Ormai è un coro: Bossi, Maroni, la senatrice Maraventano, adesso anche Calderoli, tutti uniti al grido di “denunce per tutti”, per tutti coloro che dissentono dal progetto di aprire un nuovo centro di detenzione a Lampedusa e di trattenere nell’isola i migranti irregolari che vi arrivano. La solidarietà, per questa gente, per questi uomini di governo che stanno occupando tutte le istituzioni italiane, ben al di là del mandato elettorale conferito dagli elettori e delle regole dello stato di diritto, diventa un delitto.
Eppure sono proprio loro gli artefici della “montatura” di una emergenza che si poteva evitare benissimo, come si era evitata negli ultimi due anni, e le cifre non si possono smentire. Con Berlusconi e Maroni gli sbarchi di “clandestini” sono triplicati. E sono loro che istigano alla violenza, o ne creano i presupposti, quando invitano i migranti ad andare in giro “a bere una birra”, salvo poi organizzare posti di blocco, pestaggi sistematici da parte delle forze dell’ordine. Adesso si è arrivati allo sbarramento completo di tutte le vie di accesso al centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa. Di fatto il centro si è già trasformato in un vero e proprio centro di detenzione, In quali condizioni di sicurezza si pensa di trasferire gli immigrati che saranno rimpatriati in futuro dal centro al porto o all’aeroporto dell’isola? Quella volta, quando verrà, non si tratterà certo di andare “a bere una birra in paese”.
E fortuna che gli abitanti di Lampedusa hanno riaccompagnato al centro tutti i migranti che ne erano usciti per unirsi alla protesta in piazza contro le decisioni del ministro dell’interno. Senza violenza e senza manganelli, ma con la dimostrazione del loro sostegno e della loro solidarietà. Ed è questa l’unica via che può permettere agli abitanti di Lampedusa la difesa della loro dignità e del loro futuro. Non certo credere ancora alle promesse leghiste, alternate alle minacce, di creare nell’isola un “porto franco”. Oppure farsi corrompere e dividere davanti ad altre ricompense economiche, per “risarcire” gli abitanti di un isola italiana più vicina all’Africa che all’Italia, per la destinazione del loro territorio a campo di raccolta e di espulsione, perché questo sono i CIE ( centri di identificazione ed espulsione). Una prospettiva che cancellerebbe non solo turismo e lavoro, ma anche la dignità dei residenti ed i diritti fondamentali che comunque vanno riconosciuti ai migranti.
A questo punto i lampedusani sono stati messi dal governo davanti ad un bivio, o vendersi, vendere il loro futuro e quello dei loro figli a chi vuole fare dell’isola un gigantesco centro di detenzione a cielo aperto, un ritorno al passato, quando l’isola era un luogo di deportazione, oppure lottare con determinazione, per i propri diritti e per il proprio futuro, ma allo stesso tempo in solidarietà dei migranti vittime delle più volgari violazioni dei diritti umani, per affermare il diritto di un territorio e dei suoi abitanti ad uno sviluppo normale, ad un clima di serenità e di incontro tra genti diverse, luogo di turismo non speculativo, come quello di alcuni imprenditori-politici che hanno sfruttato le caratteristiche straordinarie dell’isola per arricchirsi e per finanziarsi le campagne elettorali.
E bene ricordare, a Lampedusa come nel resto d’Italia, che la futura attuazione della direttiva comunitaria sui rimpatri n. 115 del 2008, con il prolungamento dei termini della detenzione amministrativa fino a 18 mesi, con la possibilità di espellere anche minori non accompagnati, potrà rendere ancora più esplosiva la situazione nell’isola, soprattutto quando il tempo migliorerà e gli arrivi si intensificheranno. La scelta di bloccare tutti i migranti giunti a Lampedusa nel nuovo centro di detenzione e nel centro di accoglienza, adottata da Maroni e confermata da Berlusconi, dopo il prolungamento dei tempi della detenzione amministrativa, renderà ingestibile la situazione degli arrivi ( o sbarchi) a Lampedusa.
Ne risulterà sconvolto il quadro delle garanzie dei diritti fondamentali finora riconosciuti comunque ai migranti, anche se irregolari, in base all’art. 2 del testo unico sull’immigrazione, n.286 del 1998, ed all’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, che vieta trattamenti inumani e degradanti, anche a Lampedusa, non solo in Libia ed in Tunisia. Ogni essere umano ha diritto al riconoscimento della sua dignità, anche se è costretto a varcare irregolarmente una frontiera, per l’assenza di canali di ingresso legale.
Non sono neppure chiari i termini degli accordi con la Libia, ancora lontani dall’entrare nella fase operativa (per fortuna), e non si comprende su quali basi Maroni rinegozierà gli accordi del 2003 con la Tunisia, accordi che non sono mai stati ratificati dal Parlamento. E’ forte la preoccupazione che il governo possa riprendere la prassi ( cooperazione di polizia) dei rimpatri di massa anche verso i paesi di transito, che già nel 2005 sono stati sanzionati dal Parlamento Europeo come violazione del divieto di espulsioni collettive previsto dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Occorre salvaguardare il diritto di asilo e la protezione internazionale contro i minacciosi proclami degli esponenti di governo che mettono in discussione persino i diritti e gli standard di accoglienza riconosciuti dalle Convenzioni internazionali. Anche chi proviene dalla Tunisia, e non solo dalla Libia, può avere diritto al riconoscimento di uno status di protezione internazionale, da anni il governo di quel paese reprime le proteste dei lavoratori ed incarcera sindacalisti ed oppositori politici. In ogni caso ciascuna persona trattenuta in un centro di prima accoglienza o in un CIE, ha diritto ad un riconoscimento individuale, ad ottenere i documenti di viaggio prima di essere rimpatriato. I provvedimenti di diniego dell’istanza di asilo e di respingimento vanno adottati e notificati in tempi e modalità che consentano un diritto effettivo di ricorso. Chiunque venga privato della libertà personale ha diritto ad una convalida del provvedimento di polizia, che va comunque formalizzato entro quattro giorni dal momento in cui è stato fermato Tutto il resto è ritorno allo stato di polizia, se non sequestro di persona.
Appare poi assolutamente incredibile che il numero dei tunisini che potrebbero essere rimpatriati con maggiore rapidità sia talmente alto come il ministro Maroni ritiene. E’ probabile che molti abbiano dichiarato di essere tunisini solo per ritardare il rimpatrio verso l’Egitto, l’Algeria o il Marocco. Negli ultimi anni non si è mai verificato che i migranti maghrebini giunti in Sicilia fossero tutti di una sola nazionalità, come sostiene adesso Berlusconi e il suo ministro dell’interno. Una scoperta che tutti faranno non appena le autorità tunisine avvieranno le procedure per il riconoscimento individuale delle persone da rimpatriare, per fornire loro i documenti di viaggio, strumento indispensabile per il rimpatrio in qualunque paese. Vedremo a quel punto cosa diranno Maroni e Berlusconi.
E vedremo allora se le promesse di Maroni di svuotare l’isola in qualche giorno saranno mantenute. Uno “svuotamento” che comunque dovrebbe durare ben poco, perché non appena le condizioni del mare miglioreranno gli arrivi di immigrati irregolari riprenderanno. A meno che qualcuno non decida di mandare loro incontro navi con la missione di respingere ed affondare. O improbabili navi lager da mandare poi indietro nei paesi di provenienza, come sostiene adesso Bossi. Sapremo presto chi sarà responsabile di altre vittime e di altre violazioni dei diritti delle persone, e ci sarà un giudice o un autorità internazionale davanti al quale anche i politici, mandanti di queste politiche di morte, potranno essere chiamati a rispondere.