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Permesso di soggiorno a punti – Il commento alla proposta leghista

a cura dell'Avv. Marco Paggi

La proposta presentata dalla Lega Nord di introdurre una regolamentazione del permesso di soggiorno in base ad un sistema di punteggio dovrebbe persino essere, secondo alcuni, un sistema premiale o disincentivante di determinati comportamenti.
Le prime opinioni sull’argomento, anche sulle stampa italiana, come spesso succede nella politica italiana, sono state spese al buio, cioè senza avere la minima idea di cosa si intendesse per permesso a punti.
Qualcuno ha anche ipotizzato che questa possa essere una buona idea perché potrebbe avere un effetto positivo, cioè una graduazione degli incentivi e dei disincentivi, che, se calibrata nella giusta direzione, potrebbe costituire uno stimolo per gli immigrati all’integrazione.

L’art 18-bis proposto dalla Lega Nord ed intitolato Accordo di Integrazione per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno propone di aggiungere all’articolo 4 del decreto legislativo 286/98, il Testo Unico sull’immigrazione, un articolo 4 bis che recita: “ai fini di cui alla presente legge si intende per integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri nel rispetto dei valori sanciti dalla costituzione italiana impegnandosi reciprocamente a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società”.
Una volta data la definizione di integrazione, anche se sulla definizione di integrazione la sociologia si spreca, ci viene proposta l’idea concreta dell’emendamento.

Si prevede che, contestualmente alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno, in base all’art 5, il cittadino straniero sottoscrive un accordo di integrazione articolato per crediti e si impegna a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno nel rispetto di una serie di condizione che poi vengono indicate: è chiaro fin da subito quindi che, già a partire dal primo ingresso in Italia, lo straniero dovrebbe impegnarsi alla sottoscrizione di questo accordo di integrazione per poter ottenere dei crediti e quindi, se non dovesse sottoscrivere tale accordo, non riceverebbe, nonostante il nullaosta all’ingresso per motivi di lavoro, rilasciato a seguito delle procedure regolate dal decreto flussi, non riceverebbe il permesso di soggiorno.

Le condizioni che sono poste in sede di sottoscrizione di questo accordo di integrazione, prevedono l’attribuzione di 10 crediti al cittadino straniero in possesso dei seguenti requisiti:
– livello adeguato di conoscenza della lingua italiana (certificato in rapporto agli standard minimi definiti nel quadro di riferimento europeo comune per le lingue del Consiglio d’Europa);
– adesione alla carta dei valori della cittadinanza dell’integrazione di cui al decreto del Ministero degli Interni 23 aprile 2007;
– conoscenza basilare delle regole fondamentali dell’ordinamento giuridico il cui rispetto costituisce un presupposto indispensabile per la convivenza pacifica.

Dobbiamo allora immaginare che l’interessato, per ottenere i primi dieci punti, appena giunto in Italia, o meglio, per ottenere il permesso di soggiorno, dovrebbe dimostrare un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana. Dobbiamo quindi immaginare che debba sostenere un esame o una qualche prova o che comunque debba, probabilmente a proprie spese, dimostrare di avere un’adeguata conoscenza della lingua italiana.
Poi dovrà sottoscrivere questa carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione di cui al decreto del Ministero degli Interni 23 aprile 2007: in questo caso si dovrà firmare un documento quindi non dovrebbe costare nulla.
Per quanto riguarda il terzo punto, cioè la conoscenza basilare delle regole fondamentali dell’ordinamento giuridico il cui rispetto costituisce un presupposto indispensabile per la convivenza pacifica, si tratterebbe presumibilmente, anche in questo caso, di un esame.

Queste sarebbero le condizioni per avere il permesso di soggiorno: come minimo uno o due esami con preparazione ed attestati relativi, possibilmente a spese dell’interessato, appena arrivato in Italia, come se chi, appena arrivato in Italia a seguito del decreto flussi, non abbia altro a cui pensare.
Immaginiamoci per esempio una badante che, dopo un percorso rocambolesco, riesca ad entrare dalla porta principale e che invece di cominciare a lavorare ed avviare le pratiche per il rilascio del permesso di soggiorno, debba preoccuparsi dell’esamino di lingua italiana e di conoscenza delle regole fondamentali dell’ordinamento giuridico.

Ma non è tutto.
All’atto del rinnovo del permesso di soggiorno, il cittadino straniero può incrementare i crediti attribuiti al momento dell’ingresso. I 10 crediti potranno essere incrementati al momento del rinnovo. Questo potrà avvenire attestando tre requisiti:
– la mancanza per un periodo di due anni di violazioni di una norma di comportamento per cui derivi una decurtazione dei crediti;
– il superamento di un corso atto a verificare il livello di integrazione sociale e culturale del cittadino straniero ed il raggiungimento degli obiettivi sottoscritti (naturalmente dubitiamo che tutto ciò avvenga a spese dello stato come la parte finale della proposta spiega bene);
– un livello adeguato di partecipazione economica e sociale alla vita della comunità nazionale e locale (come se i livelli adeguati di reddito minimo non fossero già stabiliti dalla legge con riferimento all’importo annuo dell’assegno sociale).

Attenzione: i crediti assegnati ad ogni cittadino straniero ai sensi delle lettere a e b, cioè i crediti assegnati al rilascio ed al rinnovo del permesso di soggiorno, subiscono delle decurtazioni in misura proporzionale alla gravità dell’infrazione commessa, in caso di:
– condanna per violazione di una delle norme del codice penale non soggetta all’ordine di espulsione del giudice;
– illeciti amministrativi (non meglio precisati);
– illeciti tributari (non meglio precisati).

Nel caso in cui le decurtazioni previste dalla lettera c comportino una riduzione dei crediti a un numero inferiore a 5, i cittadini si sottopongono a corsi di integrazione (si sottopongono o vengono sottoposti) volti a coinvolgere lo straniero in attività socialmente utili, una norma alquanto vaga nella sua formulazione.
Poi nel caso in cui le decurtazioni di cui alla lettera c portino all’azzeramento dei crediti è disposta la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero dal territorio dello stato, eseguita dal questore secondo le modalità previste dal Testo Unico .

Il punteggio attribuito ai cittadini stranieri poi, ai sensi del comma precedente, viene annotato sul permesso di soggiorno elettronico. La norma prosegue prevedendo che la stipula dell’accordo integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno e poi precisa che, il Ministero dell’Interno, col proprio decreto da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ben inteso, in questo momento si tratta ancora di una proposta di legge, definisce con apposite tabelle i criteri per l’assegnazione, l’incremento e la decurtazione dei crediti nel rispetto del principio di proporzionalità stabilito al comma 2 lettera c.
In realtà il comma 2 lettera c non prevede un criterio di proporzionalità, prevede un principio di proporzionalità che poi sarà discrezionalmente definito con questo apposito decreto del Ministero dell’Interno. Il Ministero dell’Interno, poi, sempre entro 60gg dovrà, sentiti il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali stabilire con l’apposito decreto i criteri per il rilascio delle attestazioni atte a certificare la conoscenza della lingua italiana ai sensi del comma 2 punto 1, nonché i programmi e le modalità di svolgimento dei corsi di integrazione di cui al coma 2 punto b2.

In altre parole bisognerebbe votare, secondo la Lega Nord, una legge a scatola chiusa e poi attendere di scoprire quali saranno i criteri di proporzionalità che il Ministero ritiene di adottare, quali saranno i programmi, le modalità di svolgimento dei corsi di integrazione e soprattutto le condizioni in cui questi corsi dovrebbero essere svolti.

L’ultima parte, quella prevista dal comma 6 di questo articolo 4bis specifica una questione di non poca rilevanza.
Dice: allo svolgimento delle attività connesse alla sottoscrizione, attuazione e verifica dell’accordo di integrazione si provvede a valere sulle risorse umane, finanziarie e strumentali preposte all’espletamento delle funzioni relative al rilascio e rinnovo del premesso di soggiorno.
Si tratta ad un’espressione eufemistica per dire in parole povere che questa norma, con tutto questo complesso sistema di gestione di punti, di corsi e di prove d’esame, dovrebbe essere gestita a costo zero.
Gli uffici preposti al rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero gli uffici stranieri delle questure dovrebbero, come se non avessero già nulla da fare, occuparsi anche di tutto questo processo complesso che prevede una continua contabilità, per ogni individuo, con riferimento ai diversi aspetti che hanno a che fare con il diritto amministrativo, con esami di lingua italiana con corsi di integrazione ecc. Già questo basterebbe per considerare questa proposta assolutamente inapplicabile dal punto di vista pratico, amministrativo ed in termini di economia.

Ma sorge spontanea una domanda: se lo straniero si comporta benissimo, ottiene subito i primi dieci punti, ne ottiene altri – non è esplicitato quanti – in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno, se supera un altro esame atto a verificare l’integrazione sociale e culturale, se dimostra – anche qui non si conoscono ii criteri – un livello adeguato di partecipazione economica (non sappiamo per esempio se un lavoratore interinale, si considera socialmente ed economicamente inserito nella comunità e se, secondo il legislatore, abbia un livello adeguato di partecipazione economica e sociale nella vita della comunità nazionale), che vantaggi trae da questo sistema? Dove starebbe il meccanismo premiale o incentivante? A cosa possono servire i punti accumulati?
Non se ne farebbe assolutamente nulla, potrebbe avere la piccola, magrissima soddisfazione di accumulare tanti punti per poi giocarseli tutti in una volta togliendosi lo sfizio di commettere qualcuna delle violazione o dei comportamenti screanzati individuati dal Ministero dell’Interno come idonei a togliere.
Ricordiamo che a suo tempo la legge Martelli prevedeva un meccanismo premiale molto più semplice, facile da amministrare ed efficace soprattutto, nei confronti degli stranieri, come disincentivo rispetto all’attuazione di comportamenti anti-sociali. Si prevedeva che lo straniero che avesse tenuto una condotta regolare durante il primo permesso di soggiorno, al momento del rinnovo, avrebbe ottenuto un permesso per una durata doppia del precedente. Ed ecco che quindi, a quei tempi, quando c’erano sicuramente meno migranti in Italia e gli uffici non erano intasati di pratiche, si era prodotto uno snellimento dell’attività degli uffici stranieri delle questure ed al tempo stesso un incentivo nei confronti degli stranieri. Si premiava una buona condotta con il rilascio del permesso di soggiorno di durata doppia e quindi con una maggiore stabilità ed un minore assoggettamento agli adempimenti amministrativi che, com’è noto, sono molto complessi e costringono a sopportare tempi di attesa intollerabili.

Una prima presa di posizione è stata assunta dalla UIL in particolare dell’ufficio che si occupa di immigrazione. La proposta del contratto di soggiorno a punti è stata definita letteralmente “indecente in quanto lesiva del diritto dell’immigrato di avere parità di trattamento di fronte alla legge. Le leggi ci sono già per punire chi compie un reato ed eventualmente revocare il permesso di soggiorno a chi ha dimostrato di non meritarlo. Paragonare alla patente il progetto di vita dell’immigrato ne diminuisce il valore di fronte agli altri ed è dunque lesivo della dignità della persona”.“ E’ facile prevedere” – prosegue la nota della UIL – “ l’impossibilità per il nostro apparato burocratico di sostenere questo compito, un apparato che oggi rilascia un rinnovo di permesso dopo un anno anziché dopo i 40 giorni previsti della legge e consegna il nulla osta al lavoro al 10% delle imprese dopo 2 anni come potrebbe amministrare questo sistema di punteggio?”
Rispetto a questa proposta è intervenuta anche una presa di posizione dell’UGL, di analogo contenuto, che esprime fortissime perplessità sull’utilità, sulla possibilità di gestione, sul buon senso di questa iniziativa.

In ogni caso è doveroso sottolineare che in questa proposta non c’è traccia, come abbiamo già detto, di un contenuto premiale, esiste solo un ulteriore sistema sanzionatorio strisciante demandato a valutazioni discrezionali, prima a monte, da parte del Ministero dall’Interno, che dovrebbe stabilire questi criteri e poi da parte degli uffici che dovrebbero applicarli. E’ previsto poi un sistema di corsi e di verifiche che dovrebbe sopportare costi che verrebbero posti a carico dei cittadini lavoratori immigrati che già sono gravati da spese per il normale rinnovo del permesso di soggiorno (70 euro per ogni rinnovo premesso di soggiorno 280 euro per un nucleo familiare composto da padre madre e due figli, per avere il rinnovo del permesso di soggiorno per soli 6 mesi e per attendere ben oltre 6 mesi per ottenere la consegna di un permesso di soggiorno già scaduto nella quasi totalità dei casi.

Sembra fin troppo legittima la preoccupazione che questi corsi relativi all’integrazione siano, nella realtà pratica, forme di indottrinamento coatto, cosa che sortisce raramente risultati positivi, anzi, ci si può aspettare che produca risultati controproducenti.
Perché, visto che siamo il paese col record delle morti sul lavoro, non prevedere invece un sostegno reale, economico e costruttivo per garantire negli ambienti di lavoro, o in collegamento con le aziende, corsi di lingua italiana e soprattutto corsi sulla sicurezza sul posto di lavoro?
L’accesso ai corsi di 150 ore per i lavoratori immigrati è una rarità assoluta, la possibilità per questi lavoratori, al di fuori dell’orario di lavoro e distanti dall’azienda e dall’abitazione, di frequentare corsi di lingua italiana, o anche solo di apprendere le indispensabili norme e misure di sicurezza sul posto di lavoro è assolutamente rara, come d’altra parte anche per i lavoratori italiani.

Le sanzioni, nel Testo Unico, che comportano la perdita del permesso di soggiorno, ci sono già e sono tantissime, la possibilità di perdere il permesso di soggiorno è sempre dietro l’angolo. Per il furto di una bicicletta dal valore ridicolo si perde il permesso di soggiorno: questo è già stabilito dalla legge!
Quali altri comportamenti antisociali dovrebbero provocare la perdita del permesso di soggiorno e mettere in gioco la vita di una intera famiglia, che vive magari da tanti anni in Italia?
E’ previsto che la perdita dei punti avvenga in seguito ad una condanna per violazione di una delle norme del codice penale non soggetta all’ordine di espulsione da parte del giudice (in realtà la condanna per un reato previsto come ostativo dal testo unico sull’immigrazione non comporta l’ordine di espulsione ma la revoca del permesso di soggiorno e la successiva espulsione).
Con questa proposta si vuole prendere in considerazione qualsiasi reato per produrre la perdita del permesso di soggiorno e quindi mettere in gioco l’esistenza e l’intero progetto di una famiglia. Ebbene quali potrebbero essere questi reati fra i tanti, cioè reati per i quali la legge non prevede l’espulsione?
Si tratta di reati, per esempio, punibili con querela di parte, come ad esempio il reato di ingiurie, oppure il reato di schiamazzi notturni, ovvero turbativa della quiete e del riposo delle persone, previsto dall’art. 659 del Codice Penale, oppure un reato ancora più modesto, come l’omessa custodia di animali, cioè il non tenere il cane al guinzaglio, prevista dall’art. 672 del Codice Penale, oppure un reato in cui possono incorrere, oltre agli imprenditori italiani, anche i nuovi imprenditori, spesso commercianti o artigiani stranieri, previsto dall’art. 451 del Codice Penale, ovvero l’omissione colposa di cautele contro l’infortunio sul lavoro, il non aver piazzato un segnale o uno dei tanti segnali obbligatori in materia di antinfortunistica sul lavoro.
Ma perché mai i comportamenti che sono sanzionati in un certo modo per gli italiani non dovrebbero essere sanzionati allo stesso modo anche per i cittadini stranieri?
Le stesse riflessioni valgono anche per le altre ipotesi di perdita dei punti: illeciti amministrativi, illeciti tributari non meglio specificati. Visto che anche il divieto di sosta è un illecito amministrativo, per il cittadino straniero che compie normali violazioni del codice della strada, si dovranno applicare sanzioni come la perdita del permesso di soggiorno per il capo famiglia e di conseguenza per tutti quelli che vivono a suo carico?
Lo stesso dicasi per gli illeciti tributari: non si vede perché i cittadini stranieri debbano rispondere in modo più grave rispetto ai cittadini italiani.

Vedi anche:
Permesso di soggiorno a punti – Proposte leghiste per un razzismo creativo