Nello stesso giorno nel quale si è consumata l’ennesima “tragedia dell’immigrazione clandestina” , con morti e dispersi nelle acque del Canale di Sicilia, vicino Malta, giunge notizia di due gruppi di profughi richiedenti asilo Eritrei, circa 200 persone, trattenuti in Libia nei centri di detenzione di Benghasi e Ajdabiya, che sarebbero stati costretti dai militari a firmare una dichiarazione di “rientro volontario” in patria.
Si tratta presumibilmente di giovani fuggiti dall’Eritrea per sottrarsi al servizio militare obbligatorio che in quel paese esiste anche per le donne; persone che se fossero effettivamente rimpatriate subirebbero carcerazione, torture e stupri, come è successo in passato a tanti loro connazionali, internati in diversi campi-lager che il regime eritreo usa per punire chi abbandona il paese per sottrarsi al servizio militare (come documentano i rapporti sulla Libia e sull’Eritrea consultabili nel sito www.fortresseurope.blogspot.com).
Quanto sta avvenendo in Libia getta una luce sinistra sulla pratica del rimpatrio “volontario”, che molti paesi ed alcune organizzazioni internazionali considerano come un utile strumento per fronteggiare la cd. immigrazione clandestina.
Quando si è detenuti da regimi dittatoriali e sottoposti ad ogni genere di abusi è assai facile che anche il “consenso” al rimpatrio venga estorto con la violenza e l’intimidazione.
Sono migliaia i migranti che la Libia, buona alleata del regime dittatoriale eritreo, ha rispedito nelle mani della polizia e dell’esercito dai quali erano fuggiti. Negli anni 2004 e 2005 una parte dei rimpatri, che la Libia effettuava in diversi paesi di origine, è stata anche finanziata dal governo italiano, presieduto anche allora da Berlusconi, poi nel marzo del 2006 alla vigilia delle elezioni, questi aiuti erano stati sospesi.
Da alcuni mesi, da parte delle autorità libiche, è ripresa una politica sistematica di violenze arbitrarie, arresti ed espulsioni a danno dei migranti irregolari presenti in Libia e in particolare dei potenziali richiedenti asilo eritrei.
Forse non si tratta solo di una coincidenza. Occorre ricordare che, proprio alla fine dello scorso anno, la Libia e l’Italia hanno sottoscritto un accordo di collaborazione che prevede la presenza di agenti di collegamento italiani in territorio libico, anche a scopo di “formare” la polizia di frontiera libica, ed un maggiore impegno di Gheddafi nell’arrestare i migranti irregolari in transito da quel paese verso l’ Europa.
Sullo sfondo il ruolo sempre oscuro delle missioni Frontex nel canale di Sicilia, l’ultima delle quali, la missione Nautilus III, partita da Malta il 18 maggio, dopo settimane di polemiche sulle regole di ingaggio e continui rinvii per ragioni organizzative, non ha prodotto significativi risultati, né ha contribuito al salvataggio di una sola vita umana in mare. Ancora più oscuro il ruolo degli ufficiali di collegamento italiani presenti nel territorio libico per collaborare con la polizia di quel paese, apparentemente, per quanto risulta dai documenti ufficiali, per compiti formativi.
Le intese bilaterali Italia-Libia – anche se non si sono concretizzate le diverse forme di pattugliamento congiunto e di interdizione delle acque libiche al limite delle acque internazionali, in quanto le sei motovedette della Guardia di Finanza originariamente previste erano ben poca cosa rispetto all’estensione delle coste libiche – hanno tuttavia prodotto dei risultati sulla terraferma, in Libia e nelle stanze di governo, con un rapporto di formale collaborazione tra Gheddafi e il governo italiano. Fino all’ultimo viaggio di Berlusconi a Tripoli, però, il leader libico non ha mai mancato di alzare il prezzo dello scambio migranti- affari- vantaggi politici. E questo accordo ancora incompiuto nella sostanza ( economica), insieme con l’asse privilegiato tra la Libia e l’Eritrea che può spiegare la triplicazione degli sbarchi in Sicilia, ed allo stesso tempo il blocco degli arrivi degli Eritrei dalla Libia.
I risultati della più recente evoluzione dei rapporti tra l’Italia, la Libia e l’Eritrea, nel corso del 2008, sono percepibili anche esaminando le componenti di migranti che arrivano a Lampedusa e in Sicilia, o più spesso vengono salvati dalla nostra marina nelle acque del Canale di Sicilia.
Colpisce il dato che rispetto al 2007 sono aumentati gli arrivi di richiedenti asilo altre nazionalità, i somali in particolare, ma sono quasi “scomparsi” gli eritrei.
“Scomparsi” appunto, nei lager costruiti dalla Libia anche nel deserto, con l’aiuto finanziario di alcuni stati europei, luoghi dai quali se si esce vivi si viene riconsegnati ai torturatori del paese dal quale si è fuggiti, o alle organizzazioni criminali, spesso colluse con le stesse forze di polizia, che gestiscono il traffico di esseri umani sulla rotta dal Niger al Mediterraneo. E tanti altri, soprattutto se sono cristiani come la maggior parte degli eritrei, rischiano di finire abbandonati ai margini di una pista nel deserto. Recenti testimonianze confermano la condizione disumana dei migranti eritrei, e di altri potenziali richiedenti asilo, in Libia, in Niger e negli altri paesi di transito (si rinvia per questo al sito www.fortresseurope.blogspot.com).
Quanto sta avvenendo in questi mesi in Libia e la vicenda in corso in queste ore a Benghasi e ad Ajdabia, dove i richiedenti asilo eritrei rischiano i essere costretti a fare ritorno nel proprio paese, sono frutto di una moltiplicazione dei fronti della “guerra all’immigrazione clandestina”, una guerra che si estende ben al di là dei confini europei e coinvolge sempre più spesso, come vittime, richiedenti asilo, donne, minori. Le politiche comunitarie, sotto la direzione del Commissario europeo Frattini fino a pochi mesi fa, ed adesso la politica estera italiana, stanno privilegiando il ruolo delle dittature nordafricane, dall’Egitto alla Tunisia ed alla Libia per contrastare l’immigrazione clandestina, esternalizzando le pratiche di arresto e di detenzione, all’interno di logiche di scambio commerciale e politico che non garantiscono certo i diritti fondamentali della persona. E di questo se ne è accorto anche il Consiglio di Europa, con il recentissimo rapporto Hammerberg, che ha duramente criticato l’Italia per i rimpatri forzati in Egitto e Tunisia. Per questa ragione sono ancora più infondate le reazioni isteriche di Maroni di fronte ad un rapporto che si basa su fatti precisi e su decisioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e del parlamento Europeo alle quali l’Italia non si è conformata. Alla fine cadono le menzogne dei politici e rimangono soltanto i cadaveri dei migranti periti durante le traversate o nei deserti africani.
Qualche volta sembra persino una colpa che un padre dichiari di essere stato costretto a gettare a mare i propri figli. O almeno così si insinua nei verbali di un commissariato di polizia. Una “presunzione di colpevolezza” che non si risparmia neppure a chi ha perduto gli affetti più cari ed è comunque sopravvissuto ad una tragedia immane. Per la maggior parte degli italiani, questi morti non si mettono neppure in dubbio, ma sembrano solo modesti “effetti collaterali” della “guerra all’immigrazione illegale”. La sicurezza e l’ordine pubblico innanzitutto, anche a scapito dei rischi per la vita e la dignità di uomini e donne che si continua a definire “clandestini”, solo perché la traccia dei loro corpi martoriati e delle loro sventure scompaia più rapidamente dalla coscienza di una opinione pubblica ormai orientata, dalle istituzioni dominanti e dai mezzi di informazioni al loro servizio, verso la xenofobia e il razzismo.
Non vorremmo adesso che l’Italia, sull’onda dei provvedimenti liberticidi già approvati con i vari pacchetti sulla sicurezza e con la dichiarazione dello stato di emergenza per l’immigrazione, adotti nuovi accordi di riammissione con la Libia, dopo che la Relazione Hammerberg del Consiglio d’Europa ha messo sotto accusa la politica degli accordi di riammissione conclusi dall’Italia con paesi come la Tunisia e l’Egitto, che non garantiscono il rispetto dei diritti umani dei migranti, a partire dal diritto di chiedere asilo.
Bisogna chiedere conto alla Libia delle condizioni di detenzione dei migranti che arresta “per conto” degli Stati Europei con i quali ha concluso accordi di collaborazione. Chiediamo al Governo italiano, all’Organizzazione mondiale delle migrazioni, alle organizzazioni internazionali che hanno una rappresentanza in Libia, alle associazioni italiane come il CIR, pure presenti in Libia, di assumere tutte le iniziative possibili per salvare la vita dei richiedenti asilo eritrei che sono a rischio di essere rimpatriati nel loro paese, come se avessero chiesto volontariamente di farvi rientro, in realtà sotto un vero e proprio rimpatrio forzato sotto la minaccia delle forze di polizia libiche e con la prospettiva certa di finire in un centro di detenzione eritreo e li di essere sottoposti a torture e ad ogni genere di trattamento disumano e degradante.