«Ci aiuterà l’informatica» spiegava. Una rivoluzione annunciata, sms sul telefonino dell’immigrato: prego, si accomodi da noi. Il suo permesso è pronto. Gentilezza e cortesia invece delle lunghe attese sotto il sole.Quattro anni dopo gli sms sono arrivati, ma tutt’insieme. E gli immigrati sono tornati come al solito in fila. L’unica cosa azzeccata è (forse) il giorno, perché il sabato mattina via Galileo Ferraris, a due passi da piazza Garibaldi, non è soffocata dal solito traffico di auto e camion. Per il resto a Napoli, sulle procedure di consegna dei permessi di soggiorno, si continua a sbagliare tutto. L’è tutto da rifare, avrebbe detto Gino Bartali. Perché, se non c’è stupidità o razzismo, ci dev’essere per forza un briciolo di sadismo nel dare appuntamento con un sms a 5.000 mila immigrati, tutti insieme, nello stesso posto.
Sono passati due giorni dal caso della ivoriana Kante, segnalata alla polizia dopo il parto al Fatebenefratelli, ma l’ondata di indignazione provocata dalla vicenda sembra lontana anni luce dalla realtà di via Galileo Ferraris, dove davanti all’ufficio Immigrazione della Questura, dalle cinque del mattino, c’è già una fila lunga più di trecento metri. Cinque ore dopo, alle dieci, il serpente umano multicolore e multirazziale è ancora lì, sul marciapiedi della ex zona industriale, tra i resti dei falò di copertoni bruciati dalle prostitute e sotto gli sguardi incuriositi dei napoletani che si trovano a passare. Ingabbiato e compresso dietro le transenne, tenuto a bada da alti e robusti poliziotti che gridano in continuazione, il serpente umano ondeggia e preme per conquistare spazio, avanzando a fatica metro dopo metro. C’è tensione, come è inevitabile. Così, quando il cronista si avvicina alle transenne per farsi dare qualche testimonianza, un solerte poliziotto con i baffetti lo avvicina: «Lei chi è? Che sta facendo?». Risposta: «Sono un giornalista, mica c’è il divieto di parlare con le persone in strada?». Replica secca: «Mi faccia vedere il tesserino ». Glielo mostriamo e lui finalmente decide che siamo liberi di parlare e si allontana di qualche metro, non prima però di averci raccomandato di «restare fuori dalle transenne».
Parlare con gli immigrati in attesa del permesso di soggiorno, significa raccogliere tanti sfoghi anonimiperché tutti temono rappresaglie. Così, mentre le transenne vengono aperte e richiuse dagli agenti per far uscire dalla fila chi deve comprare un po’ d’acqua o qualcosa da mangiare, una mamma del Burkina Faso con tre figlioletti racconta di essere lì dalle 8 e che non sa nemmeno se riuscirà ad avere il rinnovo del permesso. Tempo di attesa: nel suo caso sei mesi, ma si arriva anche a un anno. Al di fuori dal recinto un signore di mezz’età accompagna premuroso sua moglie, una ragazza ucraina che ha vent’anni meno di lui. Racconta una storia che sembra curiosa, ma che è comune a migliaia di napoletani non più giovanissimi. «Siamo venuti solo per chiarimenti — spiega lui — perché una volta abbiamo litigato, mia moglie si è allontanata da casa e io ho fatto l’errore di segnalarlo alla polizia. Ora che il suo permesso è scaduto temiamo che non ce lo rinnovino». Moglie e marito totalizzeranno quattro ore di attesa in fila prima di poter avere una risposta. Insieme a loro srilankesi, cinesi, ucraini, ghanesi e marocchini attendono pazientemente che la fila si muova.
Le più organizzate sono le colf: ombrellini multicolori per proteggersi dal sole, cartellina con i documenti sottobraccio e bottiglina d’acqua minerale in mano. Ma anche l’acqua finisce. I commercianti della zona fiutano il business e il prezzo delle minerali da mezzo litro passa in un lampo da 50 a 80 centesimi. Del resto non c’è traccia di volontari a dissetare l’esercito di immigrati in attesa. Non si vede la Caritas, non si vedono gli uomini della Protezione civile né quelli del sindacato. Per fortuna c’è l’ambulanza per soccorrere chi proprio non ce la facesse. Verso mezzogiorno un giovanotto distribuisce curiosi volantini gialli, è il garzone della vicina pizzeria «Gusto» che pubblicizza margherite a un euro. Un affarone. Un africano ne approfitta e si allontana per comprarne qualcuna. Prima però si accerta che un amico fidato gli tenga il posto; lasciare la fila, anche solo per un minuto, può avere conseguenze fatali: si rischia di dover scivolare giù fino alla coda del serpente umano e ricominciare dall’ultima «casella », come in un drammatico Monopoli. Un trentenne del Senegal, residente a Giugliano, con l’aria distinta e gli occhialini da intellettuale non nasconde l’irritazione: «Siamo in una situazione disumana. Io insegno lingue africane e ho sposato una ragazza di Giugliano e attendo inutilmente da sei mesi il permesso di soggiorno. Dovrebbe essere una formalità, invece con la Bossi- Fini sta diventando tutto maledettamente difficile.
Eppure basterebbe poco per evitare questa attesa. Perché invece di costringerci qui la Questura non ci fa pagare le spese di spedizione e invia i permessi ai commissariati di residenza?». Giriamo l’appello al nuovo questore Giuffrè. Ultima annotazione: perché inviare sms generici? Tipo: «Presentarsi Questura Na-Immigrazione il giorno della scadenza del permesso, o se già scaduto, il primo giorno utile ». Il giovane bengalese mostra quel messaggio-beffa atteso da un anno: quando lo ha ricevuto ha chiesto un giorno di ferie al datore di lavoro, si è presentato e dopo tre ore di attesa ha scoperto che il suo permesso non è ancora pronto. Nessuna spiegazione. Dovrà tornare ancora: il Monopoli dell’immigrato continua.