l’imbarbarimento della legislazione italiana sull’immigrazione tace che negli stessi paesi un numero di rom ben superiore a quelli presenti in Italia ha trovato accoglienza ed integrazione.

Ovunque in Italia si fomenta impunemente l’odio razziale e, dopo episodi di cronaca che rimangono ancora assai incerti, si criminalizzano etnie in quanto tali, applicando la legge del taglione ed il principio della responsabilità collettiva. A Ponticelli, vicino Napoli, nessuno ha impedito attacchi incendiari ai campi dei rom, che sono stati scacciati con le spranghe e con le bottiglie incendiarie, mentre a Mestre si giunge ad impedire all’amministrazione comunale l’avvio dei lavori di sistemazione di un campo per rom cittadini italiani e si tollera che un manipolo di razzisti militanti della Lega, coperti dall’attuale ministro dell’interno, blocchi decisioni democraticamente e legittimamente assunte dalle istituzioni locali.

La situazione dei rom e dei sinti in Italia è ormai fuori controllo. Le operazioni di sgombero procedono inesorabili e non si fermano neanche di fronte alla richiesta delle famiglie rom di aspettare il ritorno dei bambini da scuola, come è successo a Roma. Le “identificazioni” procedono anche con il rilievo forzato di dati biometrici e con schedature collettive anche in danno dei rom cittadini italiani, con una evidente lesione del principio di parità di trattamento.

Associazioni umanitarie internazionali e importanti rappresentanti del Parlamento Europeo ribadiscono come non sia accettabile che gli interventi di sgombero delle “forze dell’ordine” nei campi rom siano effettuati senza alcun preavviso e soprattutto senza alcuna proposta di sistemazione alternativa. Gli sgomberi dei campo “nomadi” in corso in queste settimane in Italia si stanno svolgendo in violazione del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, ratificato dall’Italia con la Legge 881 del 25/10/ 1977, che sancisce il divieto di sgomberi senza alternative di alloggio. Tutte le convenzioni internazionali a protezione dei minori vengono sistematicamente violate proprio da quelle stesse autorità che poi individuano nella persecuzione dell’accattonaggio l’unica forma di tutela dei bambini rom.

In Sicilia la situazione dei rom non è meno grave che in altre parti d’Italia, anche se si tratta di poche centinaia di persone, in maggior parte donne, bambini, profughi di guerra per i quali non sarebbe difficile trovare una sistemazione dignitosa. Nella provincia di Trapani diversi rom provenienti dal Kosovo, per quanto titolari di permessi per protezione internazionale, vivono in case fatiscenti in una situazione di totale abbandono.A Messina nel campo ubicato alla periferia nord della città sono rimaste solo alcune famiglie. Il campo di Agrigento ubicato sopra una discarica è stato completamente distrutto da anni ma la conseguente clandestinizzazione dei rom ha prodotto soltanto una recrudescenza di microcriminalità. A Catania si è verificato uno “sgombero fantasma” con la intimazione da parte di “falsi”agenti di polizia ad abbandonare un campo temporaneo abitato da Rom rumeni, prontamente seguito, da un rogo che ha distrutto completamente l’insediamento. Subito dopo i fatti, il Prefetto di Catania ha negato che vi fosse stata una intimazione ufficiale ad abbandonare il campo, ed anzi che vi fosse stata una vera e propria operazione di sgombero da parte della polizia, sostenendo che i rom si sarebbero allontanati volontariamente. Di certo non appena usciti dal campo i rom, mani anonime hanno appiccato il fuoco a tutto quello che restava nell’area appena abbandonata, senza che nessuno intervenisse. Una vicenda sulla quale la stampa e la magistratura devono fare ancora chiarezza.

In qualche caso si è giunti all’espulsione ed al trattenimento di rom già titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che non avevano potuto rinnovare tempestivamente il loro titolo di soggiorno. Anche perché ò consuetudine della Questura di Palermo, in caso di rinnovo, trattenere per mesi i permessi di soggiorno già pronti e consegnarli agli interessati solo in prossimità della loro scadenza.

A Palermo si rincorrono da tempo gli allarmi che, tra breve tempo, si procederà allo sgombero del campo della Favorita, in via del Fante.
Risulta che già da settimane agenti di polizia e carabinieri (veri) minacciano i rom affermando che per lo sgombero del campo è solo una questione di tempo, con il risultato che alcune famiglie montenegrine, terrorizzate da questi “avvertimenti”, e dagli ostacoli frapposti dalla locale questura al rilascio dei permessi di soggiorno per motivi di salute, o al rinnovo dei permessi per motivi umanitari, hanno abbandonato il campo, probabilmente dirette all’estero.

Eppure il campo Rom della Favorita di Palermo non si può definire un campo “abusivo”, essendo stato “creato” dal Comune nel 1994, ed essendo stato lo stesso Comune a trasferirvi allora i rom già presenti i città, precisamente allo ZEN ( Zona espansione Nord) ed in via Messina Marine. Da quella data il campo ha una sua storia, di impegni mancati, una storia documentata da provvedimenti amministrativi, come l’Ordinanza del Municipio di Palermo n. 573 del 12 febbraio 1999, tra le altre, con la quale si stabiliva in premessa di “ assicurare la vivibilità delle aree assegnate alla popolazione nomade, in particolar modo sotto il profilo igienico sanitario” e si impartivano disposizioni al Direttore dell’Azienda del gas, al Direttore dell’Azienda dell’acqua (AMAP), al Direttore dell’azienda per la rimozione dei rifiuti (AMIA) di adottare interventi per garantire acqua, luce e servizio rimozione rifiuti agli abitanti del campo. La stessa ordinanza intimava al Direttore generale dell’azienda trasporti urbani “ di mettere a disposizione del competente ufficio Igiene Pubblica dell’ASL 6 un mini/autobus per il trasporto delle persone presso centri opportunamente individuati dagli operatori sanitari”.

Da allora ad oggi il campo della Favorita ha vissuto una situazione di progressivo degrado, con l’abbandono quasi totale da parte dell’amministrazione comunale, che, salvo saltuari interventi di derattizzazione, in qualche caso con conseguenti morti sospette, si è limitata a garantire negli anni la fornitura di acqua e luce ad una parte del campo. E nella stagione estiva gli autisti delle autobotti svuotavano solo a metà il loro carico che poi andavano a vendere ai privati per le loro ville. Numerosi bambini rom sono stati morsi dai topi, in un caso con esito letale, e non si contano le malattie e le morti sospette. A otto mesi di distanza dal decesso non sono stati ancora consegnati i risultati dell’autopsia disposta dalla magistratura sul corpo di Vera Selimovic, una rom montenegrina morta lo scorso anno dopo una derattizzazione del campo, per cause ancora non chiare, malgrado tre giorni di vani tentativi di cura da parte dei sanitari. I Rom non hanno neppure diritto a conoscere le cause di un decesso avvenuto in ospedale.

I percorsi di integrazione che a Palermo hanno portato alla scolarizzazione di quasi tutti i minori ed alla scomparsa di qualsiasi fenomeno di microcriminalità sono rimasti affidati al lavoro quotidiano delle associazioni alle quali non si è neppure garantito un tempestivo sostegno finanziario. Da parte delle istituzioni sono arrivate soltanto periodiche minacce di sgombero e ricorrenti tentativi di divisione e di delegittimazione delle associazioni operanti accanto ai rom, ai quali si è prospettato il rischio di ritorsioni ove le azioni di protesta avessero denunciato le inadempienze e gli abusi della pubblica amministrazione.

Secondo le “categorie” assunte dal Ministro dell’interno Maroni nella qualificazione dei “campi nomadi”, a fronte dell’imponente documentazione amministrativa che lo contempla, il campo della Favorita di Palermo non si può definire un campo “abusivo”, anche se insiste su un area successivamente destinata a riserva naturale. Estenuanti tentativi di individuare un area alternativa per l’alloggiamento dei rom presenti a Palermo, in gran parte provenienti dalla ex Jugoslavia, in particolare profughi kosovari, sono rimasti senza risultati concreti, soprattutto per l’opposizione dell’Assessorato regionale territorio ed ambiente, tanto negli incontri presso la Prefettura, a partire dal 2000, quanto nelle periodiche riunioni del Consiglio territoriale per l’immigrazione.

Adesso si teme che da Roma arrivi la direttiva di procedere allo sgombero del campo della Favorita e non si ha notizia delle determinazioni che starebbe per assumere il Comune o la locale Prefettura, presso la quale sembra che da tempo sia in discussione il problema di un “trasferimento” dei Rom attualmente insediati nel campo in via del Fante, in una zona sulla quale peraltro insistono forti pressioni speculative. Le ipotesi fin qui proposte, come il possibile trasferimento nella periferia orientale della città, zona ad altissima densità mafiosa, hanno suscitato la minaccia di reazioni violente da parte degli abitanti del quartiere. Sono a rischio comunque le attività di integrazione e di assistenza medica, che in caso di un trasferimento forzato sarebbero irrimediabilmente compromesse.
Le associazioni umanitarie operanti a Palermo in difesa dei diritti del popolo rom hanno creato una rete di collegamento permanente per denunciare immediatamente tutti gli abusi che dovessero essere commessi ai danni della comunità rom e per attivare immediatamente strumenti di controinformazione e di difesa legale, individuale e collettiva.

Occorre che qualsiasi decisione venga adottata dalle autorità amministrative sia conosciuta per tempo e divenga oggetto di una contrattazione preventiva con le associazioni e con gli stessi rom, al fine di individuare soluzioni generalmente condivise che non pregiudichino il lavoro di integrazione portato avanti con grande fatica da molti anni. Se anche a Palermo dovesse prevalere la logica militare dello sgombero forzato le conseguenze sul piano della lesione dei diritti fondamentali e delle prospettive di convivenza pacifica e nella legalità sarebbero incalcolabili. La sicurezza dei cittadini palermitani è la stessa sicurezza dei rom, molti dei quali nati proprio a Palermo. La sicurezza non si difende con i muri, con il filo spinato e con le deportazioni. E soprattutto, il principio di legalità vale per tutti, cittadini, immigrati ed amministrazioni pubbliche.

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Argomenti

  • Diritti umani
  • Razzismo e discriminazioni
  • Rom e Sinti
  • Sicurezza e immigrazione

Fulvio Vassallo Paleologo

Avvocato. Opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo, in collaborazione con diverse Organizzazioni non governative. Fa parte della rete europea di assistenza, ricerca ed informazione Migreurop ed è componente della Campagna LasciateCientrare.
Tra i fondatori dell'Associazione Diritti e Frontiere.

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