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Familiare ricongiunto – Regolarità negata dallo Sportello Unico

Ai sensi dell’art. 9 comma 1 ter del Regolamento di attuazione D.P.R. 394/1999 e successive modifiche, “in caso di ricongiungimento familiare, lo straniero, entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio nazionale, si reca presso lo Sportello Unico che, a seguito di verifica del visto rilasciato dall’autorità consolare e dei dati anagrafici dello straniero, consegna il certificato di attribuzione del codice fiscale e fa sottoscrivere il modulo pre-compilato di richiesta del permesso di soggiorno, i cui dati sono, contestualmente, inoltrati alla questura competente per il rilascio del permesso di soggiorno”.

Nella realtà, in molte città accade che quando il familiare – munito di visto di ingresso per motivi di famiglia e di nulla osta al ricongiungimento – si reca allo Sportello Unico rispettando i termini di 8 giorni, non riceve né il certificato di attribuzione del codice fiscale, ne tantomeno sottoscrive il modulo pre-compilato di richiesta di permesso di soggiorno, ma riceve piuttosto un appuntamento di convocazione a distanza di circa sei mesi a cui ripresentarsi per avviare la procedura di richiesta di permesso di soggiorno.
Dai numerosi casi a noi segnalati abbiamo potuto riscontrare che tale modalità rappresenta una vera e propria consuetudine, specialmente per la Prefettura di Bologna, che ammette di non poter anticipare gli appuntamenti perché non riesce a far fronte a tutte le richieste dei ricongiunti.
E’ evidente che si tratta di una palese violazione dei termini prescritti dal Testo Unico sull’Immigrazione e dal relativo Decreto attuativo laddove sono prescritti 8 giorni per la richiesta del permesso di soggiorno e 20 giorni per il rilascio del medesimo.
Il cittadino straniero autorizzato all’ingresso nel territorio per ricongiungimento rimane quindi in una condizione di sospensione dei diritti derivanti dal soggiorno regolare nel territorio dello Stato poiché in questi sei mesi, non essendo in possesso della ricevuta di richiesta del permesso, non può godere di nessuno dei diritti del soggiorno.
La direttiva ministeriale del 20 febbraio 2007 e la circolare del 2 agosto 2007 garantiscono i diritti di soggiorno nei confronti di chi si trova in possesso della ricevuta di richiesta del primo permesso, ma sembrano ignorare che prima di ottenere tale ricevuta la persona non attende 8 giorni, bensì sei mesi. Sei mesi in regime di semi-irregolarità.
In questo lasso di tempo il familiare ricongiunto non può esercitare alcun diritto ed anzi resta in una condizione più simile a quella dello straniero irregolare anziché a quella di colui che ha osservato pedissequamente l’iter per il ricongiungimento familiare: non può essere assunto con un contratto di lavoro, non può iscriversi ad un Centro per l’Impiego per la ricerca di un’occupazione , non può prendere la patente e non può nemmeno essere iscritto all’anagrafe. Nel frattempo il familiare che ha chiesto il ricongiungimento deve provvedere con il proprio reddito al mantenimento di due persone, senza peraltro poter ricevere gli assegni familiari a cui avrebbe pieno diritto, dal momento che senza l’iscrizione anagrafica suo marito, sua moglie o i suoi figli non fanno formalmente parte del suo nucleo familiare.
Nella prassi silenziosa il percorso di integrazione del familiare ricongiunto viene così rimandato di almeno sei mesi, senza contare che, visti i lunghissimi tempi di attesa, nemmeno dopo altri sei mesi egli sarà in possesso di un titolo di soggiorno valido.

Quando tutto il discorso pubblico prodotto sul tema dell’immigrazione si concentra sul dovere di integrazione da parte degli immigrati e sulla necessità che essi rispettino le regole, è possibile che gli immigrati entrati regolarmente siano lasciati per oltre sei mesi in una condizione di irregolarità forzata?
I familiari ricongiunti restano per un tempo insopportabile ed umiliante fantasmi ignorati dai Servizi Anagrafici, appena considerati dal sistema sanitario che rilascia loro un tesserino temporaneo di tre mesi, manodopera in nero perché non assumibili regolarmente. E quando a ricongiungersi sono i figli, questi frequentano la scuola ma non possono usufruire dei servizi scolastici come il servizio di refezione o il trasporto, il pre/dopo-scuola perché i ritardi dello Sportello Unico impediscono l’iscrizione nel registro dei residenti.

Se il disagio dell’appuntamento negato negli otto giorni di legge viene considerato insieme alla perenne paralisi del rinnovo e rilascio dei permessi di soggiorno da parte delle questure – che lungi da essere un fenomeno di emergenza conseguente alla procedura postale è prassi acquisita – sorge legittimo il dubbio che non si tratti più di semplici disguidi tecnici, dovuti alla mala-burocrazia italiana, quanto piuttosto di messaggi chiari e precisi inviati ai cittadini stranieri ed alle loro famiglie sulla stabilità del loro status in questo paese. Ancorché regolari, muniti di visto o di nulla osta o ancor più di permesso o carta di soggiorno, la loro condizione – alla pari di un clandestino impaurito – oscilla tra dinieghi, discriminazioni ed esclusioni, nella continua incertezza di poter definire una volta per tutte la sfera dei diritti e dei doveri.
Da chi dipende, allora, l’integrazione?

Redazione Progetto Melting Pot Europa