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da Il Corriere del Mezzogiorno del 6 aprile 2009

Napoli, permessi di soggiorno – La fila del disonore tra rabbia e caos

Convocazione in Questura via sms per 5 mila immigrati. Le lunghe file dovevano sparire già quattro anni fa

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«Ci aiute­rà l’informatica» spiegava. Una rivoluzione annunciata, sms sul telefonino dell’immigrato: prego, si accomodi da noi. Il suo permesso è pronto. Gentilezza e cortesia invece delle lun­ghe attese sotto il sole.Quattro anni dopo gli sms sono arrivati, ma tutt’insieme. E gli immigrati sono tornati come al solito in fila. L’unica cosa azzeccata è (forse) il giorno, perché il sabato mattina via Galileo Ferraris, a due passi da piazza Garibaldi, non è soffocata dal solito traffico di auto e camion. Per il resto a Napoli, sulle procedure di consegna dei permessi di soggior­no, si continua a sbagliare tutto. L’è tutto da rifare, avrebbe detto Gino Bartali. Perché, se non c’è stupidità o razzismo, ci dev’essere per forza un briciolo di sadismo nel dare appunta­mento con un sms a 5.000 mila immigrati, tutti insieme, nel­lo stesso posto.

Sono passati due giorni dal caso della ivoriana Kante, se­gnalata alla polizia dopo il parto al Fatebenefratelli, ma l’on­data di indignazione provocata dalla vicenda sembra lontana anni luce dalla realtà di via Galileo Ferraris, dove davanti al­l’ufficio Immigrazione della Questura, dalle cinque del matti­no, c’è già una fila lunga più di trecento metri. Cinque ore dopo, alle dieci, il serpente umano multicolore e multirazzia­le è ancora lì, sul marciapiedi della ex zona industriale, tra i resti dei falò di copertoni bruciati dalle prostitute e sotto gli sguardi incuriositi dei napoletani che si trovano a passare. Ingabbiato e compresso dietro le transenne, tenuto a bada da alti e robusti poliziotti che gridano in continuazione, il ser­pente umano ondeggia e preme per conquistare spazio, avan­zando a fatica metro dopo metro. C’è tensione, come è inevi­tabile. Così, quando il cronista si avvicina alle transenne per farsi dare qualche testimonianza, un solerte poliziotto con i baffetti lo avvicina: «Lei chi è? Che sta facendo?». Risposta: «Sono un giornalista, mica c’è il divieto di parlare con le per­sone in strada?». Replica secca: «Mi faccia vedere il tesseri­no ». Glielo mostriamo e lui finalmente decide che siamo libe­ri di parlare e si allontana di qualche metro, non prima però di averci raccomandato di «restare fuori dalle transenne».

Parlare con gli immigrati in attesa del permesso di soggior­no, significa raccogliere tanti sfoghi anonimiperché tutti te­mono rappresaglie. Così, mentre le transenne vengono aper­te e richiuse dagli agenti per far uscire dalla fila chi deve com­prare un po’ d’acqua o qualcosa da mangiare, una mamma del Burkina Faso con tre figlioletti racconta di essere lì dalle 8 e che non sa nemmeno se riuscirà ad avere il rinnovo del permesso. Tempo di attesa: nel suo caso sei mesi, ma si arri­va anche a un anno. Al di fuori dal recinto un signore di mezz’età accompagna premuroso sua moglie, una ragazza ucraina che ha vent’anni meno di lui. Racconta una storia che sembra curiosa, ma che è comune a migliaia di napoletani non più giovanissimi. «Sia­mo venuti solo per chiarimenti — spiega lui — perché una volta abbiamo litigato, mia moglie si è allontanata da casa e io ho fatto l’errore di segnalarlo alla polizia. Ora che il suo permesso è scaduto temiamo che non ce lo rinnovino». Mo­glie e marito totalizzeranno quattro ore di attesa in fila prima di poter avere una risposta. Insieme a loro srilankesi, cinesi, ucraini, ghanesi e marocchini attendono pazientemente che la fila si muova.

Le più organizzate sono le colf: ombrellini multicolori per proteggersi dal sole, cartellina con i docu­menti sottobraccio e botti­glina d’acqua minerale in mano. Ma anche l’acqua fi­nisce. I commercianti della zona fiutano il business e il prezzo delle minerali da mezzo litro passa in un lam­po da 50 a 80 centesimi. Del resto non c’è traccia di volontari a dissetare l’esercito di immigrati in at­tesa. Non si vede la Caritas, non si vedono gli uomini della Protezione civile né quelli del sindacato. Per for­tuna c’è l’ambulanza per soccorrere chi proprio non ce la facesse. Verso mezzo­giorno un giovanotto distri­buisce curiosi volantini gialli, è il garzone della vicina pizze­ria «Gusto» che pubblicizza margherite a un euro. Un affaro­ne. Un africano ne approfitta e si allontana per comprarne qualcuna. Prima però si accerta che un amico fidato gli tenga il posto; lasciare la fila, anche solo per un minuto, può avere conseguenze fatali: si rischia di dover scivolare giù fino alla coda del serpente umano e ricominciare dall’ultima «casel­la », come in un drammatico Monopoli. Un trentenne del Sene­gal, residente a Giugliano, con l’aria distinta e gli oc­chialini da intellettuale non nasconde l’irritazione: «Sia­mo in una situazione disu­mana. Io insegno lingue africane e ho sposato una ragazza di Giugliano e at­tendo inutilmente da sei mesi il permesso di soggior­no. Dovrebbe essere una formalità, invece con la Bos­si- Fini sta diventando tutto maledettamente difficile.

Eppure basterebbe poco per evitare questa attesa. Perché invece di costringer­ci qui la Questura non ci fa pagare le spese di spedizione e invia i permessi ai commissa­riati di residenza?». Giriamo l’appello al nuovo questore Giuffrè. Ultima annotazione: perché inviare sms generici? Ti­po: «Presentarsi Questura Na-Immigrazione il giorno della scadenza del permesso, o se già scaduto, il primo giorno uti­le ». Il giovane bengalese mostra quel messaggio-beffa atte­so da un anno: quando lo ha ricevuto ha chiesto un giorno di ferie al datore di lavoro, si è presentato e dopo tre ore di attesa ha scoperto che il suo permesso non è ancora pronto. Nessuna spiegazione. Dovrà tornare ancora: il Monopoli del­l’immigrato continua.