1. Secondo uno scarno comunicato del Ministero dell’Interno del 28 gennaio 2009 “entro il termine massimo di due mesi” verranno rimpatriati i tunisini che sono stati identificati e si trovano nelle strutture di Lampedusa. Sarebbe questo il contenuto dell’intesa siglata dal Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal suo collega tunisino Rafik Belhaj Kacem. La notizia è in realtà una “non notizia” perché è del tutto normale che, sulla base degli accordi di riammissione già esistenti con quel paese, due gruppi di 30 persone alla volta vengano rimpatriati con cadenza settimanale, esattamente come avviene con l’Egitto, dopo la firma dell’accordo di riammissione del 2007.
La missione di Maroni a Tunisi sembra avere sortito un risultato assai modesto perché già in passato la Tunisia aveva accettato il rimpatrio di un numero equivalente di suoi cittadini sorpresi in Italia in condizione di ingresso o di soggiorno irregolare. Quanto annunciato dai Ministri dell’Interno dei due paesi lascia presagire al fatto che, non appena gli arrivi a Lampedusa riprenderanno – l’isola è isolata per il maltempo da oltre dieci giorni e neppure il traghetto ha effettuato le sue corse regolari – la situazione diventerà ancora più esplosiva. C’è da tener conto del sovraffollamento dei centri di detenzione: infatti, sia per il CPAS che il CIE ancora da istituire ma già funzionante, a fronte del blocco militare degli accessi e della chiusura al personale civile non convenzionato si sono trasformati in veri e propri cpt (oggi Cie).
In una notizia Ansa si afferma che sarebbero circa 500 i tunisini già identificati ospitati nei centri di Lampedusa Sembrerebbe dunque che i centri di detenzione attualmente operativi siano due: il vecchio centro di prima accoglienza e soccorso ed il nuovo centro di identificazione ed espulsione, situato nella ex base Loran dell’aeronautica militare. E’ su questi 500 migranti che sarebbero già stati identificati all’interno del CPAS che si sarebbe raggiunto l’accordo tra Italia e Tunisia per il rimpatrio nei prossimi due mesi, (anzi “entro due mesi”). Sembrerebbe che nessuno di loro abbia fatto richiesta di asilo e che tutti siano risultati maggiorenni e quindi che siano stati ritenuti, dal Ministro dell’Interno italiano, soggetti espellibili. All’interno della base dell’aeronautica si troverebbero solo donne (in sciopero della fame) ed alcune decine di persone di varia nazionalità, mentre la maggior parte, se non tutti i tunisini che sembrano destinatari delle misure di respingimento e che Maroni voleva rimpatriare entro una settimana, si trovano ancora, in qualche caso da oltre un mese, nel Cpas: una struttura progettata (e finanziata) per svolgere la funzione di prima accoglienza e soccorso. Non possono più uscirne, neppure “per andare a bersi una birra”, come aveva detto il Premier Berlusconi, soprattutto dopo che uno di loro è stato scoperto nascosto all’interno di un aereo in partenza…
Al di là della birra, nel mutamento di destinazione del centro di prima accoglienza e soccorso, potrebbero configurarsi varie ipotesi di peculato aggravato dal momento che una struttura, insieme alle ingenti risorse destinate a persone salvate nel canale di Sicilia, o in condizioni di bisogno, sono state distratte dalla loro destinazione naturale per essere utilizzate in modo improprio, non conforme ai provvedimenti che hanno istituito il centro. Sarebbe auspicabile che la Procura della Corte dei Conti competente ricostruisse il quadro normativo dei Centri di prima accoglienza e soccorso, istituiti in base alla legge Puglia, o altre leggi successive, e verificasse poi se, quanto avviene in quello che ancora oggi rimane un centro di prima accoglienza e soccorso, corrisponde a quanto prescritto dalla legge.
Stime ufficiose e le stesse dichiarazioni del Ministro dell’Interno indicano in poco più di mille i tunisini ancora presenti a Lampedusa alla fine di gennaio 2009. Evidentemente le procedure di identificazione non sono ancora state completate e proseguono, ma non nel centro di identificazione ed espulsione, bensì nel “Centro di prima accoglienza e soccorso” (CPAS) che adesso è un centro chiuso. Con il programma di rimpatri consentito dalla Tunisia ci vorranno mesi e non una settimana per svuotarlo, nella prospettiva del tutto irrealistica che gli arrivi cessino come per incanto.
Si vedrà, ma il Ministro Maroni sta preparando accuratamente un altro disastro annunciato dopo il fallimento del suo soggiorno a Tunisi.
Nel frattempo l’isola di Lampedusa è stata quasi completamente “militarizzata”, con diversi posti di blocco e con intere parti del suo territorio precluso all’accesso della popolazione, dei giornalisti, degli avvocati e delle associazioni non convenzionate con il Ministero dell’Interno.
Si deve prendere atto invece che, l’altra decisione assunta dal Ministro dell’Interno agli inizi di gennaio, con il trasferimento “temporaneo” della Commissione territoriale di Trapani nell’isola di Lampedusa, ha esaurito i suoi effetti, dopo il trasferimento in Puglia ed in altre regioni di duecento persone circa, che hanno avuto accesso alla procedura di asilo a Lampedusa compilando il modulo C3. Le stesse non hanno ancora però ricevuto una decisione, né sono state valutate dalla Commissione territoriale “in trasferta” sull’isola. Sembra dunque venuta meno la ragione per il trasferimento a Lampedusa della Commissione territoriale e nei prossimi giorni dovrebbero riprendere i trasferimenti dei richiedenti asilo verso altri centri di accoglienza al fine di completare l’iter delle domande proposte. Una marcia indietro rispetto a quanto affermato alcune settimane fa da Maroni, di fronte alla impraticabilità della sua direttiva.
Non si ha invece notizia del Decreto Ministeriale che istituisce il nuovo Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Lampedusa, che dovrebbe essere adottato sulla base del parere di un’ apposita consultazione interministeriale. In base all’art. 14 del T.U. sull’immigrazione n.286 del 1998, i centri di permanenza temporanea (adesso denominati CIE) vanno “individuati o costituiti con Decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con i Ministri della Solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Non è dunque sufficiente una mera direttiva del Viminale. Non sono affatto chiare, inoltre, le attuali condizioni legali del trattenimento che si realizza già in questi giorni presso questa struttura. E’ invece evidente, dopo la chiusura delle vie di accesso ed uscita del vecchio CPAS da parte delle forze di polizia, che in entrambe le strutture, qualunque sia la loro denominazione, si realizza una “limitazione della libertà personale”, finalizzata alla identificazione e quindi, ove non risulti la minore età o una istanza di asilo, al successivo respingimento.
In realtà sembrerebbe che il Ministro dell’Interno abbia fatto ricorso all’ennesima alchimia burocratica per potere utilizzare ancora il Centro di prima accoglienza e soccorso trattenendo ad oltranza i tunisini che vi sono rinchiusi dalla fine di dicembre dello scorso anno. In modo si rende possibile effettuare al suo interno le procedure di convalida da parte dei giudici di pace condotti sotto scorta dalla polizia all’interno della struttura di contrada Imbriacola, con un seguito di avvocati d’ufficio.
Del resto in Sicilia sono già tristemente noti i “centri polifunzionali” come quello di Caltanissetta, Pian del lago, che cumula le funzioni di CIE (ex CPT), di CARA (Centro per richiedenti asilo) e di Centro di identificazione per coloro che sono appena stati trasferiti da Lampedusa o da altre località di sbarco.
Restiamo comunque in attesa di conoscere il testo del decreto del ministro che ridefinisce l’intera struttura di Lampedusa. E vorremmo anche sapere che fine ha fatto il progetto originario di adibire la base dell’aeronautica a CIE.
Di fronte al fallimento dell’ipotesi di aprire a Lampedusa un nuovo Centro di identificazione ed espulsione, negli uffici del Viminale, si è pensato di trasformare l’attuale CPAS, non si sa se in tutto o in parte, in un Centro di identificazione ed espulsione. Così come a Caltanissetta, basterà spostare una persona da una sezione all’altra per dimostrare il rispetto formale delle regole e del sistema delle garanzie (a partire dal diritto di difesa) che comunque vanno riconosciute anche ai migranti irregolari, magari, come spesso avviene, proprio nel giorno in cui i parlamentari visiteranno il centro.
Faceva veramente tristezza vedere le immagini del corteo di macchine che attraversava Lampedusa ed entrava nella zona rossa istituita da Maroni attorno a quello che fino a qualche giorno fa era soltanto un centro di prima accoglienza, per dare una parvenza di legalità ad una procedura che si dimostrerà, con il passare del tempo sempre più inefficace, ma anche in grave contrasto con i principi costituzionali e con il diritto comunitario. La pagliacciata dei difensori di ufficio trasferiti dalla Polizia a Lampedusa al seguito dei Giudici di pace, simulacro esemplare del degrado dello stato di diritto a cui stiamo assistendo, prima o poi si infrangerà, quando i migranti potranno far valere una difesa di fiducia che sappia, davanti al magistrato, sollevare una selva di eccezioni di costituzionalità per le modalità di applicazione delle norme sul respingimento, come l’art. 10 comma secondo del Testo Unico sull’immigrazione. Queste norme, già nella loro scarna formulazione letterale, sembrano violare, sia la riserva di legge (la condizione giuridica dello straniero deve essere stabilita in base alla legge), che la riserva di giurisdizione (ogni provvedimento che limita la libertà personale può essere adottato dalla polizia in circostanze eccezionali, prima che sia disposto dal magistrato, e comunque va convalidato dal giudice entro termini perentori). Termini perentori che nel caso dei tunisini trattenuti da un mese nel centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa sono abbondantemente scaduti.
2. L’art. 13, comma 5 bis, del Testo Unico 286/98 prevede che la convalida dell’allontanamento forzato possa avere luogo “anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili” e dunque che la persona possa essere immediatamente accompagnata in frontiera, senza neppure transitare da un centro di permanenza temporanea, ad esempio nei casi di immediata disponibilità del vettore e di identificazione certa da parte dello stato di origine e provenienza, oppure nel caso di possesso di un valido passaporto. Ma anche in questo caso occorre che si rispetti la procedura di convalida “dell’allontanamento forzato” alla presenza dell’interessato, prevista dalla normativa vigente, e che il paese di provenienza riconosca la persona come un proprio cittadino. E naturalmente occorre anche trovare i fondi per effettuare il trasferimento.
La sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – introdotto dall’art. 2 del decreto legge 51/2002 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 106/2002 – nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.
L’appartenenza ad un determinato stato, per quanto possano intercorrere accordi bilaterali di riammissione, non può mettere in discussione i diritti e gli standard di accoglienza riconosciuti dalle Convenzioni internazionali. Anche chi proviene dalla Tunisia, e non solo dalla Libia, può avere diritto al riconoscimento di uno status di protezione internazionale, perché da anni il governo di quel paese reprime le proteste dei lavoratori ed incarcera sindacalisti ed oppositori politici.
Non si ha intanto notizia dei provvedimenti formali sui quali, nel caso dei centri di detenzione di Lampedusa, si basano queste prassi amministrative limitative della libertà personale (respingimento o espulsione) né di eventuali misure di convalida dell’allontanamento forzato e del trattenimento da parte dell’autorità giudiziaria competente per territorio.
Si può ritenere, sulla base dell’esperienza maturata nella provincia di Agrigento che, a seguito delle identificazioni, i migranti attualmente “trattenuti“ a Lampedusa ricevano, o abbiano già ricevuto, un provvedimento di “respingimento differito” adottato dal Questore di Agrigento in base all’art. 10, comma secondo, del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998 e successive modificazioni. Se i migranti ricevessero invece un provvedimento di “espulsione” lo scarto tra le prassi attuative, incluse le convalide dei giudici di pace trasferiti d’urgenza nell’isola di Lampedusa e le regole procedimentali richieste dalla legge, soprattutto per quanto concerne il trattenimento, sarebbe ancora più grave. In ogni caso, sia il respingimento differito con accompagnamento forzato in frontiera disposto dal Questore, sia l’espulsione disposta dal Prefetto, vanno convalidati dal Giudice di Pace e possono essere oggetto di ricorso, ricorso che potrebbe essere anche sospensivo dell’allontanamento forzato. Rimane la differenza, che può avere rilevantissime conseguenze pratiche, per cui, mentre il respingimento si può impugnare solo davanti al giudice amministrativo, con grossi problemi per stabilire la competenza territoriale, il provvedimento di espulsione del Prefetto può essere impugnato davanti al tribunale del luogo in cui ha sede lo stesso Prefetto, e può essere ammesso il patrocinio a spese dello stato.
Se al provvedimento di respingimento seguisse subito il provvedimento che dispone l’accompagnamento forzato in frontiera occorrerebbe dunque la convalida del magistrato, anche in assenza del trattenimento in un centro di permanenza temporanea, o di altre misure limitative della libertà personale, come l’arresto o la detenzione in un centro di prima accoglienza e soccorso (CPAS) come quello di Lampedusa, che al momento è tenuto completamente chiuso dalle autorità di Polizia. Il provvedimento di respingimento differito, a differenza dell’espulsione, può essere messo in esecuzione anche in assenza di un autonomo provvedimento di allontanamento forzato e talora anche senza un trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione. Ma i termini fallimentari dell’accordo con la Tunisia probabilmente faranno cadere le pretese di celerità che le autorità amministrative preposte ai centri di Lampedusa volevano soddisfare. Di certo la nave carica di clandestini diretta a Tunisi non si farà più, e nemmeno il ponte aereo.
3.Quali che siano gli accordi internazionali agli immigrati irregolari trattenuti nei centri di Lampedusa vanno garantiti precisi diritti.
In base all’art. 3, comma 3 D.P.R. 394/1999, Regolamento di attuazione del Testo unico sull’immigrazione, “il provvedimento che dispone il respingimento, il decreto di espulsione, il provvedimento di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno, quello di rifiuto della conversione del titolo di soggiorno, la revoca od il rifiuto della carta di soggiorno, sono comunicati allo straniero mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l’indicazione delle eventuali modalità di impugnazione, effettuata con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell’atto”. Questi adempimenti saranno garantiti ai migranti trattenuti nei centri di Lampedusa?
Nei CPAS, una volta esaurite le pratiche di identificazione, non si dovrebbe realizzare una vera e propria limitazione della libertà personale, ma solo una limitazione della libertà di circolazione, mentre il nuovo Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Lampedusa non sembra ancora costituito nelle forme previste dalla legge, risolvendosi per ora in alcuni capannoni privi di uffici amministrativi. Tutti gli immigrati trattenuti nei centri dell’isola di Lampedusa potrebbero perciò lamentare una indebita compressione della propria libertà personale, aggravata dalle condizioni ambientali ed igieniche nelle quali sono stati costretti, ed esercitare in giudizio i diritti di difesa che competono loro, sempre che riescano a conferire ad avvocati di fiducia i mandati difensivi. Un’altra ipotesi di denuncia penale di quanto è avvenuto in questo periodo a Lampedusa.
Non sono neppure chiari i termini degli accordi effettivamente raggiunti dall’Italia con la Tunisia e con la Libia né quando produrranno effetti. Il Patto di amicizia con la Libia sarà ratificato dal parlamento tra qualche giorno, ma non prevede canali particolari per il rimpatrio dei migranti irregolari che da quel paese raggiungono l’Italia, come è noto provenienti da tutti i paesi del mondo, meno che dalla Libia… e non si comprende su quali basi, soprattutto economiche, Maroni rinegozierà gli “accordi di riammissione” del 2003 con la Tunisia, accordi che non sono mai stati ratificati dal Parlamento italiano. E’ forte la preoccupazione che il governo possa riprendere la prassi dei rimpatri di massa e della “cooperazione pratica di polizia” al di fuori di previsioni esplicite degli organismi comunitari o del legislatore nazionale, una prassi che già nel 2005 è stata sanzionata dal Parlamento Europeo come violazione del divieto di espulsioni collettive previsto dal Protocollo IV allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Di certo, in base all’art. 20 comma 5 bis del regolamento di attuazione n.394 del 1999, l’avviso sul diritto all’assistenza legale e ad un difensore di fiducia, con ammissione, ricorrendone i presupposti, al patrocinio a spese dello stato, va dato allo “straniero”, destinatario del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, in relazione all’udienza di convalida prevista dall’art. 13 comma 5 bis del testo unico”. A meno di non creare una ingiustificata disparità di trattamento rimessa alla mera discrezionalità dell’amministrazione dell’interno, qualunque “misura di accompagnamento forzato in frontiera” deve essere convalidata da un magistrato e la persona interessata deve potere nominare un difensore di fiducia ed accedere al patrocinio gratuito. Se in caso di respingimento non dovesse applicarsi la medesima previsione che vale per le espulsioni, si otterrebbe il risultato di cedere all’autorità amministrativa il potere di scegliere tra due forme diverse di accompagnamento in frontiera caratterizzate da un diverso sistema delle garanzie, ma sulla base dei medesimi presupposti e senza una motivazione, e con una netta riduzione dei diritti di difesa consentiti agli immigrati oggetto di una misura di allontanamento forzato che non risulta immediatamente ricorribile. E in questo caso potrebbe individuarsi una applicazione della norma in contrasto con la riserva “rinforzata” di legge prevista dall’art. 10 comma secondo della Costituzione. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.La stessa condizione giuridica dello straniero non può restare rimessa ad un provvedimento meramente discrezionale della pubblica amministrazione.
La futura attuazione della direttiva comunitaria sui rimpatri n. 115 del 2008, che di fatto sarà anticipata sotto questo aspetto dal provvedimento sulla sicurezza che il Parlamento si accinge a ratificare, ( DDL AS n.733), con il prolungamento dei termini della detenzione amministrativa ben oltre i sessanta giorni, potrà rendere ancora più esplosiva la situazione a Lampedusa, soprattutto quando il tempo migliorerà e gli arrivi riprenderanno come in passato. A differenza di quanto previsto dalla direttiva, peraltro il legislatore italiano non conosce ancora ipotesi di rimpatrio volontario corrispondenti a quelle previste dalla nuova direttiva comunitaria, ma disciplina prevalentemente ipotesi di rimpatrio con accompagnamento forzato in frontiera.
4. La scelta di “bloccare” tutti i migranti giunti a Lampedusa nel nuovo centro di detenzione e nel centro di prima accoglienza e soccorso, almeno fino ad una identificazione certa, scelta adottata da Maroni e confermata da Berlusconi, deteriora il quadro delle garanzie dei diritti fondamentali finora riconosciuti comunque ai migranti, anche se irregolari, in base all’art. 2 del testo unico sull’immigrazione, n.286 del 1998.
Secondo l’art. 13 della Costituzione “non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria, e se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
L’art. 5 comma 1 lettera f della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo afferma che “nessuno può essere privato della libertà , salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge”, tra i casi elencati ricorre appunto l’ipotesi “dell’arresto o della detenzione “regolari” di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o di estradizione.
Ogni persona arrestata o detenuta in base a questa previsione “deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura”.
Secondo l’art. 5 comma 4, della stessa Convenzione, “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso davanti ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini l scarcerazione se la detenzione è illegittima”.
I Trattati comunitari fanno costante riferimento alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo ed anche se questo documento non è stato ratificato dall’Unione Europea si ritiene generalmente che i principi da essa affermati costituiscano parte integrante del diritto comunitario.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, peraltro, vieta espressamente all’art. 19 le espulsioni collettive, e ribadisce che “ nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti ( norma ripresa dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, e confermata nell’ordinamento italiano dalla formulazione esplicita, che vi corrisponde, dell’art. 19 del Testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998. Quanto affermato dalla Carta dei diritti fondamentali della persona mette in rilievo l’importanza che le misure di allontanamento forzato ( e quelle di trattenimento finalizzato all’allontanamento dal territorio) siano sottoposte tempestivamente al controllo di un magistrato e che il destinatario goda del riconoscimento di un diritto di ricorso effettivo.
Nella prassi seguita dalla Questura di Agrigento rispetto ai migranti giunti nell’isola di Lampedusa, al di fuori dei casi di minore età o di accesso alla procedura di asilo, in molti casi anche nei confronti di persone poi ammesse alla procedura stessa, veniva, e viene ancora emesso, generalmente subito dopo l’arrivo nel territorio nazionale, un provvedimento di respingimento “differito” ex art. 10 comma secondo del T.U. 286/98. Si tratta del cd. respingimento “ con riaccompagnamento alla frontiera”, disposto dal questore nei confronti di chi fa ingresso nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera, oppure nei confronti di quanti “ sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso” .
Secondo l’articolo 14 del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998, quando non sia possibile eseguire con immediatezza il provvedimento di espulsione amministrativa mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero all’acquisizione di documenti di viaggio, o ancora per l’indisponibilità del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e di assistenza ( adesso denominati CIE) più vicino.
Nel descritto quadro normativo, la tutela giurisdizionale non si arresta all’impugnativa del decreto di espulsione, o di respingimento, ma si estende anche al provvedimento (adottato dal questore) di trattenimento in un centro di permanenza temporanea ( adesso CIE). Tale provvedimento deve essere trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore ed è assoggettato alla convalida “nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, sentito l’interessato, con cessazione di “ogni effetto qualora non sia convalidato nelle quarantotto ore successive” (art. 14, comma 4). La convalida dell’autorità giudiziaria riguarda anche l’eventuale provvedimento di proroga del trattenimento, con possibilità di ricorso in Cassazione (art. 14, comma 6).
5.L’istituto del respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, spesso sostitutivo del provvedimento di espulsione, che pure potrebbe essere adottato nei medesimi casi, non offre la possibilità di fare valere gli stessi mezzi di ricorso che si possono azionale in caso di espulsione, e l’unica via di impugnazione rimane il ricorso al Tribunale amministrativo competente per territorio, nel caso di Lampedusa il ricorso, che comunque non ha effetto sospensivo al di là di provvedimenti cautelari adottati dal TAR, dovrebbe essere inoltrato al Tribunale amministrativo di Palermo, che però spesso declina la sua competenza in favore del TAR Lazio con sede a Roma. Si tratta quindi di un mezzo di ricorso che non è “effettivo” considerando la situazione di fatto attuale e passata dei centri ubicati nell’isola di Lampedusa ed i difficili collegamenti con la Sicilia e il resto d’Italia.
La dottrina osserva poi come l’amministrazione finisce “ per scegliersi il suo giudice” adottando nei confronti degli stranieri che si trovino nella medesima condizione provvedimenti di “respingimento” ( ricorribili al TAR e certamente non materialmente sospendibili), così secondo BONETTI, e non provvedimenti di espulsione che sono ricorribili al giudice ordinario che può valutarli con una cognizione più ampia, entrando anche nel merito e nei presupposti del provvedimento. Si può rimarcare la rarità di decisioni dei Tribunali Amministrativi in materia di respingimento differito disposto dal Questore, vuoi per la difficoltà di contattare tempestivamente un avvocato, vuoi per l circostanze di tempo, in quanto si tratta di provvedimenti che vengono notificati agli interessati solo in prossimità dell’esecuzione della misura di accompagnamento forzato, talvolta proprio al momento di imbarcarsi su un aereo. L’assenza di un contenzioso relativo ai provvedimenti di respingimento differito, rispetto alle espulsioni, che sono frequentemente oggetto di ricorso giurisdizionale, è la riprova della mancanza di un diritto di ricorso effettivo. Rimane poi assai difficile, per tutte le persone trattenute in strutture improprie di detenzione, ma chiuse, senza possibilità di contatti diretti con l’esterno, quando pure si sia instaurato un contatto telefonico, o ci sia stato l’interessamento di parenti, il conferimento della procura al difensore di fiducia.
Solo nel caso di eventi eccezionali come la visita di parlamentari, malgrado la chiusura di fatto del centro di prima accoglienza e soccorso, ed oggi anche del futuro CIE, risulta possibile nominare, direttamente da Lampedusa, un difensore di fiducia, con il rilascio della prescritta procura sottoscritta di pugno dall’interessato. E in uno di questi casi, con una procedura d’urgenza ai sensi dell’art. 39 del regolamento della corte, si è giunti persino alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che nel 2005 ha intimato all’Italia di sospendere le deportazioni collettive verso la Libia. In quell’occasione, per quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo, il governo italiano non fornì mai alla stessa corte richiedente copia dei provvedimenti di respingimento o di espulsione adottati nei confronti delle persone allontanate con diversi voli militari, e poi civili, direttamente da Lampedusa verso la Libia. Probabilmente quei provvedimenti non sono mai esistiti. Nel caso dei respingimenti differiti disposti dopo il caso della nave tedesca Cap Anamur nel 2004 si verificavano clamorosi errori come il caso del migrante della Sierra Leone che veniva rimpatriato in Ghana. Ma errori simili non sono neppure infrequenti nel caso di rimpatrio di cittadini egiziani. La rapidità e la sommarietà delle procedure consentite dagli accordi di riammissione rendono possibile l’attribuzione di una falsa nazionalità o di un età superiore a quella effettiva, e comportano in ogni caso la negazione di un diritto effettivo di ricorso.
In definitiva, quale che sia la sorte del provvedimento, respingimento o espulsione, che ne costituisce, qualunque ipotesi di allontanamento forzato, come le misure limitative della libertà personale finalizzate all’esecuzione dei provvedimenti in questione, devono essere sottoposte ad una verifica da parte di un magistrato (riserva di giurisdizione) e vanno adottati nelle forme previste dalla legge (riserva di legge).
6. Alla luce di quanto sopra, potrebbero emergere peculiari profili di illegalità delle prassi, sin qui seguita, di trattenimento senza un provvedimento formale adottato nei termini di cui all’art. 13 della Costituzione. Nel centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa sembrerebbe sia stata effettuata una selezione fra i migranti, non si sa se in collaborazione con le autorità consolari dei paesi di origine, sulla base della quale, un numero imprecisato di persone potrebbe essere stata oggetto di un provvedimento di respingimento differito in Tunisia. Tali provvedimenti potrebbero essere attuati in forma collettiva e con metodi coercitivi.
Tale prassi amministrativa appare palesemente illegale ed arbitraria in quanto i profughi potrebbero essere trattenuti, in condizioni di privazione della libertà personale nel centro di accoglienza di Lampedusa per 3/4/5/6 settimane prima di essere “riammessi” in Tunisia. La Corte Costituzionale, come si è visto, nella Sentenza n. 105/2001 ha chiarito che ogni forma di trattenimento dello straniero “anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza” costituisca una misura di restrizione della libertà personale. Pertanto tale misura non può essere attuata se non con le garanzie di cui all’art. 13 della Costituzione. In altre parole l’autorità di Pubblica sicurezza che procede all’internamento dello straniero deve dare comunicazione della misura, entro 48 ore, all’Autorità giudiziaria competente (nel caso di specie il Giudice di Pace, a cui è stata deferita la competenza ai sensi del D.L. n. 241/2004, convertito con modificazioni nella L. 271/2004) che deve provvedere alla convalida nelle 48 ore successive.
Si rileva inoltre che il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale (a cui deve essere equiparato il provvedimento di respingimento differito), trattandosi di una misura che incide sulla libertà personale e non solo sulla libertà di circolazione, deve essere comunicato al Giudice di Pace, ai sensi del comma 5 bis dell’art. 13 del T.U. (introdotto con il D.L. 241/2004) e non può essere eseguito prima della sua convalida.
Tutte le ipotesi di accompagnamento forzato in frontiera, disposto sulla base di un provvedimento di respingimento o di espulsione per i quali non sia previsto un intervento di controllo dell’autorità giudiziaria appaiono in contrasto con l’art. 13 della Costituzione italiana quando la limitazione della libertà personale da parte dell’autorità di polizia eccede le 48/96 ore senza la comunicazione al magistrato e la successiva convalida della misura da parte di questo.
Quanto osservato assume particolare rilievo nel caso dei migranti trattenuti per settimane senza uno straccio di provvedimento nel Centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa, una parte dei quali sarebbero oggetto dell’accordo raggiunto a Tunisi da Maroni ed il suo omologo tunisino.
I tempi tecnici di esecuzione dell’intesa, legate alle difficoltà già emerse nella identificazione dei cittadini di ( finora presunta) nazionalità tunisina, i due mesi previsti per rimpatriare 500 migranti,
corrispondono ad una durata non ancora prevedibile della detenzione amministrativa di quanti sono attualmente rinchiusi nei centri di detenzione di Lampedusa, magari al solo fine di essere identificati dopo esser stati soccorsi a mare. Una ipotesi precisa dunque di sospensione del diritto, o di stato di eccezione, una limitazione della libertà personale praticata dall’autorità amministrativa ben oltre i termini di legge consentiti dalla costituzione italiana e, seppure con una certa vaghezza, dalle normative comunitarie, in netto contrasto con i brevi termini ed il carattere di “straordinarietà ed urgenza” previsti dall’art. 13 della nostra Costituzione. Quella che si ripete a Lampedusa da almeno sette anni corrisponde ad una situazione di “straordinarietà ed urgenza” ampiamente annunciata, che si è diffusa proprio per effetto delle “misure emergenziali di contrasto” dell’immigrazione irregolare che i diversi governi in carica, con un diverso carico di responsabilità, hanno posto in essere e continuano a porre in essere.