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Reportage da Borgo Mezzanone: continua il viaggio nei Cpa

Le ultime cinquanta tende le hanno montate la settimana scorsa. Adesso la tendopoli occupa un paio dei sette chilometri della pista d’atterraggio del vecchio aeroporto militare di Ortanova. Le tende, di sei metri per sei, sono 91. E ospitano metà dei richiedenti asilo presenti al Centro di prima accoglienza di Borgo Mezzanone, a Foggia. Ma al momento della nostra visita, alle undici di questa mattina, le tende erano semivuote. Nonostante il telo ombreggiante infatti, il sole di agosto rende impossibile rimanere sotto le tende quando il sole è alto. Come gli altri centri di prima accoglienza, da Borgo Mezzanone si può uscire dalle 8:00 alle 22:00 e così ogni ora, un centinaio di uomini e donne si pigiano uno contro l’altro sull’autobus di linea che collega il centro alla stazione di Foggia. In data 8 agosto gli ospiti del centro sono 1.020, di cui 546 nelle tende. In ogni tenda ci sono da sei a otto letti. Materassini in gommapiuma e lenzuola monouso che – dicono gli ospiti – vengono cambiate ogni 15 giorni anziché ogni settimana, come previsto dalla convenzione tra la Prefettura e l’ente gestore: la Croce rossa italiana.

Nonostante ripetute richieste, la direttrice del centro, Giuliana Valleri, si rifiuta di fornire dati sulle nazionalità e sul numero di donne e nuclei familiari. E ci impedisce di visitare le tende e i container per più di cinque minuti, adducendo problemi di sicurezza. Ma il tempo è sufficiente per verificare che in ogni container dormono da otto a dodici persone. Su letti a castello, ma anche su materassi buttati per terra. Alcune persone lamentano che nei loro container l’aria condizionata è rotta e che nonostante le segnalazioni nessuno l’ha ancora aggiustata. Musa, ivoriano, è a Borgo Mezzanone da oltre sei mesi. Il suo è un caso Dublino. È arrivato in Europa in aereo, con un visto turistico per il Belgio. E dopo aver chiesto asilo a Bruxelles, è venuto a chiederlo in Italia. Dice di non sapere che fine abbia fatto la sua domanda. Nessuno gli ha mai parlato dell’unità Dublino. Musa non è il solo a lamentare una totale disinformazione.

Mamadou, nigerino, è arrivato al centro domenica scorsa. In cinque giorni ancora nessuno – dice – gli ha spiegato quali sono i suoi diritti e doveri, qual è il suo status, come chiedere l’asilo. Gli hanno soltanto fatto la visita medica e dato un cartellino identificativo. Non ha ricevuto nessuna nota informativa tradotta in francese, inglese o arabo. “Chiediamo a chi sta qui da più tempo – dice – cerchiamo di arrangiarci”. Hussein invece è al centro da 40 giorni. È sbarcato a Lampedusa alla fine di giugno. Dice che il problema sono i ricorsi, che non c’è assistenza legale e che gli avvocati esterni chiedono 300 o 400 euro per presentare i ricorsi.

Effettivamente la Croce rossa italiana non prevede un servizio di assistenza legale, come altri enti gestori fanno. C’è solo la Caritas che due volte a settimana provvede un servizio di orientamento legale, mettendo in contatto gli ospiti con alcuni avvocati esterni di riferimento. Ma è evidente la scarsità delle risorse in un centro da dove, nel solo 2007, sono transitate oltre 3.000 persone.
Hussein mi espone il problema dei dinieghi nella sala d’attesa dell’infermeria. Insieme a lui sono seduti una ventina tra uomini e donne. Aspettano il proprio turno per la visita. L’ambulatorio è aperto 24 ore al giorno. Eppure, in 40 giorni, Hussein non ha ancora risolto il suo problema. Ha forti dolori all’addome. L’hanno portato all’ospedale per una visita ma non gli hanno trovato niente. E le sue continue richieste per una seconda visita non stanno dando esito positivo.