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Nuovi poteri ai sindaci e commento alla Sentenza della Corte di Giustizia delle comunità europee C/127/8 del 25 luglio 2008

Matrimoni e richiesta di esibizione del permesso di soggiorno

a cura dell' Avv. Marco Paggi

La politica dell’attuale governo va nel senso dell’incremento dell’allarme sociale e nell’introduzione di sempre maggiori restrizioni, anche di carattere draconiano, rispetto alla condizione giuridica dello straniero.
Le prime ricadute del cosiddetto pacchetto sicurezza, convertito in legge con la legge 125 del 25 luglio scorso, si registrano a partire dai matrimoni tra cittadini italiani o cittadini comunitari e cittadini extracomunitari.

Il pacchetto sicurezza prevede che il sindaco segnali all’autorità di polizia la posizione di cittadini extracomunitari non legalmente soggiornanti. La formulazione della norma, molto semplice, sembra far pensare che in effetti il sindaco sia tenuto a segnalare la condizione irregolare dei cittadini stranieri di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni. Tra le funzioni del sindaco bisogna intendere le funzioni dell’amministrazione comunale ivi compreso l’ufficio di stato civile che celebra i matrimoni e che riceve richiesta di pubblicazione. Sembra quindi che la norma sia formulata per attribuire al sindaco, non tanto una facoltà, bensì un dovere.

Naturalmente la giurisprudenza, la magistratura, devono ancora occuparsi dell’interpretazione di questa norma di fresca introduzione nel nostro ordinamento e quindi staremo a vedere quale sarà l’orientamento circa il carattere più o meno vincolante di questo dovere o facoltà del sindaco di segnalare la condizione di irregolarità all’autorità di polizia, con ovvia conseguenza di promuovere l’emanazione di un provvedimento di espulsione e la sua esecuzione, se non anche sanzioni penali nei confronto di coloro che abbiano già ricevuto un provvedimento di espulsione e non vi abbiano ottemperato.
Questa norma sembra concretamente impedire la formalizzazione del matrimonio perchè è fin troppo chiaro che, essendo necessaria la richiesta di pubblicazione, prima della celebrazione del matrimonio, già a partire dal quel momento, con largo anticipo, l’amministrazione comunale verrebbe a conoscere la condizione irregolare di uno o di entrambi i futuri coniugi.

Dal punto di vista della funzione di stato civile, non vi è una legge specifica che imponga all’ufficiale di stato civile di verificare la regolarità di soggiorno dei richiedenti; egli dovrebbe limitarsi a verificare che i richiedenti siano legittimati dalla legge, richiedendo il nullaosta al matrimonio, rilasciato dalle autorità competenti del paese di provenienza, in caso di cittadini stranieri.
Il senso di ciò che si voleva realizzare con l’introduzione di questa norma sembra proprio l’esatto opposto, cioè quello di mettere in condizione gli stranieri di non richiedere le pubblicazioni e quindi la celebrazione del matrimonio ad un ufficiale di stato civile italiano per timore di dover esibire il permesso di soggiorno di cui eventualmente non fossero in possesso.
Un’ interessante domanda riguarda la celebrazione del matrimonio con rito cattolico, che ha un valore automatico anche ai fini civili, ci si chiede se questo eventuale passaggio, quello della richiesta del permesso di soggiorno, possa considerarsi evitato o evitabile, considerando che il sacerdote celebrante svolge funzioni di ufficiale di stato civile in quella sede e quindi è fortemente dubbio se egli debba rispettare quest’obbligo che incombe al sindaco, se debba invece semplicemente segnalare al sindaco la circostanza, oppure se si debba ritenere che egli stesso sia obbligato a segnalare la situazione all’autorità di sicurezza.
E’ difficile immaginare che i sacerdoti e tutti i funzionari di diverse religioni autorizzati a celebrare matrimoni religiosi con effetti civili accettino serenamente questo genere di incombenza. Certo è che, in questo modo, si intende fare terra bruciata intorno agli stranieri in condizione irregolare impedendo loro l’esercizio di un diritto fondamentale della persona riconosciuto a tutti gli esseri umani.
Il legislatore ha posto, non un divieto incrollabile esplicitamente legato al matrimonio ma un serio e gravissimo ostacolo all’esercizio di questo diritto fondamentale sancito nell’ordinamento italiano ed internazionale.

Quello che incuriosisce è che, quasi contemporaneamente, una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee, del 25 luglio 2008 nel procedimento C127/08, si è pronunciata su una questione in qualche modo legata a questa, cioè sul diritto di ingresso e di soggiorno del coniuge extra-comunitario del cittadino dell’Unione Europea anche a fronte dell’esistenza di un matrimonio che può essere stato celebrato precedentemente o che può anche essere celebrato successivamente all’ingresso del territorio in cui lo straniero extra-comunitario si trova a soggiornare illegalmente.

Con questa sentenza la Corte Europea si è pronunciata su quattro distinti ricorsi promossi da altrettante coppie miste contro il governo dell’Irlanda, che aveva negato il diritto di soggiorno ai coniugi extra-comunitari di cittadini europei, che avevano contratto matrimonio in Irlanda quando già soggiornavano in condizione di irregolarità e che in due casi erano già stati raggiunti da provvedimenti di espulsione.

Si trattava di migranti entrati irregolarmente che, successivamente al loro ingresso nella Repubblica Irlandese, avevano contratto matrimonio con cittadini irlandesi e quindi intendevano beneficiare, in base allo status giuridico più favorevole della normativa che regola la circolazione dei comunitari e dei loro familiari in base alla Direttiva 38 dell’Unione Europea, del diritto di ottenere la carta di soggiorno per familiari extra comunitari di cittadini comunitari.

Con questa sentenza la Corte Europea specifica che il diritto alla libera circolazione dei familiari di cittadini comunitari deve trovare applicazione a prescindere dal luogo e dalla data del matrimonio del cittadino di un paese terzo con il cittadino comunitario e anche a prescindere dalle modalità anche irregolari secondo cui ha fatto ingresso nello stato membro ospitante.
Secondo la Corte di Giustizia europea, appare discutibile ogni normativa nazionale che subordini l’accesso alla carta di soggiorno per il familiare di cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso o del suo soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello stato membro ospitante.
La Corte di Giustizia sottolinea che l’eventuale irregolarità del soggiorno, o dell’ingresso nello Stato membro, potrà essere sanzionata con misure proporzionate, quali ad esempio le misure pecuniarie, che però non incidono sull’esercizio del diritto della libertà di soggiorno, salvo i casi in cui vi sia una pericolosità per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico accertata, che renda legittima una procedura di allontanamento.

Questa sentenza della Corte di giustizia dovrebbe produrre importanti conseguenze per quanto riguarda l’Italia con ricadute sull’efficacia dell’applicazione della legislazione recentemente adottata. Ci riferiamo al Decreto Legislativo 30/2007 come modificato dal successivo Decreto Legislativo 32.
Si tratta infatti di un problema che riguarda moltissime persone, non solo cittadini extracomunitari coniugi di cittadini comunitari, ma anche cittadini extracomunitari coniugi di cittadini italiani.
Ricordiamo infatti che l’articolo 23 del D.Lgs 30/2007 ha esteso l’applicazione di tutta la normativa sulla libertà di circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari anche ai familiari dei cittadini italiani quindi lo stesso diritto di libertà di circolazione e stabilimento che è riconosciuto al familiare extracomunitario di cittadino comunitario che si sposta in Italia è riconosciuto anche al familiare extracomunitario del cittadino italiano che rimane in Italia.
A questo riguardo segnaliamo che nel caso di familiari extracomunitari coniugati con cittadini italiani la prassi delle questure è nel senso di non riconoscere il rilascio della carta di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini comunitari italiani nel caso in cui si tratti di cosiddetti “clandestini”, cioè di persone che sono entrate o soggiornano irregolarmente nel territorio dello Stato.
Le questure adottano un’interpretazione, che finora non è stata sottoposta al vaglio della giurisprudenza, in base alla quale si ritiene che il familiare extracomunitario di cittadino italiano con esso convivente non abbia il diritto di ottenere la carta.

In realtà questa sentenza dovrebbe imporre all’amministrazione Italiana di uniformarsi al principio interpretativo enunciato e di rilasciare, in luogo del permesso di soggiorno dell’art 19, la vera e propria carta di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini italiani o comunitari. E questo anche quando si tratti di persone che sono entrate irregolarmente nel territorio dello Stato e che hanno contratto matrimonio pur essendo in condizioni di soggiorno irregolare.
D’altra parte la formulazione del D.lgs 30/2007, che a questo riguardo è stato modificato dal successivo D. lgs 32, lascia spazio ad una corretta applicazione di questi principi.
Invero l’art. 5 del D. lgs 30 prevede che il familiare extracomunitario di cittadino comunitario o italiano abbia diritto di ingresso e stabilimento nel territorio nazionale previa richiesta del visto di ingresso nel caso sia prescritto, come generalmente stabilito dalle convenzioni.
Ma che cosa succede se il familiare entra senza visto e quindi irregolarmente?
Le questure lo considerano come irregolare e quindi dicono affermano di non poterlo trattare come un familiare di cittadino italiano o comunitario entrato regolarmente, per questo motivo non concedono la carta di soggiorno.
In realtà l’art. 5, nell’ultima parte, prevede che, in ogni caso non può essere disposto il respingimento alla frontiera del familiare extracomunitario che, pur sprovvisto del visto di ingresso, dimostri entro 24 ore, in base a documenti inequivocabili, l’esistenza del legame di matrimonio o di parentela con il cittadino comunitario o italiano. In altre parole l’art. 5 stabilisce la regola generale per cui è necessario il visto di ingresso, ma stabilisce altresì una regola altrettanto generale per cui l’irregolarità costituita dalla mancanza del visto di ingresso è sanabile di fronte alla dimostrazione, tramite documentazione, dell’esistenza inequivocabile di un vincolo familiare.

Per esempio, se una cittadini ecuadoriana avesse il marito italiano ed arrivasse alla frontiera aeroportuale di Milano Malpensa sprovvista di visto di ingresso, non potrebbe essere respinta nel caso in cui porti con sé documentazione valida per la legislazione italiana, ad esempio certificato di matrimonio tradotto e legalizzato presso l’autorità consolare, in grado di dimostrare di essere la congiunta di un cittadino italiano.

Se questa norma, limitata al momento dell’ingresso alla frontiera, prevede questa possibilità di sanare l’irregolarità amministrativa, a maggior ragione dovrebbe valere per chi è all’interno del territorio e può dimostrare, con documentazione inequivocabile, l’esistenza del vincolo familiare. D’altra parte la formulazione di questa norma, così interpretata e letta, è pienamente compatibile con i principi affermati recentemente dalla Corte di Giustizia e quindi con il diritto, non assoggettabile ad automatiche esclusioni come si pretenderebbe, dei familiari extracomunitari di cittadini comunitari o italiani di circolare e soggiornare liberamente all’interno dell’UE unitamente ai loro familiari, esercitando le prerogative riconosciute dal D. lgs 30 e prima ancora dalla Direttiva 38/03/CE, inoltrando la richiesta del rilascio della carta di soggiorno di familiari extra comunitari di cittadini comunitari o italiani.

Alla luce di questa sentenza della Corte di Giustizia sarà più facile il lavoro di chi proporrà un ricorso avanti all’autorità giudiziaria ordinaria nel territorio italiano per rivendicare il rilascio della carta di soggiorno in luogo del permesso di soggiorno ex art. 19 del D.lgs 286/1998 che le questure rilasciano in questi casi.

Da un lato vi è questa sentenza che riafferma un principio che sembrava sacrosanto ma che era stato messo in discussione dall’applicazione delle questure attraverso una prassi chiaramente contrastante con le norme in vigore (D lgs. 30 del 2007) e quindi dovrebbe permettere, quanto meno a coloro che sono coniugati con cittadini comunitari o italiani, di risolvere il problema. Dall’altro vi è però la nuova normativa recentemente introdotta (D. lgs. 32 2008) che dispone una facoltà, o forse un obbligo, da parte del sindaco, di segnalare alle autorità di polizia la posizione irregolare degli stranieri.
Vi è un contrasto tra questi due aspetti.
Se il matrimonio è già stato celebrato, con cittadino italiano o comunitario, l’effetto sanante non dovrebbe, dal punto di vista della posizione del soggiorno, essere più messa in discussione.
Dall’altra parte invece, per coloro che ancora non sono sposati, la possibilità di incappare nei provvedimento di espulsione è sempre più vicina e prossima alla certezza. Anche se rimane aperta la possibilità di sollevare la questione di legittimità della norma in rapporto alle diverse normative ed ai principi dell’ordinamento nazionale ed internazionale.

La situazione, alla luce di questa sentenza della Corte di Giustizia, sembra veramente paradossale, quanto meno con riferimento ai cosiddetti matrimoni misti cioè ai matrimoni tra cittadini extracomunitari e cittadini comunitari o cittadini italiani.
Da un lato, l’amministrazione, il sindaco, non può certo rifiutarsi di celebrare il matrimonio, ma è chiaro che, di fronte alla prospettiva fin troppo evidente della contestuale segnalazione che potrebbe partire già dal momento della richiesta di pubblicazione (che deve essere fatta almeno dieci giorni prima della data prevista per la celebrazione del matrimonio) il rischio di essere rintracciati e colpiti dal provvedimento d’espulsione diventa sempre maggiore.

C’è da augurarsi che gli interessati alla celebrazione del matrimonio non siano costretti a sotterfugi, come ad esempio celebrare un matrimonio all’estero per poi far valere il diritto in Italia. Dall’altra parte c’è da augurarsi anche che la tempistica non sia sempre così coincidente e che quindi, tra il momento della segnalazione, il momento in cui questa previene all’autorità di polizia, e il momento in cui l’autorità di polizia reagisce alla segnalazione intervenendo, non ci sia tempo sufficiente per reprimere l’esercizio del diritto a formare una famiglia.
Ma anche questo probabilmente dipenderà molto dalle prassi locali. Non abbiamo difficoltà ad immaginare come alcuni sindaci o ufficiali di stato civile non si faranno attendere nell’effettuare queste segnalazioni quanto prima peri ottenere l’effetto, voluto, di impedire di fatto la celebrazione di un matrimonio o di esporre chi si accinge a celebrare un matrimonio ad un provvedimento di espulsione prima della sua celebrazione.

Con questo non si vuole negare l’esistenza di casi, che riteniamo comunque essere assolutamente marginali, di matrimoni di comodo, contratti tra un cittadino italiano ed una cittadina straniera, o vice versa, per garantire allo straniero senza permesso di soggiorno un soggiorno stabile, una vita più sicura, a prescindere dalla effettiva esistenza di un vincolo affettivo e matrimoniale tra i due.
Ci sono stati senz’altro casi di questo genere, ma è impossibile sostenere che si tratti di una casistica veramente rilevante rispetto alla quantità di matrimoni misti. Dall’altra parte, pensare di impedire questi eventuali abusi, inibendo la possibilità a tutti coloro interessati al matrimonio, che intendano realmente sposarsi, che vogliono esercitare un diritto fondamentale, sembra veramente una cosa paradossale.

La legge già prevede che, nel caso di matrimonio tra cittadino italiano e cittadina straniera o vice versa vi sia comunque una serie successiva di accertamenti atti proprio a verificare l’effettività della convivenza tra i coniugi e quindi la veridicità del vincolo matrimoniale. In questi casi, qualora non vi sia un’effettiva convivenza tra marito e moglie (salvo che nascano bambini) vi può essere, nella legittima applicazione della legge, la revoca del permesso di soggiorno ottenuto a seguito del matrimonio. Quindi, visto che esistono già gli strumenti per sanzionare gli abusi e che peraltro questi strumenti, com’è noto, sono utilizzati (le autorità di polizia svolgono controlli sistematici sulle cosiddette coppie miste laddove uno dei due si sia regolarizzato attraverso il matrimonio), non è comprensibile questa ulteriore disposizione che in realtà impedisce tutti i matrimoni, non solo quelli abusivi o quelli di comodo.