1.L’attivismo del ministro Maroni e del governo Berlusconi nella “guerra” contro gli immigrati non conosce soste, sul fronte esterno come sul fronte interno. Non basta la criminalizzazione degli immigrati irregolari, la discriminazione istituzionale demandata alle amministrazione locali ed ai sindaci sceriffi, il taglio dei servizi e la discriminazione nell’accesso ai diritti sociali, da ultimo i balzelli fiscali sul rilascio ed il rinnovo dei permessi di soggiorno. Di fronte al “fallimento” del sistema di controllo delle frontiere marittime nel Canale di Sicilia e dopo i ritardi nella attuazione degli accordi stipulati con la Libia nell’agosto del 2008, Maroni ha incontrato l’ambasciatore libico a Roma, Hafed Gaddur, e sarebbe stato deciso che “nei prossimi giorni una delegazione di tecnici italiani” si recherà nel Paese nordafricano per “predisporre un programma attuativo dell’accordo firmato da Berlusconi e Gheddafi. Si apprende anche che, in seguito, lo stesso Maroni si recherà in visita in Libia “per firmare il verbale che sarà concordato tra le due delegazioni tecniche e avviare, subito dopo la firma, il pattugliamento nelle acque territoriali libiche, italiane e anche in quelle internazionali con equipaggi misti”.
Nelle stesse ore il Ministro dell’interno decideva la “delocalizzazione” con effetto immediato della Commissione territoriale per l’esame delle domande di asilo, da Trapani a Lampedusa, con una decisione che suscita gravi preoccupazioni per le minime possibilità di tutela legale che saranno garantite ai richiedenti asilo che riceveranno un diniego in prima istanza e che potranno essere deportati immediatamente verso i paesi di origine o di transito. A Lampedusa, come è noto, non vi sono uffici giudiziari ed avvocati, ed il provvedimento del ministro intacca gravemente i diritti di libertà e di difesa dei richiedenti asilo. Una elevata percentuale di riconoscimenti dello status di asilo o di protezione sussidiaria arriva soltanto in sede di ricorso contro la prima decisione negativa della Commissione territoriale, e il proposito del ministro dell’interno di effettuare respingimenti ed espulsioni direttamente da Lampedusa lascia presagire gravi violazioni del diritto di asilo e dei diritti di difesa.. Esattamente come nel 2004 quando dopo le espulsioni collettive da Lampedusa verso la Libia le principali agenzie umanitarie e il Parlamento europeo condannarono il comportamento del governo italiano. Considerando che il governo italiano ha anche deciso di non effettuare più trasferimenti di immigrati giunti irregolarmente a Lampedusa, dal centro di accoglienza di questa isola verso altri centri ubicati in Italia, prospettando anche l’apertura di un centro di detenzione vero e proprio, denominato adesso CIE ( Centro di identificazione ed espulsione). Non appena le condizioni meteo miglioreranno e riprenderanno gli arrivi e ( si spera) i salvataggi dei migranti, la situazione nelle isole delle Pelagie ( ricordiamo anche Linosa) potrebbe diventare veramente esplosiva con gravissimi rischi per i migranti innanzitutto, ma anche per gli operatori e per la popolazione civile. La futura attuazione della direttiva comunitaria sui rimpatri n. 115 del 2008 da parte di questo governo, con il prolungamento dei termini della detenzione amministrativa e con la possibilità di espellere anche minori non accompagnati, potrà deteriorare ulteriormente il quadro delle garanzie dei diritti fondamentali riconosciti comunque ai migranti, anche se irregolari, anche in base all’art. 2 del testo unico sull’immigrazione, n.286 del 1998.
Nel frattempo il Parlamento italiano si accinge ad esaminare un Disegno di legge che ratifica e dà esecuzione all’Accordo di amicizia e di cooperazione tra Italia e Libia, firmato a Bengasi nell’agosto dello scorso anno, ed il governo ha presentato una relazione tecnica che appare gravemente elusiva rispetto ai contenuti politici, economici e militari delle intese raggiunte con la Libia. Ancora una volta il Parlamento si vede costretto ad approvare un provvedimento predisposto dal governo “in bianco”, senza essere messo nelle condizioni di valutare i precedenti dei rapporti Italia-Libia, la situazione esistente in quel paese con specifico riferimento ai migranti irregolari ed ai potenziali richiedenti asilo, il quadro comunitario dentro il quale le intese bilaterali vanno ad inserirsi.
Per quanti vogliano andare oltre le dichiarazioni propagandistiche diffuse dai ministri di questo governo, converrà ricostruire i rapporti tra L’Unione Europea ed i paesi terzi di transito, con specifico riferimento alla Libia, anche per valutare la portata della recentissima “Dichiarazione congiunta” per il contrasto dell’immigrazione “illegale” sottoscritta dall’Italia con la Grecia, con Malta e con Cipro, dopo un incontro dei ministri dell’interno. In questo caso, secondo quanto si apprende dalle fonti di stampa, si tratterebbe di una posizione comune adottata allo scopo di ricevere un maggiore contributo finanziario dall’Unione Europea per il contrasto dell’immigrazione irregolare, per una più equa distribuzione degli oneri derivanti dall’accoglienza di quanti presentano domanda di asilo o protezione sussidiaria, e ancora per garantire la riammissione nei paesi di origine di coloro che giungono irregolarmente negli stati firmatari della dichiarazione congiunta. L’iniziativa del governo italiano testimonia una evidente spaccatura tra i paesi del mediterraneo centro-orientale e gli altri membri dell’Unione Europea.
2. Secondo il Programma dell’Aja del 2004 occorre migliorare la capacità, dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, di garantire i diritti fondamentali, le garanzie procedurali minime e l’accesso alla giustizia “ per fornire protezione alle persone che ne hanno bisogno ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e di altri trattati internazionali. Lo stesso programma dell’Aja ribadisce che “ devono essere pienamente rispettati i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Nell’ambito del Programma dell’Aja, alcuni studi degli organismi comunitari, anche in collaborazione con l’ACNUR, tentavano di verificare “ il merito, l’opportunità e la fattibilità” del trattamento comune delle domande di asilo all’esterno del territorio dell’UE, che dovrebbe integrare l’auspicato, e non ancora realizzato, regime europeo comune in materia di asilo. La nuova “dimensione esterna” dell’asilo e della immigrazione assume intanto risvolti che preoccupano fortemente per le violazioni dei diritti fondamentali delle persone nei paesi di transito, come confermato, oltre che da Human Rights Watch, e da Amnesty, da documentati siti internet ( come www.fortresseurope.blogspot.com), da una relazione tecnica della Commissione Europea del 2005, dopo una visita effettuata in Libia alla fine del 2004, e da un Rapporto dell’Agenzia europea Frontex nel 2007.
Nel settore della migrazione, l’UE e la Libia cooperano già dal 2004, ma solo su progetti assai limitati, dopo che l’Italia, e in particolare Prodi alla presidenza dell’Unione Europea, hanno avuto un ruolo fondamentale nel rimuovere l’embargo nei confronti della Libia stabilito dopo gli attentati terroristici di Lockerbie ed in Germania, nei quali risultava il coinvolgimento di agenti libici. Nel quadro del programma comunitario “Migrazione e asilo” sono già stati finanziati due progetti: uno relativo al controllo delle frontiere meridionali con il Niger e un altro relativo all’assistenza al rientro volontario di migranti, in collaborazione con l’OIM. Un terzo progetto, sempre relativo al controllo delle frontiere, dovrebbe partire all’inizio del 2009.
La Relazione della Missione tecnica della Commissione nel 2005, confermata dal successivo rapporto Frontex del 2007, osservava peraltro la difficoltà del controllo delle frontiere libiche, alla luce della situazione geopolitica, dei mezzi e delle dotazioni di personale addetto ai controlli. Fino al 2004, in pratica, la Libia non aveva forze navali specificamente destinate per il controllo delle frontiere marittime, ed i controlli alle frontiere terrestri, linee di demarcazione spesso invisibili nelle distese desertiche, si limitavano alle postazioni fisse ubicate sulle principali vie di transito battute da secoli dai carovanieri.
“Border management was the subject of particular attention during the mission, considering its key importance in the field of illegal immigration. Border control is significantly affected by the length of the borders ( 4,400 km of permeable borders with six countries, and 1,770 km of coastline), the geographical situation of border areas (desert in most cases) and the absence of demarcation in many locations. The Libyan authorities seem to have understood the serious problems faced as regards the management of Libya’s external borders, the need to dramatically increase the number of staff involved, to improve their training, to provide them with proper equipment, to develop international cooperation as well as to improve inter-service cooperation”.
La visita della delegazione della commissione Europea, alla fine del 2004, tracciava le possibili linee di sviluppo di una collaborazione tra la Libia e l’Unione Europea.
“Concrete orientations for co-operation are summarised as follows:
– Specific co-operation with Libya in a number of areas: In each of the following areas, specific orientations for co-operation are detailed in the report: 1) reinforcement of Institution building; 2) training initiatives; 3) management of asylum; 4) increasing awareness of the public.
– Co-operation with countries of origin: Specific activities aimed in particular at countries of origin: 1) Discuss migration issues with the main African countries of origin to identify possible areas for co-operation; 2) as a pilot initiative, conduct as soon as possible a mission to Niger to explore possibilities to develop co-operation with Niger on migration, following positive signals from this country and an interest from Libya. 3) improvement of border management co-operation between Libya and countries with shared borders.
– Dialogue on a wider regional basis: Four main levels for enhancing regional dialogue are suggested: 1) increased focus on EU-Africa dialogue on migration and on efforts of the African Union to address migration, including all aspects related to criminal organisations; 2) increased focus on migration within the “5+5” setting, and also with the AMU ( Arab Maghreb Union); 3) co-operation with the Tripoli based CENSAD, the Community of states bordering the Sahara and the Sahel; 4) dialogue associating origin, transit and destination countries including the support to a Conference hosted by Libya.
Dopo quella visita le proposte della Missione tecnica della Commissione non sono state seguite dai fatti, anche perché i paesi europei, dopo l’allargamento ad oriente, risultavano sempre meno propensi ad investire risorse ingenti come quelle necessarie per realizzare i programmi di assistenza tecnica e di controllo alle frontiere meridionali, ed ancora più a sud , addirittura alle frontiere meridionali dei paesi di transito. E’ stata l’Italia, semmai, che con i programmi Argo e Across Sahara ha dato un impulso alla formazione ed alla organizzazione della polizia di frontiera libica, attingendo a fondi comunitari, ma i pattugliamenti congiunti e le operazioni aero-navali di contrasto dell’immigrazione clandestina in acque libiche, malgrado lo sporadico impegno di Frontex, non sono mai andate a regime, traducendosi piuttosto in eventi occasionali a scopo propagandistico.
Le possibilità di controllo e di contrasto dell’immigrazione irregolare (in e) dalla Libia apparivano peraltro particolarmente ridotte sia per la tradizionale collusione tra le forze di polizia di frontiera e le organizzazioni criminali che gestivano il traffico del migranti, sia per l’aumento esponenziale dei migranti in fuga dagli stati del corno d’Africa e dell’Africa sub-sahariana. In pochi anni la condizione di quei migranti irregolari in Libia, attirati in quel paese prima della fine dell’embargo, diventava sempre più critica e per molti, che già erano stati costretti a fuggire dal paese di origine, dal Corno d’Africa o dall’Africa sub-sahariana, l’unica prospettiva di salvezza restava il tentativo di traversata verso l’Italia, in particolare Lampedusa, o verso Malta.
A differenza di quanto verificatosi, per il diverso contesto geo-politico nei rapporti tra Spagna, Marocco e Mauritania, il controllo dell’immigrazione affidato ad accordi multilaterali tra l’Unione Europea e la Libia ( che non è un paese di emigrazione) ha avuto esiti fallimentari ed a farne le spese sono stati i migranti in transito da quel paese, con migliaia di vittime sia nei deserti africani che nel canale di Sicilia. Della “gestione” dei movimenti migratori da parte della Libia hanno pure risentito i paesi comunitari più esposti, come Italia, Cipro e Malta. Malgrado fosse noto il trattamento riservato dalla Libia ai migranti irregolari, questi paesi, piuttosto che attendere o promuovere un atteggiamento comune dell’Europa, ormai allargata a 27 paesi, hanno ripreso a spingere nella direzione delle intese bilaterali, chiedendo però all’Unione Europea il cofinanziamento di accordi bilaterali sempre più onerosi, come anche adesso sta facendo l’Italia dopo l’accordo concluso a Bengasi nel mese di agosto dello scorso anno.
D’altra parte, le iniziative assunte dalle diverse istituzioni dell’Unione Europea, nella direzione di un accordo multilaterale con la Libia, restavano senza esito concreto malgrado le tante dichiarazioni promettenti della Commissaria alle relazioni esterne Ferrero-Waldner.
3. Entro il 2010 dovrà essere realizzato un “regime europeo comune in materia di asilo e immigrazione”, ma l’attenzione dominante dell’Unione Europea rimane rivolta al contrasto dell’immigrazione “illegale” ed alla esternalizzazione delle procedure di rimpatrio e di detenzione amministrativa, in qualche caso con il tentativo di coinvolgimento di agenzie umanitarie. Il nuovo programma dell’Unione europea in questo settore strategico dispone, per il periodo 2007-2013, di 384 milioni di euro per l’assistenza ai Paesi terzi. E tra breve queste risorse potranno essere utilizzate con la finalità di esternalizzare i controlli di frontiera e i campi di detenzione amministrativa dei migranti irregolari nei paesi di transito. Se si pensa che la cifra stanziata dovrà essere distribuita tra diversi paesi terzi nell’arco di sei anni e che l’Italia spenderà in un solo anno la stessa cifra, all’incirca, per la collaborazione con la Libia e gli altri paesi rivieraschi del mediterraneo, come l’Egitto e la Tunisia, per il contrasto dell’immigrazione irregolare, si può comprendere agevolmente come le risorse messe a disposizione dall’unione Europea risultino assolutamente esigue rispetto agli scopi che si vorrebbero perseguire.
Il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, firmato a Bruxelles il 16 ottobre del 2008, conferma però l’aspetto più preoccupante delle politiche comunitarie in materia di immigrazione ed asilo costituito dalla stipula di accordi multilaterali di cooperazione nella “lotta” all’immigrazione clandestina, da ultimo con paesi di transito come la Mauritania ed il Ghana. L’approccio è sempre quello della “condizionalità migratoria”, prospettiva adottata anche dai diversi governi italiani che si sono succeduti nel tempo: in cambio di aiuti economici e di limitate possibilità di ingresso legale per i cittadini di quei paesi, si cerca di ottenere un maggiore impegno nei controlli di frontiera, nell’arresto e nella successiva espulsione, o nel respingimento verso altri paesi dei migranti in transito, molti dei quali provenienti da regioni in guerra o afflitte da gravi conflitti etnici , spesso potenziali richiedenti asilo. Anche la migrazione regolare viene considerata come merce di scambio per arginare i movimenti dei migranti irregolari.
Dopo la firma del Patto, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr/Acnur) – ha dichiarato che « accoglie con favore l’impegno solenne del Consiglio europeo di assicurare che le politiche europee in materia di immigrazione e asilo rispettino il diritto internazionale dei rifugiati e i diritti umani” – ma ha invitato anche ad “assicurare coerenza” tra immigrazione e diritto all’asilo, chiedendo all’UE di sviluppare misure concrete per assicurare che tale principio venga rispettato. “Non potremo mai avere un’‘Europa dell’asilo’ se non viene garantito l’accesso nell’UE a chi è in cerca di protezione”. Secondo Bjarte Vandvik, segretario generale del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati, invece, si può ritenere “che il Patto sposti ulteriormente la bilancia verso il fronte della sicurezza – che finora non ha fornito alcuna soluzione alle sfide europee in tema di migrazione – e lontano dalle azioni necessarie per salvaguardare i diritti umani”.
In questo quadro decisioni importanti del Parlamento europeo come la Risoluzione di condanna dell’Italia nel 2005 dopo le espulsioni collettive verso la Libia o la più recente Risoluzione sulla violazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, con particolare riferimento ai migranti ed ai richiedenti asilo, rischiano di rimanere lettera morta.
4. Nel periodo di elaborazione del Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, mentre procedevano a fatica i tentativi delle istituzioni comunitarie orientati alla stipula di accordi multilaterali tra l’Unione europea e i paesi di transito e di origine, alcuni stati europei, tra i quali l’Italia, la Spagna
e la Francia, hanno continuato a perseguire con alterna fortuna la politica degli accordi bilaterali finalizzati prevalentemente alla cooperazione di polizia ed alla fornitura di risorse ed attrezzature tecniche per la “lotta all’immigrazione clandestina”.
Al di la delle intese informali maturate nel 2005 tra la Libia e la Commissione Europea a seguito della visita della Commissione Europea documentata nella Relazione tecnica, la Grande Jamahiria non ha ancora un accordo politico vincolante con l’Unione Europea, e le trattative ancora in corso sembrano seguire il passo del gambero, piuttosto che procedere in una direzione univoca, anche per gli ostacoli frapposti nel tempo dalla vicenda delle infermiere bulgare, e poi dall’arresto di un figlio di Gheddafi in Svizzera, per le percosse inflitte ad un domestico.
Il Consiglio dell’Unione Europea riunito a Lussemburgo nel giugno del 2005 condivideva la posizione della Commissione secondo la quale era necessario definire un “approccio globale” e integrato nella gestione dell’immigrazione nella regione mediterranea, aggiungendo che la cooperazione ed i paesi terzi, nel quadro della “dimensione esterna dell’asilo e dell’immigrazione”, deve rispettare i diritti dell’uomo, i principi democratici dello stato di diritto e “ le obbligazioni che loro incombono in virtù della Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati e le altre convenzioni internazionali in materia”. In quella occasione il Consiglio dell’Unione Europea “domandava alle autorità libiche di fornire la prova di essere determinate a rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione dell’ Unione Africana (OUA) nelle parti che riguardano il problema dei rifugiati in Africa, nell’ambito della quale la Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati è considerata come lo strumento di base universale”. Il Consiglio sollecitava pure la Libia “ad assicurare una cooperazione efficace con l’UNHCR” ed a rispettare il principio di non refoulement, invitando la Commissione ad un impegno “per aiutare le autorità libiche a rispettare le loro obbligazioni”. Il Consiglio “ sottolineava la necessità di realizzare un partenariato tra l’Unione Europea ed i paesi di origine e di transito, in conformità al programma dell’Aja del 2004, e che occorreva “intensificare la cooperazione con i paesi situati alle frontiere meridionali dell’UE” al fine di gestire meglio l’immigrazione e di “offrire protezione ai rifugiati”.
Con un voto del 14 febbraio del 2006 il Parlamento europeo si dichiarava formalmente «non più disposto a dare il proprio parere conforme a nuovi accordi internazionali che non contenessero una clausola relativa ai diritti dell’uomo e alla democrazia». Ma intanto si progettavano vertici internazionali in paesi che non garantivano certo quei diritti fondamentali.
Il 22 novembre del 2006 si svolgeva a Tripoli 22 novembre 2006 un Vertice tra l’Unione europea e l’Unione africana in materia di immigrazione. Durante il vertice emergevano le divisioni tra i paesi del Sud dell’Europa (Italia, Grecia, Spagna, Malta, Cipro, Portogallo), che avrebbero voluto coinvolgere l’intera Unione soprattutto sul piano finanziario, e gli altri, meno colpiti dal problema e di conseguenza meno orientati a devolvere risorse a quello scopo. Nell’ambito del vertice si tracciavano le basi per accordi particolari con la Libia, per importi peraltro assai modesti, circa quattro milioni di euro. Ad uno di questi progetti, finanziato con un milione e mezzo di euro, volto a controllare la frontiera meridionale con il Niger, avrebbe dovuto partecipare anche l’Italia.
La Commissione, il 26 aprile 2006, aveva istituito un fondo comune per il ritorno in patria dei clandestini, la Return preparatory action. Lo stanziamento, tuttavia, era piuttosto esiguo: appena 14 milioni di euro da dividere in 20 progetti. Tra questi ne venivano scelti anche alcuni italiani: in particolare quello presentato dal Ministero dell’Interno per i voli congiunti di rimpatrio, i voli di ritorno, per i quali si assegnava la somma 675.893 euro. Dal 2008 queste “Return preparatory action” avrebbero dovuto essere sostituite da un più organico European Return Fund, che includerebbe un fondo per i rifugiati, uno per l’integrazione e uno per le frontiere esterne, ma il ritardo nell’approvazione della direttiva sui rimpatri ha comportato anche il rinvio di questo piano finanziario. Emergeva comunque già allora la scarsità delle risorse che l’Unione Europea era disposta ad accordare per affrontare un problema di così vaste proporzioni come il controllo delle frontiere terrestri della Libia.
5. La “Missione tecnica Frontex” in visita in Libia dal 28 maggio al 5 giugno 2007, per individuare nuove forme di collaborazione tra l’Unione Europea e quel paese, nel controllo delle frontiere meridionali, “the principal aim of which would be to consult the Libyan authorities on how best the EU could assist Libya with improved management of its southern borders”, osservava che “the land borders in the south of Libya do not equate to the EU green borders. Given the lack of clear demarcations and the size of the terrain, fixed border crossing points will play a limited role in controlling illegal immigration. This should not preclude however the need for a change in border management strategy and investment in premises and overall infrastructure including road access to border crossing points.
Tra le raccomandazione finali della Missione tecnica Frontex la sollecitazione rivolta all’Unione Europea per aumentare le forme di assistenza tecnica ed operativa alla Libia nella gestione dei controlli di frontiera, con particolare riferimento alle zone di confine desertico, e la corrispondente sollecitazione rivolta alla Libia per combattere la corruzione della polizia di frontiera :
12.2 In the short term, it is also important to re-examine the possibilities of the EU offering
further effective practical assistance to Libya, whether this take the form of providing
equipment, training or expertise.
12.3 Libya should be invited to re-examine its strategy on border control at the southern
borders allowing for a monitored and lawful option to enter the country through designated
suited border check points, on the understanding that this may lead to a decrease in the pressure
on illegal trespassing. Libya should be invited also to revise its structures of three-tier desert
points, look to more airborne surveillance and land mobile reaction to detections and improve
coordination between authorities dealing with border control and between ministries.
12.4 Libya should be encouraged to improve exploitation of intelligence as well as
intelligence development and exchange to tackle more effectively the criminal networks behind
the illegal migration flows. Libya should also consider the benefits of the establishment at the
national level of a standardised statistical methodology and collection plan that could be
replicated at the regional level.
12.5 Libya should also be requested to set up a structured response to corruption and offered
expertise on how to effectively tackle corruption of border officials, for example by looking at
its policy on recruitment of its staff.
12.6 Against the background of the improved operational cooperation amongst EU Member
States in the Mediterranean area it could be considered to take next steps to strengthen the
operational maritime cooperation in the entire Mediterranean region by extending the
operational network to the third countries in the region by developing a structured
“Mediterranean Sea Border Control Cooperation” framework. Here Libya could be invited to
take a leading role.
12.7 There is a need for the EU to work on improved information and media campaigns with
source countries advising potential illegal migrants of the dangers of exploitation by desert
smuggler.
La Missione tecnica Frontex avvertiva dunque il “pericolo” che i potenziali migranti “illegali” subissero abusi da parte dei trafficanti nelle zone desertiche ai confini meridionali della Libia, ma solo per auspicare campagne di informazione che, proprio sulla base di tali rischi, dissuadessero i candidati all’emigrazione irregolare dal fare ingresso in territorio libico.
Neanche una parola, in tutta la relazione, sulla situazione del diritto di asilo in Libia e sugli abusi subiti dai migranti più vulnerabili in quel paese da parte delle forze di polizia, talora in collegamento con le stesse organizzazioni dei trafficanti. Nessuna iniziativa concreta per rendere più sicura la condizione dei migranti in transito in Libia, tra i quali sempre più spesso donne e minori non accompagnati.
Nel mese di ottobre del 2007 Amnesty International aveva peraltro avvertito il rischio che gli accordi con la Libia potessero legittimare la violazione dei diritti fondamentali dei migranti irregolari in transito in quel paese. In una lettera inviata ai ministri degli Esteri dell’Unione europea (Ue), Amnesty International ha affermato che le relazioni con la Libia “devono tener conto delle gravi e perduranti preoccupazioni per lo stato dei diritti umani in questo paese”.
I ministri degli esteri dell’Unione Europea stavano infatti per conferire alla Commissione europea il mandato per intensificare le relazioni con la Libia. La Sezione Italiana di Amnesty International faceva pervenire allora una copia della sua nota al Ministero degli esteri e alla Presidenza del Consiglio. Già a luglio del 2007, Amnesty International aveva fatto notare come il Memorandum d’intesa tra Ue e Libia, siglato all’indomani del rilascio delle infermiere bulgare e del medico palestinese che rischiavano l’esecuzione, non contenesse alcun riferimento ai principi internazionali in materia di diritti umani.
“L’Ue deve resistere alla tentazione di abbassare i propri standard e le proprie richieste per il fatto che la vicenda dei sei operatori sanitari è terminata bene. Se c’è una lezione da apprendere da quel caso, è proprio che i diritti umani devono essere alla base di ogni accordo con la Libia” – ha dichiarato Dick Oosting, direttore dell’ufficio di Amnesty International presso l’Ue. La situazione dei diritti umani in Libia rimane grave. Ogni mese, Amnesty International riceve informazioni su nuovi casi di giornalisti e dissidenti cui, in assenza di attenzione mediatica e pressioni politiche internazionali, viene negato il diritto a una procedura giudiziaria equa.
A preoccupare fortemente Amnesty International è la cooperazione tra Ue e Libia nel contesto della “immigrazione irregolare”. La Libia, ricorda ancora una volta l’organizzazione per i diritti umani, non è Stato parte della Convenzione sui rifugiati del 1951 e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non può operare liberamente nel paese.
La legge libica non contiene alcuna norma che consenta ai richiedenti asilo politico di sottoporre alle autorità il proprio caso; le condizioni di detenzione dei “migranti irregolari” sono ritenute deplorevoli e si registrano regolarmente espulsioni di massa di migranti e richiedenti asilo, senza la minima attenzione alla protezione di cui hanno bisogno.
“Le violazioni che si verificano in Libia sono così clamorose che dovrebbero spingere l’Ue a modificare l’approccio mostrato nel Memorandum, che ignora di fatto la grave situazione dei diritti umani nel paese” – ha aggiunto Oosting.
Amnesty International pertanto chiede ai ministri degli Affari esteri di garantire che ogni futuro accordo con la Libia faccia esplicito riferimento alle garanzie sul rispetto dei diritti umani e li invita a non affidare alla Commissione europea il mandato di negoziare con la Libia, se la previsione di tali garanzie non verrà tenuta in debita considerazione.
6. Al successivo vertice euro-africano di Lisbona nel dicembre del 2007, prima del suo trionfale viaggio a Parigi, Gheddafi si presentava con una folta delegazione e, per bloccare l’immigrazione clandestina verso l’Europa, chiedeva almeno un miliardo di euro, anche a titolo di risarcimento per la occupazione coloniale dell’Italia. Anche in questo caso alle solenni dichiarazione di collaborazione non seguivano impegni concreti e risorse economiche adeguate a garantire quanto richiesto dai libici.
Nel febbraio del 2008, malgrado la situazione del rispetto dei diritti umani e del diritto di asilo in Libia non fosse ancora mutata, come dimostrato dai più recenti rapporti di Human Righrs Watch e dalla Relazione Hammarberg del Consiglio d’Europa, la Commissione Europea proponeva l’apertura dei negoziati per rinforzare le relazioni tra UE e Libia con l’obiettivo ( poi fallito) di chiudere un primo accordo quadro entro lo stesso anno. “Si tratta di una decisione storica- ha sostenuto la commissaria alle Relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner-. La Libia è un attore essenziale nella regione del Mediterraneo e in Africa”. Ma anche questo obiettivo non era raggiunto, e solo nel novembre del 2008 la Libia e l’UE davano avvio ai negoziati sull’accordo quadro multilaterale.
A margine dell’incontro svoltosi a Bruxelles il 13 novembre 2008, Benita Ferrero-Waldner ha dichiarato: “È da tanto che aspettiamo questo momento, sin da quando, nel 2004, l’UE ha deciso di abrogare le sanzioni nei confronti della Libia e di avviare una politica di impegno con il paese. Sono lieta di poter finalmente dare il via a questi negoziati. La Libia è rimasta l’unico paese del Mediterraneo meridionale con cui l’UE non intrattiene relazioni contrattuali e l’UE desidera instaurare un quadro giuridico chiaro e duraturo che consenta di rafforzare il dialogo e la cooperazione con la Libia. La Commissione ha ricevuto dal Consiglio un mandato negoziale ampio, prova che l’UE intende concludere con la Libia un accordo tanto ambizioso quanto la Libia sarà pronta a consentire, un accordo relativo ad aree quali il dialogo politico, gli scambi commerciali, l’energia, la migrazione e l’ambiente.”
Come riferiscono le agenzie di stampa “il mandato negoziale della Commissione è stato adottato dal Consiglio soltanto il 24 luglio 2008. L’immigrazione rappresenta solo un capitolo del vasto dossier. L’obiettivo è quello di concludere con la Libia un accordo ampio che riguardi il dialogo politico e la cooperazione in materia di politica estera e di sicurezza, che crei una zona di libero scambio il più possibile ampia e inclusiva e che serva da base ad una cooperazione in settori nevralgici di interesse comune quali l’energia, i trasporti, la migrazione, i visti, la giustizia e gli affari interni e l’ambiente nonché in altri campi quali la politica marittime e la pesca, l’istruzione e la sanità pubblica. I principi fondamentali alla base dell’accordo saranno il rispetto dei diritti umani e della democrazia, la non proliferazione delle armi di distruzione di massa e l’impegno ad osservare le norme dell’economia di mercato”.
Non si ha ancora notizia tuttavia degli sviluppi del negoziato “globale” tra la Libia e l’Unione Europea, né sulla effettiva inclusione di clausole che richiamino il rispetto dei diritti umani dei migranti, tra i quali va ricompreso il diritto di asilo, e si può ritenere che la recrudescenza del conflitto in Palestina non faciliterà il raggiungimento di un intesa politica o il rilancio del processo di Barcelona, dal quale la Libia si è sempre tenuta fuori, anche per la controversa questione del rispetto dei diritti umani. Se l’Europa è rimasta al palo, i singoli stati europei hanno bruciato le tappe nella stipula di accordi bilaterali di cooperazione economica con la Libia e, nel caso dell’Italia, il contrasto dell’immigrazione clandestina ha costituito uno dei punti nodali delle intese che si sono raggiunte nel tempo.
7. L’Italia, che, a partire dal 1996, ha stipulato decine di accordi di riammissione con i paesi di origine dei migranti, dopo l’ “accordo bilaterale” stipulato con l’Egitto nel gennaio del 2007, ha concluso con la Libia, nel dicembre dello stesso anno, un “Protocollo di cooperazione” in base al quale il governo italiano si impegnava, altresì, a sostenere con l’Unione europea i programmi di cooperazione a livello comunitario, con particolare riferimento ai controlli sull’immigrazione clandestina.
In precedenza, dall’ottobre del 2004 al febbraio del 2006 l’Italia aveva finanziato il rimpatrio nei paesi di origine di oltre 5500 immigrati irregolari presenti in Libia ed arrestati dalla polizia locale. Sempre nello stesso periodo, non certo casualmente, la Libia accettava la riammissione sommaria, senza identificazioni certe, e dunque nella forma di espulsioni collettive, di 1500 immigrati di diversi paesi, giunti irregolarmente a Lampedusa e da lì trasferiti direttamente con voli diretti in aeroporti libici, prima, nell’ottobre del 2004, con aerei militari, e poi, dopo le rimostranze di Gheddafi, ed una breve sospensione dei voli, con aerei civili.
«Quello che oggi si conclude è un lungo e riservato negoziato con la Libia», affermava il 27 dicembre del 2007 l’allora ministro dell’interno Amato. «Sarà ora possibile un pattugliamento con squadre miste a ridosso delle coste libiche, davanti ai porti e alle baie da cui escono le imbarcazione dei trafficanti di uomini. In questo modo sarà possibile contrastare con molta maggiore efficacia questi traffici, salvando molte vite umane e sgominando le bande criminali che li gestiscono. E’ ciò che è stato fatto sulle coste dell’Albania, azzerando di fatto l’afflusso dei clandestini attraverso quella rotta. Ora sarà possibile farlo anche con la rotta dalla Libia”. Un madornale errore di valutazione come i fatti succedutisi nel tempo hanno dimostrato in maniera inequivocabile. Un errore che ora il ministro dell’interno Maroni si appresta a ripetere rilanciando il pattugliamento congiunto. Anche in questo caso saranno i fatti a fare rapidamente giustizia delle strumentalizzazioni e della demagogia.
Il Protocollo tra Italia e Libia del dicembre 2007 prevedeva già la fornitura (con un finanziamento Ue) di un sistema di controllo per le frontiere terrestri e marittime libiche, come era stato richiesto espressamente dalle autorità libiche ai rappresentanti dell’Agenzia Frontex che aveva visitato il paese di Gheddafi nel maggio 2007. La direzione e il coordinamento delle attività di pattugliamento – e di addestramento – si sarebbero affidate ad un “Comando operativo interforze”, con sede in Libia. Il responsabile di questo comando avrebbe dovuto essere libico, mentre il vice comandante si sarebbe dovuto designare designato da parte del Governo italiano. L’accordo ribadiva formalmente le “intese operative” per una collaborazione con la polizia libica nel controllo delle frontiere terrestri, già adombrato nelle precedenti intese informali, ma di fatto né il personale promesso né le attrezzature di supporto sono mai giunte in Libia. Non si ha neppure notizia dell’attivazione del “Comando operativo interforze”. Malgrado questo dato evidente, la volontà politica comune rivolta ad un maggiore controllo dei punti di passaggio e di partenza dei migranti irregolari in Libia produceva per la prima volta risultati significativi e, probabilmente per i maggiori controlli sulla terraferma, gli arrivi di immigrati irregolari provenienti dalla Libia registravano fino ai primi mesi dl 2008 un significativo calo. A partire dall’estate dello stesso anno invece, proprio dopo l’insediamento del nuovo governo, gli arrivi, o meglio i salvataggi in mare di migranti fatti partire dalla Libia, aumentavano mese per mese, fino a raddoppiare complessivamente alla fine del 2008.
8. Il 30 agosto del 2008, veniva stipulato a Tripoli alla presenza di Berlusconi e Gheddafi un vero e proprio accordo bilaterale, definito come « Trattato di amicizia, di partenariato e cooperazione », che prevede la « collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all’immigrazione clandestina » Secondo quanto previsto dall’accordo, all’art.19, « le due Parti intensificano la collaborazione in atto nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all’immigrazione clandestina, in conformità a quanto previsto dall’Accordo firmato a Roma il 13/12/2000 e dalle successive intese tecniche, tra cui, in particolare, per quanto concerne la lotta all’immigrazione clandestina, i Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007 ( dal governo Prodi !).
L’accordo Italia – Libia del 2008 fa espresso riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, affermando all’art. 6 che « Le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo », senza alcuna menzione alla Convenzione di Ginevra del 1951 a protezione dei diritti dei rifugiati, Convenzione di cui la Libia non risulta ancora firmataria, tanto che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non ha ancora una sede operativa aperta ai potenziali richiedenti asilo, come avviene invece, seppure con gravi limitazioni, in Egitto, in Tunisia, in Algeria ed in Marocco. Negli ultimi anni si è appreso soltanto dell’intervento dell’ACNUR in alcune operazioni di resettlement di alcune decine di persone, in prevalenza donne e minori, ritenuti meritevoli di protezione internazionale, dalla Libia verso l’Italia ed altri paesi europei.
Si prevede inoltre, sempre all’art. 19 dell’accordo, concluso a Bengasi nel mese di agosto dello scorso anno, che Italia e Libia collaborino alla definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori. che comprende la fornitura di sofisticate attrezzature elettroniche per il controllo delle frontiere terrestri della Libia.
Secondo lo stesso accordo, che “sostituisce il Comunicato Congiunto del 4 luglio 1998 e il Processo verbale delle conclusioni operative del 28 ottobre 2002”, “sempre in tema di lotta all’immigrazione clandestina, le due Partì promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche. Il Governo italiano sosterrà il 50% dei costi, mentre per il restante 50% le due Parti chiederanno all’Unione Europea di farsene carico, tenuto conto delle Intese (?) a suo tempo intervenute tra la Grande Jamahiria e la Commissione Europea”. Non si comprende affatto a quali “Intese” con la Commissione Europea faccia riferimento l’accordo tra l’Italia e la Libia sottoscritto da Berlusconi e da Gheddafi , dal momento che ancora nel 2008 la stipula di un accordo tra L’Unione Europea e la Libia restava nell’agenda delle intese non ancora concluse, ma conoscendo la attendibilità dei due personaggi politici non è difficile immaginare che si tratta, al massimo, delle “intese informali” che avevano preceduto e seguito le Missioni tecniche della Commissione, nel dicembre del 2004, e dell’agenzia Frontex nel 2007 . E’ la Relazione tecnica al Disegno di legge di ratifica dell’accordo attualmente all’esame del parlamento italiano, come si vedrà più avanti, a chiarire quale sarebbe l’”intesa”. Che in realtà sarebbe soltanto un “Memorandum of Understanding (MoU)”, tra la Libia e l’Unione Europea che dovrebbe costituire la cornice comunitaria nella quale si inserisce l’ Accordo bilaterale di amicizia e di cooperazione stipulato a Bengasi.
9. Nella Relazione tecnica allegata al Disegno di legge n.2041, per la ratifica e l’esecuzione del Trattato si amicizia, partenariato e cooperazione firmato tra Libia ed Italia a Bengasi il 30 agosto 2008, si legge che, oltre ai Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007, “dei quali ci si attende pertanto una compiuta attuazione da parte libica”, “le due Parti promuoveranno la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle competenze tecnologiche necessarie. L’Italia si è impegnata a sostenere il 50 per cento dei costi di realizzazione di tale sistema, mentre per il restante 50 per cento Italia e Libia chiederanno all’Unione europea di farsene carico, tenuto conto delle intese intervenute tra Tripoli e Bruxelles, anche su questo aspetto, con la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) nel luglio 2007.
Su un piano più generale, le due Parti collaboreranno alla definizione di iniziative volte a prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori. Le somme necessarie da parte italiana da versare al governo libico per l’attuazione degli accordi saranno ricavate dalla tassazione con una apposita Addizionale all’imposta sul reddito delle società).da applicare nei confronti delle società e degli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato: che operano nel settore della ricerca e della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
Secondo la stessa relazione tecnica, allegata al DDL 2041, infine, “si ritiene che i princìpi contenuti nel Trattato siano in linea con l’ordinamento comunitario. Analogamente esso è compatibile con gli obblighi internazionali già assunti dal nostro Paese”.
Se l’accordo tra Italia e Libia del 30 agosto scorso presenta aspetti oscuri, non si può dire che la relazione allegata al Disegno di legge di ratifica contribuisca a fare chiarezza sulle concrete modalità attuative degli accordi e sulle garanzie per il rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante in Libia. Risulta assai dubbio il richiamo al “Memorandum of Understanding (MoU) nel luglio 2007”, che costituirebbe un”accordo” raggiunto dalla Libia, sulla base del quale adesso l’Unione Europea dovrebbe versare somme consistenti per lì esecuzione dell’accordo Italia-Libia, somme che probabilmente deriveranno piuttosto dallo sblocco dei fondi per i rimpatri, conseguente all’approvazione definitiva della direttiva 2008/115/CE.
Il Parlamento italiano, chiamato a ratificare l’intesa di Bengasi tra Berlusconi e Gheddafi, non è stato messo nelle condizioni di conoscere la esatta portata degli “accordi” tra la Libia e l’Unione Europea in materia di immigrazione ( ammesso che esistano…), né quali siano le garanzie sostanziali per i diritti fondamentali della persona migrante in transito in quel paese, con particolare riferimento alla condizione dei potenziali richiedenti asilo.
Sono dunque diversi i profili che dovrebbero consigliare la bocciatura del DDL 2041 da parte del Parlamento . Il disegno di legge di attuazione dell’accordo Italia-Libia non sembra fornito di una copertura finanziaria certa né appresta garanzie sul pieno rispetto dei diritti umani e sulla condizione dei richiedenti asilo in Libia. Non si comprende quanto costerà effettivamente il controllo delle frontiere terrestri ( tutte o solo quelle meridionali?) della Libia, se, quando e a chi l’Unione Europea verserà il 50% che sarebbe, secondo l’accordo a suo carico.
Per queste ragioni il Parlamento dovrebbe fare valere in pieno le sue prerogative di controllo, esigere certezza sul piano dei mezzi necessari e degli obiettivi perseguiti, e richiedere al governo una ulteriore azione diplomatica in modo anche di sollecitare l’apertura di un dossier sul rispetto dei diritti umani e del diritto di asilo in Libia, prima di dare attuazione agli accordi sulla esternalizzazione dei controlli di frontiera.
In ogni caso, non sembra che le somme previste dal disegno di legge di ratifica siano sufficienti a garantire risultati concreti nel contrasto delle organizzazioni che gestiscono l’immigrazione clandestina. Per finanziare l’impegno di diverse centinaia di milioni di euro, a carico dell’Italia nei prossimi anni, si fa riferimento ad un prelievo con l’addizionale sull’imposta delle società che fanno ricerche petrolifere, al fine di consentire di attrezzare sistemi di controllo di una frontiera terrestre che tocca sei stati ed ha una lunghezza di 3750 chilometri. Come le sei motovedette previste dall’accordo sono nulla se si pensa ai 1400 chilometri di coste -spesso disabitate- della Libia. Anche se imbarcazioni ed equipaggi resistessero ad un impiego sulle ventiquattro ore, le possibilità di intercettare le imbarcazioni cariche di migranti subito dopo la partenza dalla costa libica resterebbero assai modeste. Come cambieranno le rotte nel deserto, i punti di partenza si sposteranno da Zuwara verso località situate più ad oriente e meno controllabili, con un prevedibile aumento della durata delle traversate e del numero delle vittime. E dunque, come continueranno a partire i migranti dalla Libia, non appena le condizioni meteo miglioreranno, la situazione a Lampedusa rischia di andare fuori controllo, soprattutto dopo che il ministro Maroni ha deciso di bloccare i trasferimenti in altri centri degli immigrati giunti dalla Libia.
Con i finanziamenti previsti dall’ultimo Accordo Italia-Libia, si potranno tenere in esercizio due o tre motovedette per ciascun turno di vigilanza, troppo poco per 1400 chilometri di coste. Sul territorio libico si potranno rinforzare (forse) i controlli sulle principali vie di ingresso dal Sudan, dal Chad e dal Niger, dal momento che Algeria,Egitto e Tunisia sorvegliano piuttosto bene le oro frontiere, ma i risultati attesi, come del resto si è verificato con le operazioni Frontex nel Canale di Sicilia saranno puramente propagandistici, di certo con la prosecuzione delle violazioni più gravi dei diritti fondamentali della persona a partire dal diritto di entrare in Europa per presentare una richiesta di asilo, richiesta che ben difficilmente può essere presentata ed esaminata in Libia.
10. I paesi europei che stipulano accordi di cooperazione con i paesi di transito non possono agire in violazione diretta o indiretta dei principi affermati dalle Convenzioni internazionali alle quali hanno aderito, e nel caso dell’Italia, delle previsioni vincolanti contenute nella Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo e nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati, alla quale, “naturalmente”, né l’accordo Italia-Libia, né il Disegno di legge di ratifica fanno alcun riferimento. Eppure quelle disposizioni costituiscono “ius cogens”, hanno carattere imperativo ed inderogabile, sanciscono diritti fondamentali della persona con previsioni che, per quanto riguarda il riconoscimento del diritto di asilo e del correlato divieto di refoulement ( art.33 Conv. Ginevra), come nel caso del divieto di trattamenti inumani e degradante ( art. 3 CEDU), hanno valore assoluto ed inderogabile . Di fronte alla violazione grave e reiterata di questi principi da parte del governo italiano non resterà che appellarsi ancora una volta alle corti internazionali e, quando sarà possibile, ai giudici nazionali. Diventerà sempre più difficile il contatto tra i migranti e gli avvocati di fiducia ed è auspicabile che gli avvocati di ufficio non prestino supinamente la loro funzione. Sempre che il governo non consenta forme di detenzione e misure di allontanamento forzato sottratte al controllo giurisdizionale richiesto dall’art. 13 della Costituzione.
La “delocalizzazione” a Lampedusa delle procedure per la richiesta di asilo o di protezione internazionale potrà produrre gravi violazione della convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo e dei protocolli allegati, in particolare sotto il profilo della violazione del divieto di espulsione collettiva. Si potrebbe pensare che un paese che esternalizza una parte del proprio territorio, l’isola di Lampedusa, e vi applica procedure che si pongono in contrasto con il diritto internazionale e con le direttive comunitarie, non può provare alcun imbarazzo a concludere accordi con stati come la Libia che consentono gli abusi più gravi ai danni dei migranti. Ma sono tanti i paesi dell’Unione Europea che fanno a gara per accaparrarsi le ricchezze del sottosuolo libico.
La violazione dei principi affermati dalla CEDU potrebbe però assumere rilievo sul piano del diritto interno, dopo la entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Occorre richiamare il nuovo art. 117, c. 1 della Costituzione., secondo cui “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Secondo l’orientamento della più recente giurisprudenza, attraverso l’art. 117, la CEDU ha potuto integrare il dettato costituzionale e quindi si potrebbe affermare la incostituzionalità di una legge italiana di ratifica di un accordo internazionale che possa produrre effetti in contrasto con la CEDU.
E’ opportuno ricordare, a tale riguardo, che l’art. 6, par. 1, della versione consolidata del Trattato sull’Unione europea (cfr. GUUE n. C 115 del 9 maggio 2008, p. 19) sancisce «lo stesso valore giuridico dei trattati» al testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La previsione dell’art. 19 della Carta secondo cui “ in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione” le espulsioni collettive sono vietate ha dunque carattere vincolante. Come ha carattere vincolante, per i paesi membri dell’Unione Europea, la successiva previsione dell’art. 19 comma secondo, in base al quale”nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”. Che alle frontiere meridionali della Libia si verifichino espulsioni collettive di migranti irregolari è un dato di fatto ampiamente provato da numerosi rapporti internazionali ( consultabili su www.fortresseurope.blogspot.com), speriamo che non riprendano anche da Lampedusa. Le disposizioni interne ed internazionali che vietano espulsioni collettive non possono essere aggirate con la esternalizzazione dei controlli di frontiera, anche quando a promuovere e finanziare le politiche di contrasto dell’immigrazione irregolare siano intese bilaterali sottoscritte da un singolo paese europeo con un paese di transito.
vedia anche:
– Lampedusa – Anche il sindaco contro il CPT
– Italia-Egitto: Accordi di riammissione e divieti di espulsione e di respingimento